martedì 30 marzo 2021

Min Tran Huy - LA PRINCIPESSA E IL PESCATORE - 66thand2nd

 

Min Tran Huy
LA PRINCIPESSA E IL PESCATORE



(
La Princesse et le Pecheur , 2007)
Traduzione di Elena Sacchini
66thand2nd
Collana Bazar
pp. 192, febbraio 2010, Euro 15, brossura


Il libro

Un amore perduto è l'emblema della caducità delle cose, della malinconia che avvolge la loro natura temporanea. L'incontro con Nam, giovane in fuga dalla sua terra, spinge la protagonista Lan a confrontarsi con il proprio paese d'origine, quello in cui non è nata - lei, francese benestante - ma dal quale vengono i suoi familiari, esuli della diaspora seguita alla guerra d'Indocina. Le tradizioni apprese dall'amatissima nonna, il rigore e la determinazione dei genitori nell'integrarsi con successo in un paese straniero, la tenacia di Nam nel guadagnarsi la cittadinanza francese, la bellezza e crudeltà del Vietnam, la vergogna di non aver dovuto lottare e avere, ugualmente, tutto: sono i tratti della storia di coloro che oscillano tra mondi diversi, non per scelta ma per fatale accadimento. In un'atmosfera sospesa tra autobiografia e finzione, dove le leggende popolari sono cornice e strumento di interpretazione della vita, Lan diventa il paradigma del disagio della second generation nel rapporto con le origini. Lo stile preciso e garbato della Huy scardina i luoghi comuni sull'identità culturale e sulla riscoperta delle radici. "Il mondo l'avevo conosciuto in francese, leggevo in francese, pensavo in francese. [... ] Si poteva davvero parlare di "radici" quando queste erano state recise il giorno stesso in cui ero venuta al mondo a Clamart?". Sì, perché la forza del passato è una radice feconda che segna il volto per sempre.

L’autore

Minh Tran Huy è nata nel 1979 a Clamart, nei pressi di Parigi, da genitori vietnamiti emigrati in Francia negli anni Sessanta. Fin da piccola ha dovuto fare i conti con la sua duplice identità culturale: se da una parte infatti leggeva e interpretava il mondo che la circondava in francese, dall’altra il lontano e misterioso Vietnam esercitava su di lei una potente attrattiva. Molto apprezzato da critica e pubblico, La principessa e il pescatore è stato selezionato per il Goncourt e nel 2008 ha ricevuto il premio Gironde Nouvelles Écritures. Nello stesso anno è uscito Le lac né en une nuit : Et autres légendes du Viêtnam, una raccolta di racconti e leggende vietnamite, e nel 2009 è stata la volta di La double vie d’Anna Song, uscito in Italia per Neri Pozza. Attualmente Minh Tran Huy vive a Parigi dove lavora come redattore capo aggiunto per il prestigioso «Le Magazine Littéraire» e collabora con diversi programmi culturali televisivi.

L'incipit

Quando ero piccola il mondo era meravigliosamente rassicurante: immaginavo di essere Cenerentola o Pelle d’Asino e davo per scontato che i buoni trionfassero sui cattivi, che le orfanelle diventassero principesse e che i brutti anatroccoli si trasformassero in splendidi cigni. Si poteva patire la povertà o subire le angherie di una matrigna ma un po’ di arguzia, una buona dose di virtù e qualche fata garantivano sempre il lieto fine. Bastava diffidare dei lupi, ringraziare nani e cacciatori, saper riconoscere, dietro sembianze bestiali, un principe vittima di incantesimo, e il gioco era fatto. Tempo dopo, «c’era una volta» e «e vissero felici e contenti» si rivelarono solo formule, pronunciate per mettere, almeno per un istante, il mondo tra parentesi. Non per questo ho smesso di confidare nell’ordine che governa la finzione. In quest’àmbito, anche quando le cose si complicano, è sempre possibile scorgere un intreccio, una parvenza di sistema in grado di dare senso a una serie di parole o di immagini: echi interni e simmetrie, metafore, simboli, corrispondenze… Pensavo che anche la mia vita obbedisse a una logica misteriosa, ancora invisibile, ma che un giorno si sarebbe manifestata. Ed ero convinta che nutrirmi di storie mi mettesse sulla giusta via e affinasse la mia capacità di comprendere il corso delle cose, di coglierne l’armonia nascosta. Nelle storie scorgevo quei fili di Arianna che mi avrebbero aiutata a trovare un varco per uscire, un giorno, dai meandri del reale. E poi sono cresciuta ancora. L’arte ha smesso di essere una chiave che decodifica il significato degli eventi per diventare un ideale a cui tendere, e in quanto tale inaccessibile. Vivere è lanciarsi in un assolo prima di aver imparato a cantare; ritrovarsi, la sera della prima, nei panni del protagonista di una pièce mai provata; scrivere una storia di getto, senza poterla rileggere né modificare. Non c’è un secondo ciak. Procediamo a tentoni, rallentiamo quando dovremmo accelerare, ci inventiamo ostacoli inutili, cambiamo direzione sull’onda di un colpo di testa senza avere idea di quale sia la destinazione. L’esistenza è un racconto che scorre sotto i nostri occhi mentre viene scritto, e nessuno si preoccupa delle ripetizioni, dei buchi e delle incongruenze. È solo nei romanzi che si può correggere, rivedere e riprendere; le vite sono perlopiù sbilenche, governate dal caso, un caso privo di rima.

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