martedì 28 giugno 2022

Gabriella De Fina - L'INDICIBILE - Bompiani

 

Gabriella De Fina
L'INDICIBILE
con una nota di Giulio Mozzi
Bompiani
pp. 240, giugno 2021, Euro 17
ISBN 9788830101777



Il libro

Due amiche scendono dall’auto e si trovano nel cuore di un grande bosco. In una radura, come in una fiaba o in un sogno, c’è la loro casa. Con sé hanno portato solo la malattia: Micaela e Bianca si sono conosciute in ospedale, dove entrambe stanno curando un tumore. Provare a vivere isolate significa sentirsi finalmente libere dal continuo sforzo che il male richiede per essere circoscritto, attutito, rimosso dal mondo dei sani. Vediamo i loro corpi muoversi tra gli alberi, sfiorarsi, riflettersi nello specchio del bagno senza paura di mostrare la propria fragilità, di odiarla, di riderci sopra. E ascoltiamo intrecciarsi alle loro parole una terza voce, dolce eppure pronta a provocare. Una voce misteriosa: ma non lo siamo forse tutti, misteriosi e invisibili agli altri? Sarà anche grazie a questa voce che – durante sette giorni, come quelli della Creazione – Micaela e Bianca riusciranno a dirsi l’indicibile. Con questo libro salutiamo la nascita di una scrittrice, Gabriella De Fina, donna indomita e appassionata della vita. A Giulio Mozzi, che ha tenuto a battesimo il suo romanzo, Gabriella disse che la malattia “lavora sulla tua potenziale cattiveria; ti fa concentrare solo su te stessa, su quelle parti del tuo corpo che la ospitano; ti fa sentire in concorrenza con tutte le altre persone”. Scrivere allora non significa esorcizzare o vincere. Significa cercare una per una, con amorevole esattezza e profonda umanità, le parole per nominare la sofferenza, per condividerla spezzando il cerchio della sua solitudine. Così, scrive Mozzi, “L’indicibile è un romanzo. Ma è un romanzo che dovrebbe essere letto come un’opera di filosofia, di amore per la conoscenza. Perché solo la conoscenza può non salvarci, non consolarci – ma liberarci dal bisogno di essere consolati e di sognare la salvezza”.


L'autrice

Gabriella De Fina è nata a Potenza nel 1958 e si è spenta a Torino nel 2020. Ha vissuto a Palermo, a Città del Messico e a Torino. Laureata in Giurisprudenza, per vent’anni ha fatto l’attrice, lavorando tra gli altri con Bob Wilson, Marco Baliani, Vincenzo Pirrotta, Roberto Guicciardini. Nel 2002 ha curato la drammaturgia dei Viaggi Sentimentali del Parco Letterario Tomasi di Lampedusa. Nel 2006, con l’atto unico Frontera, ha vinto la sezione Italia del premio “La scrittura della differenza – testi di drammaturghe dal Sud”, pubblicato da Manifestolibri, 2006. Negli ultimi quindici anni si è dedicata alla traduzione di letteratura spagnola e ispanoamericana (ha tradotto per Mondadori, E/O, Donzelli, Raffaelli e ha fatto la revisora di traduzione per Einaudi); ha scritto testi di volumi fotografici e pubblicato reportage di viaggio su “Latitudes Travel Magazine”. È autrice di No al pizzo, imprenditori siciliani in trincea (Thor editrice, 2008), ripreso a puntate sulla rivista “Il Primo Amore”.

Bengt Jangfeldt - L'IDEA RUSSA - Neri Pozza

 

Bengt Jangfeldt
L'IDEA RUSSA
da Dostoevskij a Putin
(Vi och dom, 2017)
traduzione di Lidia Salvati
Neri Pozza, collana I Colibrì
pp. 192, 2022, Euro 18
ISBN 978-88-54526-13-6


Il libro

Un’idea percorre la storia della Russia e attraversa i secoli per giungere fino a noi, da Dostoevskij fino a Putin: l’idea dell’eccezionalità della Russia, di un Impero che non è né Occidente né Oriente e che, perciò, può congiungere i due mondi in nome di una sua peculiare forza morale e spirituale. «È ora che io passi alla storia» ha dichiarato Putin a un giornalista russo nel lontano settembre 2013. Non vi sono dubbi che l’obiettivo di Putin sia ricostituire l’Impero russo. Su quali basi, su quali idee, però, si fonda questo disegno, oltre che, naturalmente, sulla forza delle armi? La risposta sta, secondo Bengt Jangfeldt, uno dei maggiori studiosi internazionali di letteratura russa, nelle idee sull’identità nazionale russa formulate da filosofi e scrittori sin dalla metà del xix secolo. In Fëdor Dostoevskij, il grande autore di indimenticabili capolavori della letteratura, che scrive: «C’è una sola verità, e solo un popolo può avere un vero Dio. L’unico popolo portatore di Dio è il russo». In Nikolaj Danilevskij, l’autore di Russia ed Europa, che afferma: «La Russia può conquistare un posto nella storia degno di sé e dei popoli slavi solo ponendosi a guida di un sistema indipendente di Stati e agendo da contrappeso all’Europa in tutte le sue manifestazioni». In Nikolaj Trubeckoj, l’inventore del movimento politico-filosofico chiamato eurasismo per il quale il «mondo russo» è uno spazio che comprende Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakistan. E naturalmente in Aleksandr Dugin e il suo sogno della Grande Russia eurasiatica. 
Attraverso un agile excursus storico, Bengt Jangfeldt mostra come, formulata circa due secoli fa, all’epoca di Nicola I, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e in particolare nell’era di Putin, l’idea che la Russia sia una civiltà a sé abbia conosciuto «una straordinaria rinascita al punto che, sotto il nome di patriottismo, sia arrivata a sostituire il comunismo come ideologia di Stato». L’«idea russa», la chiamava Dostoevskij. A quest’idea sono dedicate le pagine che seguono, indispensabili per capire realmente che cosa è in gioco nella «terra di frontiera» chiamata Ucraina.

L'autore

Bengt Jangfeldt è nato a Stoccolma nel 1948. Professore di lingue e cultura slave all’Università di Stoccolma, è uno dei maggiori studiosi internazionali di letteratura russa. Tra le sue opere si segnalano Majakovskij, una biografia di prossima pubblicazione presso Neri Pozza, e la cura del carteggio tra V. Majakovskij e L. Brik, L’amore è il cuore di tutte le cose (Neri Pozza 2005).



Alan Pauls - STORIA DEL PIANTO - Sur

Alan Pauls
STORIA DEL PIANTO
(Historia del llanto, 2007)
traduzione di Maria Nicola, originariamente pubbliata da Fazi Editore
prefazione di Luciano Funetta
SUR nuova serie 14
pp. 121, marzo 2018, Euro 15
ISBN 978-88-6998-120-3



Il libro

Storia del pianto è il primo volume della «Trilogia della perdita», che insieme a Storia dei capelli e a Storia del denaro forma un personalissimo ritratto dell’Argentina negli anni Settanta.


A soli tredici anni, il protagonista di Storia del pianto è sensibile, sa ascoltare, tutti amano confidarsi con lui. È un adolescente di buona famiglia, che si lascia alle spalle il pionieristico divorzio dei genitori e l’antica passione per Superman in favore di una formazione progressista, militante. L’11 settembre del 1973, mentre guarda in tv le immagini del golpe cileno di Pinochet, vorrebbe piangere ma si accorge di non esserne capace: perché lui non riesce a versare una lacrima, mentre il suo amico si scioglie in un pianto inconsolabile? E se la sua passione rivoluzionaria fosse solo apparenza? Da quel momento, ripercorre gli eventi salienti della sua vita – in cui convivono una fidanzatina di destra, un oligarca torturato, un cantautore di protesta, un vicino di casa militare che potrebbe non essere quel che sembra – attraverso il filtro delle lacrime.

Con una narrazione avvolgente e un’ironia spietata, Pauls racconta gli anni Settanta argentini facendo dialogare i sussulti dell’intimità con gli strepiti della politica.



L'incipit

All’età in cui i bambini sono sempre impazienti di parlare, lui potrebbe passare ore ad ascoltare. Ha quattro anni, o così gli hanno detto. Con stupore dei nonni e di sua madre, riuniti nel soggiorno di avenida Ortega y Gasset, l’appartamento di tre vani dal quale circa otto mesi prima suo padre, a quanto lui ricordi senza alcuna spiegazione, scompare portandosi via il suo odore di sigaretta, l’orologio da tasca e la collezione di camicie con le cifre della camiceria Castrillón, per poi tornare quasi ogni sabato mattina, certo non con la puntualità auspicata da sua madre, a premere il pulsante del citofono e a dire, a chiunque gli risponda, nel tono seccato che più tardi lui impara a riconoscere come l’inconfondibile marchio di quel che rimane dei rapporti di suo padre con le donne una volta che ha avuto dei figli da loro, e fallo scendere, una buona volta!, attraversa la sala di corsa, con indosso il patetico costume da Superman appena ricevuto in regalo e, le braccia tese in avanti in una rozza simulazione di volo, papero impacciato, mummia o sonnambulo, varca e manda in frantumi il vetro della portafinestra. Un attimo dopo torna in sé come da uno svenimento. Si ritrova in piedi fra i vasi del balcone, solo un po’ accaldato e tremante. Si guarda le mani e vede disegnarsi due o tre filini di sangue che gli percorrono i palmi. Non è il fisico d’acciaio del supereroe da lui imitato a salvarlo, come a prima vista verrebbe fatto di credere e come poi riporteranno i racconti destinati a tener viva la memoria di quell’impresa, la più spettacolare, se non la sola, di un’infanzia che per il resto, votata com’è fin dal principio a non attirare l’attenzione, preferisce spendersi in attività solitarie, lettura, disegno, la giovanissima televisione dell’epoca, segno che quel che si suole definire mondo interiore e che a quanto pare caratterizza creature piuttosto strane è in lui considerevolmente più sviluppato che nella maggior parte dei suoi coetanei. A salvarlo è stata la sua sensibilità, pensa, ma si guarda bene dal dirlo, come se temesse che questa spiegazione, una volta rivelata, oltre a contraddire la versione ufficiale, cosa che non lo preoccupa minimamente, possa neutralizzare l’effetto magico di cui vorrebbe rendere conto. Questa sensibilità lui non riesce ancora a considerarla un privilegio, come invece la ritengono i suoi familiari e soprattutto suo padre, che ne trae di gran lunga il maggior vantaggio, ma solo un attributo congenito, anomalo e naturale ai suoi occhi quanto la capacità di disegnare con entrambe le mani che, spesso esaltata da tutta la famiglia, non conosce precedenti e non tarda a dileguarsi. Perché di Superman, eroe assoluto, monumento perenne, le cui avventure lo assorbono al punto che, come un miope, incolla gli occhi alle pagine dei giornalini, non per leggere, perché ancora non sa leggere, ma per lasciarsi obnubilare da colori e forme, non sono le prodezze quel che più lo entusiasma, ma i momenti di cedimento, rari, è vero, e forse proprio per questo tanto più intensi di quelli in cui il supereroe, nel pieno dominio dei suoi superpoteri, blocca a mezz’aria il macigno che qualcuno lascia cadere su una fila di alpinisti, per esempio, o costruisce in pochi secondi una diga per frenare un’inondazione devastante, o mette in salvo planando a volo radente la culla di un neonato che sta per essere travolta da un camion di traslochi sfuggito ai comandi.


L'autore

Alan Pauls è nato a Buenos Aires nel 1959. Ha pubblicato sei romanzi fra cui Storia dei capelliStoria del denaro, Il passato e Storia del pianto. Sceneggiatore e critico letterario, è autore del Fattore Borges (SUR 2016), un manuale di istruzioni per orientarsi nella labirintica letteratura di Jorge Luis Borges.

Pilar Quintana - LA CAGNA - La Tartaruga

 


Pilar Quintana
LA CAGNA
(La perra, 2017)
traduzione di Pino Cacucci
La Tartaruga
pp. 112, giugno 2022, Euro 17
ISBN 9788894814385




Il libro

Un paesaggio colombiano a metà tra la selva e l’oceano, dove si è condannati alla resistenza inquieta. Un matrimonio distante con un pescatore, destinato ad amplificare la solitudine di una donna dal corpo che sfascia le cose. In questo scenario «al di là dell’ultimo cerchio dell’inferno», la protagonista de La cagna decide di adottare una cagnolina chiamata Chirli: è il nome che avrebbe voluto dare alla figlia mai nata, un nome da «reginetta di bellezza». Da quel giorno Damaris inizia a creare un legame simbiotico con l’animale; Chirli viene colonizzata da un carico di amore a cui reagisce sparendo. Brutalmente addomesticata da un’esistenza con poche risorse, Damaris prova a fare da madre a un animale, ma la tentazione di trasformare l’altro nel mezzo della propria felicità si fa miseria. La cagna è il romanzo con cui Pilar Quintana si è imposta al mondo; il suo Il vecchio e il mare personale: anche qui la narrazione riflette il desiderio di creare un legame a tutti i costi con qualcosa fuori da sé. Ma fino a che punto si possono avere rapporti liberi e autonomi in mezzo a una natura violenta e povera? Quando si è privati di tutto, il male che si fa agli altri si chiama ancora violenza? Pilar Quintana ha scritto un romanzo magistrale, pulitissimo nella scrittura, in cui ribolle la muta rivolta di una donna.


L'estratto

Le ferite guarirono e la cagna cominciò a ingrassare, ma Damaris continuò a curarla come se fosse ancora debole e non aveva più remore a chiamarla Chirli né a coccolarla davanti agli altri, nemmeno con Luzmila quando andò a trovarla nel giorno della festa della mamma. Luzmila arrivò con tutta la famiglia, il marito, le figlie, il genero, le nipoti e persino la zia Gilma, che portarono in braccio sulle scale e adagiarono su una sdraio sul balcone della casa grande. Cucinarono un sancocho con carne di gallina sul focolare a legna nel gazebo, riempirono la piscina e fecero il bagno. Nessuno disse “Quanto ce la stiamo spassando alla faccia dei padroni di casa,” ma a Damaris sembrava che tutti lo stessero pensando e, sebbene ridesse delle battute e giocasse con le bambine, lei non se la stava affatto spassando. Si sentiva mortificata per quello che avrebbe pensato la gente se li avesse visti in quel momento a occupare la casa dei Reyes.

La zia Gilma si sventolava con il ventaglio sulla sdraio del balcone come una regina, Rogelio se ne stava stravaccato su un’altra sdraio accanto alla piscina, Luzmila e suo marito, seduti sul bordo, bevevano al collo da una bottiglia di aguardiente, le bambine facevano piroette nell’acqua e Damaris, che era appena uscita dall’acqua, si lasciava dietro una scia di gocce lungo il vialetto lastricato, con il suo culo gigantesco nei pantaloncini e la canottierina stinta che usava come costume da bagno o per lavorare. Damaris pensava che nessuno avrebbe mai potuto prenderli per i proprietari del posto. Erano un gruppo di neri poveri e malvestiti che usavano le cose dei ricchi. Morti di fame che si spacciavano per signori, ecco cosa avrebbe pensato la gente, e Damaris moriva di vergogna perché per lei apparire come una profittatrice era una cosa tremenda e deplorevole quanto l’incesto o il delitto. Si sedette sul pavimento con le gambe distese e si appoggiò al muretto del gazebo. La cagna si sdraiò accanto, mise la testa sulla sua coscia e lei cominciò ad accarezzarla. Luzmila le guardò scuotendo la testa, e poi offrì da bere a Rogelio. “Ti ha già sbattuto fuori dal letto per farci stare la cagna?” gli chiese. “Perché a pranzo la porzione migliore l’ha servita a quella.” Luzmila esagerava. Damaris aveva in effetti servito una porzione di sancocho alla cagna, ma era soltanto la pelle della gallina e un pezzettino di carne. “Non ancora,” rispose Rogelio, “però non lo so perché spreca tanto tempo con quella bestiola che si è persa nella boscaglia e ha provato la vita selvatica. Glielo dico sempre che continuerà a scappare.”

 

L'autrice

Pilar Quintana (Cali, 1972) è una delle autrici più celebri e lette in America Latina. Ha scritto i romanzi Cosquillas en la lengua (2003), Coleccionistas de polvos raros (Premio de Novela de Letras, 2010), Conspiración iguana (2009), la raccolta di racconti Caperucita se come al lobo (2012) e Los abismos (2021, vincitore del Premio Alfaguara). Nel 2011 è stata scrittrice residente presso l’International Writing Program dell’Università dello Iowa e nel 2012 è stata visiting writer al Workshop internazionale degli scrittori dell’Università Battista di Hong Kong. Il suo lavoro è apparso su riviste e antologie in tutto il mondo e in molte lingue. Ha studiato comunicazione sociale alla Università Javeriana di Bogotà e fatto diversi lavori tra cui sceneggiatrice televisiva, pubblicista, terapeuta di giaguari, assistente alla costruzione, commessa di abbigliamento, addetta all’imballaggio di mango e dog sitter. Ha viaggiato tre anni in tutto il mondo per poi vivere sulla costa pacifica colombiana. È co-sceneggiatrice del film Lavaperros, uscito nel 2020 e diretto dal più famoso regista colombiano, Carlos Moreno.



Paola Cadelli - ROSALIND FRANKLIN. Ho fotografato il dna - Morellini

 Paola Cadelli
ROSALIND FRANKLIN
Ho fotografato il dna
Morellini Editore, collana Femminile Singolare (diretta da Sara Rattaro e Anna di Cagno)
pp. 216, giugno 2022, Euro 17,90
ISBN 978-88-6298-944-2


Il libro

Il mistero della struttura del DNA aveva da sempre attratto l’attenzione della scienza e dal Dopoguerra in poi si era scatenata una vera gara tra scienziati allo scopo di arrivare per primi a decifrare questo enigma. Nel 1962 il Nobel per la scoperta della doppia elica viene assegnato a Watson, Crick e Wilkins; nasce il dubbio, tuttavia, che sul podio manchi qualcuno, la dr.ssa Rosalind Franklin, morta nel 1958, grande esperta di cristallografia ai raggi X, una tecnica determinante nel chiarire i segreti della molecola.
La storia si svolge tra Francia e Inghilterra, Isabel Garcia, giornalista, si reca in Bretagna per incontrare Juliette Gellmann, fotografa di successo e amica, nella finzione narrativa, di Rosalind Franklin. L’obiettivo iniziale è quello di chiarire il mistero di un’immagine da lei scattata ai raggi X di cui qualcuno sembra essersi appropriato. Isabel scoprirà molto di più dall’incontro con Juliette, che, con i suoi ricordi, disegnerà il ritratto umano di Rosalind e ne metterà in risalto il rigore professionale e l’amore per la scienza.


L'incipit

Bretagna 1962

«Non so se sia stata una buona idea accettare di incontrarla» disse Juliette a sua sorella Margaux, mentre la aiutava a mettere al riparo le piante dal temporale in arrivo. Il rumore delle onde dell’oceano che si infrangevano sulla scogliera si mescolava al fragore del vento che aveva accumulato nuvole nere su tutta la brughiera. Della mattina di sole restava solo il profumo delle ginestre, mescolato a quello della pioggia. «E tu chiamala, allora, e annulla l’appuntamento» rispose lei con il consueto spirito pratico, senza smettere di stipare nella serra rose, gardenie e gelsomini che conosceva foglia per foglia. Ci parlava spesso insieme, anche, e Juliette la prendeva in giro per questo: «Speri che ti rispondano?» le chiedeva. «Oh, lo fanno già!» la zittiva lei. «Ormai è tardi per telefonarle» rispose. Si erano sedute sulla panca di legno sotto la pergola, al riparo dal vento e dalla pioggia. La burrasca in arrivo dall’Atlantico dava al cielo un colore blu zaffiro.

«Sarà già in treno» continuò Juliette, «è partita da Parigi». «Non ti ha detto di cosa ti voleva parlare?» «Oh, è stata molto vaga… Dice che vuole riparare a un’ingiustizia.» «Una giovane giornalista che vuole salvare il mondo… Non mi stupisce che tu abbia deciso di incontrarla» commentò Margaux mentre si accendeva una sigaretta. «Non lo so… Mi ha incuriosito, aveva una voce carica di aspettative» rispose Juliette. «Farò sempre in tempo a ritirarmi se non avrà niente di interessante da dire. Meglio rientrare, la pioggia è davvero forte adesso.» «Dovrà trovare un passaggio da Morgat… una camminata di due ore, con questo tempo, non è consigliabile» osservò sua sorella preoccupata, rivolgendole uno sguardo interrogativo, mentre chiudeva la porta dietro di loro. Le mura della casa avevano conservato il calore del mattino. «Ah, non credere che io mi muova per andarla a prendere» ribatté decisa. «Juliette, il tuo carattere peggiora sempre più… Questa povera giornalista non sa cosa l’aspetta…» la criticò l’altra con affetto. «Lei ha insistito per incontrarmi, sa che viviamo qui, fuori dal mondo, come non ha mancato di precisare al telefono… Raggiungermi è un problema suo, non mio!» concluse Juliette e accostò le finestre prima che la pioggia battente allagasse la casa.

«Salve, piacere d’incontrarla, mi chiamo Isabelle García, sono la giornalista che vi ha chiamato qualche giorno fa» dissi alla donna che mi aveva aperto la porta di quella piccola ma accogliente abitazione a graticcio. Ero finalmente arrivata a casa di Juliette Gellmann. Non potevo nascondere la mia emozione nel trovarmi di fronte a una delle fotografe che più stimavo, anche se non era per lei, in realtà, che avevo fatto quel viaggio disagevole. «Juliette Gellmann» mi rispose senza fronzoli. «Vieni dentro» e richiuse la porta dietro di me. Restai in piedi per qualche minuto senza sapere cosa fare, mentre lei si accendeva una sigaretta e si sedeva su una poltrona di pelle marrone un po’ logora. Per fortuna, quasi subito, dalla cucina entrò nel salotto dove ci trovavamo una donna più giovane, con tre tazze di tè caldo e delle fette di torta che appoggiò su un tavolo rotondo, invitandomi a sedere. «Io sono Margaux» si presentò sorridente, mentre mi tendeva la mano e mi informava di essere la sorella “simpatica” di Juliette. Aveva un’espressione amichevole e un atteggiamento ospitale che mi consolarono. Ero stanca, infreddolita e affamata. Avevo preso il treno notturno da Parigi fino a Rennes, dove ero salita su una corriera scalcagnata che mi aveva portata fino a Morgat. Ero scesa per ultima, lasciandomi alle spalle le case con il tetto di ardesia per trovarmi davanti solo il mare e la scogliera.


L'autrice

Paola Cadelli vive a Pordenone dove lavora come medico e cardiologa. Ha pubblicato quattro romanzi: Gli amanti di vetro (Omino rosso editore, Pordenone), Il silenzio delle parole (Omino rosso editore, Pordenone), L’ultimo concerto (L’Asino d’Oro editore, Roma), Il giardino delle verità nascoste (L’Asino d’Oro editore, Roma). Dal romanzo L’ultimo concerto è stata tratta una pièce teatrale rappresentata al Teatro Verdi di Pordenone, e il libro è stato finalista al Premio Letteraria città di Fano.



lunedì 27 giugno 2022

Ingeborg Bachmann - TRE SENTIERI PER IL LAGO - Adelphi

 Ingeborg Bachmann
TRE SENTIERI PER IL LAGO
e altri racconti
(Simultan: neue Erzählungen)
traduzione di Amina Pandolfi
Adelphi, collana Fabula 8
pp. 233, 1986,  7ª ediz., Euro 16
ISBN 9788845906534


Il libro

Ingeborg Bachmann apparve nella letteratura, giovanissima, con una raccolta di poesie fra le più perfette della lirica moderna – e ad esse si legò subito la sua grande fama. Ma negli ultimi anni della sua vita, che si interruppe tragicamente nel 1973, si dedicò soprattutto alla prosa, con un vasto romanzo di cui ci rimangono la prima parte, Malina, e alcuni lunghi frammenti; parallelamente scriveva queste cinque storie di donne, che avrebbero composto il suo ultimo libro, qui presentato con il titolo del racconto finale, il più lungo e articolato.
Una traduttrice simultanea; una ragazza giovane e pigra, che ama soprattutto dormire e andare dal parrucchiere; Miranda, che vorrebbe proteggersi dal mondo con la sua miopia; una vecchia signora, che viene abbandonata da suo figlio, illustre psichiatra; una grande fotografa, che torna per qualche giorno nella città di suo padre e della sua infanzia: sono queste le disparate figure intorno a cui ruotano i cinque racconti. E anche i mondi a cui queste donne appartengono sono ogni volta diversi: ma tutte, nel loro presente o nel loro passato, hanno qualcosa in comune: Vienna, città dolce e crudele, che lascia un’impronta indelebile. E tutte si scontrano con una dolorante, insanabile solitudine, tutte tentano testardamente di nascondere il panico di chi si sente franare addosso la vita. Qualcosa perseguita queste donne: ma lo scopriremo solo indirettamente, per accenni. Nessuna vuole confessare il suo segreto, e insieme nessuna rinuncia a escogitare una strategia per sopravvivere, anche se vana, muovendosi tra le molte realtà simultanee che premono su di loro, come le diverse lingue si affollano nella mente della traduttrice, come le voci del passato invadono quella della celebre fotografa mentre segue i «sentieri per il lago», come il latrato dei cani, infine, tortura la vecchia signora abbandonata.
Nello stile della Bachmann, arioso e preciso, nel suo sguardo penetrante, che non vuole risparmiarsi nulla, sentiamo agire la grande eredità di limpidezza e lucidità che appartiene ai suoi maestri viennesi: innanzitutto Musil e Roth (e l’omaggio a Roth è qui evidente nel racconto più lungo, dove il protagonista maschile è un ultimo rappresentante dei Trotta, la famiglia di cui conosciamo la saga attraverso 
La Marcia di Radetzky e La Cripta dei Cappuccini). Protetta da queste vivide ombre, la Bachmann è riuscita ad avvicinarsi con chiaroveggenza al centro oscuro e silenzioso della nebulosa femminile, a quell’intreccio strettissimo di vitalità e disperazione che qui si manifesta nei destini delle sue cinque «donne viennesi».
Le opere complete di Ingeborg Bachmann, in quattro volumi, sono state pubblicate in Germania nel 1978.


L'autrice

Ingeborg Bachmann, nota anche come Ruth Keller (Klagenfurt, 25 giugno 1926 – Roma, 17 ottobre 1973), è stata una poetessa, scrittrice e giornalista austriaca. Figlia di Olga Haas e Mathias Bachmann, Ingeborg nacque nel 1926 in Carinzia, nel cui capoluogo, Klagenfurt, trascorse l'infanzia e l'adolescenza. Dopo i primi studi, negli anni del dopoguerra frequentò le università di Innsbruck, Graz e Vienna dedicandosi agli studi di giurisprudenza e successivamente in germanistica, che concluse discutendo una tesi su (o meglio, contro) Martin Heidegger, dal titolo La ricezione critica della filosofia esistenziale di Martin Heidegger. Suo maestro fu il filosofo e teoretico della scienza Victor Kraft (1890-1975), ultimo superstite del Circolo di Vienna, da cui i membri, in conseguenza dell'assassinio di uno di loro (Moritz Schlick) da parte di un fanatico nazista e dell'ostilità in seguito dimostrata dal regime politico post Anschluss, erano dovuti fuggire. Nell'epoca dello studio ebbe modo di intrattenere contatti diretti con Paul Celan, Ilse Aichinger e Klaus Demus. Presto Bachmann divenne redattrice radiofonica presso l'emittente viennese Rot-Weiss-Rot (Rosso-Bianco-Rosso), per la quale compose nel 1952 la sua prima opera radiofonica, Un negozio di sogni. Il suo debutto letterario avvenne in occasione di una lettura presso il Gruppo 47. Da allora divenne una stella luminosa della letteratura in lingua tedesca. Nel 1953, all'età di 27 anni, ricevette il premio letterario del Gruppo 47 per la raccolta di poesie Il tempo dilazionato. In collaborazione con il compositore Hans Werner Henze produsse il radiodramma Le cicale e il libretto per la pantomima danzata L'idiota nel 1955 e il libretto per l'opera Il Principe di Homburg nel 1960. Nel 1956 venne pubblicata la raccolta di poesie Invocazione all'Orsa maggiore, conseguendo il Premio Letterario della Città di Brema (Bremer Literaturpreis) e iniziando un percorso di drammaturgia per la televisione bavarese. Dal 1958 al 1963 Ingeborg Bachmann intrattenne una relazione con l'autore Max Frisch. Nel 1958 apparve il radiodramma Il buon Dio di Manhattan, insignito l'anno successivo del Premio Audio dei Ciechi di Guerra. Del 1961 è la raccolta di racconti Il trentesimo anno, a sua volta insignito dal Premio per la Critica della Città di Berlino. Nel 1964 le viene consegnato il Premio Georg Büchner  e nel 1968 il Premio nazionale austriaco per la Letteratura. La produzionedi Ingeborg Bachmann prosegue con la pubblicazione nel 1971 del romanzo Malina, diventato un film di Werner Schroeter del 1991, interpretato da Isabelle Huppert, Mathieu Carrière e Can Togay. Il romanzo è stato concepito come la prima parte di una trilogia chiamata "Cause di morte" (Todesarten) rimasta incompiuta e di cui rimangono alcuni frammenti contenuti in Il libro Franza. Nel 1972 fu data alle stampe la raccolta di racconti Tre sentieri per il lago a cui venne attribuito il Premio Anton Wildgans.La sera del 26 settembre 1973, nella sua casa romana di via Giulia, Ingeborg Bachmann incendiò accidentalmente la sua vestaglia di nylon con la brace della propria sigaretta durante un attacco di torpore, verosimilmente indotto dai barbiturici che stava assumendo come tranquillanti per superare un periodo di stress da superlavoro. Benché vigile al momento del trasporto all'ospedale Sant'Eugenio, struttura specializzata nel trattamento delle ustioni, subì danni renali cui fece seguito un'intossicazione ematica che la portarono alla morte il 17 ottobre. Ingeborg Bachmann fu sepolta il 25 ottobre 1973 nel cimitero di Klagenfurt-Annabichl.



.



Anthony Aveni - CONVERSANDO CON I PIANETI - Dedalo

Anthony Aveni
CONVERSANDO CON I PIANETI
Il cosmo nel mito e nella scienza
presentazione di Giuliano Romano
traduzione di Anna Rita Vignati
Edizioni Dedalo, collana Memorabili
pp. 304, settembre 2022, Euro 16,90
ISBN 9788822065162


Il libro

Il primo libro divulgativo di antropologia astronomica: Aveni ci insegna a rivalutare la scienza del passato e  dimostra che le scoperte dei nostri antenati rappresentano una ricca fonte di conoscenza alla quale la scienza moderna può e deve attingere. Fondendo astronomia, mitologia e antropologia, Aveni esamina le credenze dei  Maya, dei Babilonesi, dei Cinesi e delle culture europee antiche, e dimostra che non è possibile separare le scoperte scientifiche dalle culture in cui furono realizzate. Scopriamo che i popoli dell’antichità erano profondamente in sintonia con i moti del Sole, della Luna e dei pianeti: con le sole osservazioni a occhio nudo, avevano messo a punto astrologie e mitologie complesse, e spiegazioni accurate di alcuni fenomeni celesti.


L'autore

Anthony Aveni è professore emerito di Astronomia, Antropologia e Studi dei popoli indigeni d’America alla Colgate University di Hamilton, New York. È considerato uno dei fondatori dell’archeo-astronomia soprattutto per le sue ricerche sulla storia astronomica dei Maya. Ha pubblicato più di 30 libri di successo in tutto il mondo, tra cui Gli imperi del tempo (Dedalo, 1993).


Roland Barthes - COS'E' UNO SCANDALO - L'Orma

Roland Barthes
COS'E' UNO SCANDALO
Testi su se stesso, l'arte, la scrittura e la società.
Scritti ineditti 1933-1980
a cura di Filippo D'Angelo
L'Orma Editore, collana Kreuzville Aleph
pp. 224, 2021, Euro 20
ISBN 9788899793883


Il libro

«Il mondo non fornisce le chiavi del libro, è il libro che apre il mondo.»

Intelligenza di straordinaria duttilità, fecondo interprete degli immaginari novecenteschi, sottile indagatore del desiderio dei corpi e del piacere dei testi: Roland Barthes è presente in tutta la sua brillantezza e leggiadra profondità in questa ricca messe di scritti finora mai pubblicati in Italia che raccoglie saggi sulla letteratura francese (Proust, Gide, Camus), cronache di vita intima e quotidiana, studi sulle arti figurative e inclassificabili pezzi d’occasione.
Frase dopo frase il grande critico conia formulazioni spiazzanti, offre punti di vista inusitati, annoda e inventa tradizioni, come nel testo – in assoluto il primo che ha scritto – dove fantastica di un Socrate che per amore dei suoi discepoli (e per ghiottoneria) fugge di galera, rifiutando la propria condanna a morte.
Alla prediletta forma breve, o meglio, usando le sue parole, alla «forma dolce» di questi variegati interventi Barthes consegna alcune delle sue pagine più sorprendenti e memorabili, pagine che vanno qui a comporre una sfaccettata riflessione sul meraviglioso scandalo rappresentato dalla nostra presenza, sociale e carnale, nel mondo.

L'incipit

Mi sono spesso chiesto perché mi piaccia scrivere (manualmente, intendo), al punto che in parecchie occasioni lo sforzo un po’ ingrato del lavoro intellettuale è riscattato ai miei occhi dal piacere di avere davanti a me (come se fossero gli strumenti di un artigiano) un bel foglio di carta e una buona penna. Mentre rifletto a quello che devo scrivere (come sto facendo in questo stesso momento), sento la mia mano agire, inclinarsi, scorrere, sollevarsi, affondare e, sovente, tramite il gioco delle correzioni, cancellare, trasgredire le righe, ingrandire lo spazio sino ai margini, costruendo così, a partire da tratti minuti e in apparenza funzionali (le lettere), uno spazio che è in buona sostanza quello dell’arte: sono un artista, non perché raffiguro un oggetto, ma perché, più fondamentalmente, nella scrittura il mio corpo gode a tracciare, a incidere ritmicamente una superficie vergine (è vergine ciò che è infinitamente possibile). Dev’essere un piacere antico: in certe caverne preistoriche sono state scoperte sequenze d’incisioni regolarmente spaziate. Era già scrittura? Assolutamente no. Quei tratti non volevano dire nulla, ma il loro stesso ritmo denotava un’attività cosciente, probabilmente magica, o, più in generale, simbolica: la traccia, dominata, organizzata, sublimata (poco importa) di una pulsione. Il desiderio umano d’incidere (tramite un punzone, un calamo, un lapis, una piuma) o di carezzare (con un pennello, con una punta di feltro) ha senz’altro subito trasformazioni che hanno occultato l’origine propriamente corporea della scrittura; ma basta che ogni tanto un pittore (come oggi Masson o Twombly) incorpori forme grafiche alla sua opera per ricondurci a questa evidenza: scrivere non è soltanto un’attività tecnica, è anche una pratica corporea di godimento. Se metto in risalto questo motivo è proprio perché di solito viene censurato. Ciò non vuol dire che l’invenzione e lo sviluppo della scrittura non siano stati determinati dal movimento della Storia più imperiosa: la Storia sociale ed economica. È ben noto che nell’area mediterranea (contrariamente all’area asiatica) la scrittura è nata da imperativi commerciali: lo sviluppo dell’agricoltura, il bisogno di costituire riserve di grano hanno obbligato gli uomini a inventare un mezzo per memorizzare gli oggetti necessari a ogni comunità che tenti di gestire il tempo della conservazione e lo spazio della distribuzione. Almeno da noi, la scrittura è nata così.


L'autore

Roland Barthes (1915-1980), scrittore, semiologo, polemista, è stato uno degli intellettuali più influenti del secondo Novecento. Figura di spicco dello Strutturalismo, la sua opera, che spazia dall’estetica dei testi allo studio della fotografia, dalla riflessione autobiografica alla teoria della moda, ha inaugurato una maniera nuova di leggere i libri e la realtà.



 

domenica 26 giugno 2022

Edith Widder - SOTTO LA SOGLIA DELLE TENEBRE - Bollati Boringhieri

Edith Widder
SOTTO LA SOGLIA DELLE TENEBRE
Memorie di luce e vita nelle profondità del mare
(Below the Edge of Darkness. Exploring Light and Life in the Deep Sea 2021)
Traduzione di Francesca Pe'
Bollati Boringhieri, collana Nuovi Saggi 78
pp. 386, maggio 2022, Euro 28
ISBN 9788833939650



Il libro

L’oceano profondo è l’ecosistema più grande al mondo, ma è anche quello meno esplorato. Molte fra le creature sconosciute che abitano l’oscurità degli abissi comunicano tra loro emettendo luce tramite particolari reazioni chimiche. Lo spettacolare fenomeno della bioluminescenza, che ha da sempre affascinato l’umanità, resta tuttora uno dei campi della scienza più difficili da sondare.
Con le sue immersioni pionieristiche, Edith Widder offre testimonianze uniche di prima mano su questi creatori di luce, trasmettendo al lettore tutto l’incanto di una «fiaba reale», in cui perfino un minuscolo 
flash annuncia la straordinaria esperienza della vita.
Da questo 
memoir autobiografico emerge la gioia coinvolgente della scoperta di mondi sconosciuti: dagli organismi luminescenti che popolano le acque mesopelagiche ai fondali dell’oceano, preziosissimi archivi della Terra; dalla massiccia «migrazione verticale» di creature mozzafiato alla neve marina, che svolge una funzione essenziale nel sequestrare anidride carbonica. Lo studio dei dinoflagellati o del mitico calamaro gigante, che Widder riesce a documentare per la prima volta nel suo habitat naturale, è anche l’occasione per riflettere sulle sfide della scienza e le più fantasiose tecniche adottate per rendere possibili esplorazioni elettrizzanti e, talvolta, pericolose.
Ora che gli oceani sono sempre più minacciati dall’inquinamento e dal cambiamento climatico, la biologia marina e l’ecologia visuale aprono prospettive del tutto inedite. La bioluminescenza infatti svela non solo i misteri degli abissi ma anche come sia possibile la stessa vita sulla Terra. Un libro illuminante, in tutti i sensi, capace di stimolare la nostra capacità di guardare il mondo con autentica meraviglia.


L'incipit

Dal lato destro del sommergibile si alzò un sibilo. Mi inclinai per cercare di capire da dove venisse di preciso. Non pensavo di dovermi preoccupare, ma era un rumore diverso, e se c’è una cosa che ho imparato dalle immersioni con il sommergibile è che la diversità non va mai sottovalutata. Trattandosi del Deep Rover, un veicolo monoposto senza collegamenti con il mondo esterno, non c’era nessuno a cui potessi chiedere: «Lo senti anche tu?». Ero sola, a più di cento metri sotto la superficie dell’oceano, circondata da acqua a perdita d’occhio, e continuavo a scendere verso le tenebre. Il sibilo, all’inizio quasi impercettibile sopra il ronzio degli aeratori, diventava sempre più forte e inquietante. Nel tentativo di individuarne la causa cominciai ad agitarmi sul sedile, una postazione imbottita al centro di quella sfera di resina acrilica trasparente larga un metro e mezzo. Mi piegai in due, contorcendomi per portare l’orecchio destro alla stessa altezza della strumentazione sul bracciolo. A quel punto i piedi (indossavo solo le calze) mi scivolarono in basso, trovando una cosa che nessuno vorrebbe mai trovare dentro un sommergibile: acqua. Un sacco di acqua. Si metteva male. La risposta più appropriata era il terrore assoluto, che infatti mi travolse. Per fortuna rimasi abbastanza padrona di me stessa da agire per salvarmi. Prima di tutto dovevo risalire all’origine. Eccola: l’acqua entrava da una valvola aperta sotto il sedile, sul lato destro. Ora non restava altro che fermarla. Grosso problema: la maniglia era sparita! C’era solo lo stelo della valvola, che però non si chiudeva senza una maniglia su cui fare leva. L’acqua si riversava dentro dalla piccola apertura e il sibilo sempre più acuto era la dimostrazione sonora che il sommergibile diventava via via più pesante e sprofondava più in fretta, mentre il livello dell’acqua saliva. Con la testa che girava a mille, svuotai le casse d’assetto e azionai i propulsori verticali. È troppo tardi? Ho già superato il punto di non ritorno? Ovviamente no, visto che sono qui a raccontarlo. Riaffiorai e mi portarono in salvo, ma fu un po’ troppo sconvolgente per i miei gusti, e non posso negare che quel ricordo non mi ha più abbandonato.1 Nel corso della mia carriera di biologa marina ho fatto centinaia di immersioni con il sommergibile, il che significa che ho vissuto altri brutti momenti: non molti, ma abbastanza. Quello non fu il peggiore,2 ma capitò all’inizio della carriera e rischiai davvero la pelle. Perciò vi starete chiedendo: perché continuo? Sinceramente, l’idea di smettere non mi ha mai neppure sfiorato.


L'autrice

Edith Widder è una oceanografa e biologa marina. Si laurea in biologia alla Tufts University, consegue un master in biochimica e un dottorato in neurobiologia alla University of California. È co-fondatrice e scienziata senior della Ocean Research & Conservation Association, una no-profit per la conservazione degli oceani. Ha ricevuto numerosi premi ed encomi di merito per le sue esplorazioni delle profondità marine. Le sue ricerche sono state presentate alla BBC, PBS, Discovery Channel e National Geographic, e in tre TED Talk di successo. Sotto la soglia delle tenebre è il suo primo libro tradotto in italiano.