Sergio Trombetta
RUDOLF NUREYEV
prefazione di Carla Fracci
Lindau
luglio 2023
pp. 148, € 16,00
ISBN 9788833539867
Rudolf Nureyev non ha bisogno di presentazioni, perché è forse il danzatore più talentuoso e conosciuto di tutti i tempi. Nato in una famiglia umile, contraddistinto da un carattere forte, spesso non facile per chi gli stava intorno, perfezionista nel lavoro, Nureyev è una delle icone inevitabili quando pensiamo al panorama artistico del Novecento.
In questa biografia agile, che si legge come un romanzo per la scorrevolezza dello stile e le emozioni che lascia filtrare, Sergio Trombetta, penna storica della «Stampa» per quanto riguarda la danza classica e grande conoscitore in particolare della scena russa, traccia un rittratto molto personale, intimo e allo stesso tempo rigoroso di Nureyev, dagli esordi alla fuga in Europa, ai grandi successi come danzatore e come regista, fino alla battaglia contro l'AIDS che lo portò alla morte.
Un libro che trasmette appieno tutto l'amore per la danza del suo protagonista e del suo autore.
Un estratto
La limousine nera, con i finestrini oscurati, attende in Place Diaghilev, alla «entrée des artistes» dell’Opéra di Parigi. È tardi e il rumore del traffico ancora intenso dei boulevard, che si incrociano davanti alla sontuosa facciata di Palais Garnier, qui giunge attutito. Dalla porta degli artisti esce un uomo stanco, evidentemente malato. Cammina sorretto da due persone che lo aiutano a salire sull’auto. È elegantissimo, porta un frac nero e, gettato su una spalla, uno scialle rosso a decorazioni cachemire. Stona solamente quel ridicolo berretto di lana di diversi colori che gli copre il capo.
Non è mai stato un modello di eleganza Rudolf Nureyev. Ma in questa sera di ottobre del 1992, berrettino a parte, è impeccabile. Così, con il suo perfetto frac nero, magrissimo, il volto scheletrico, gli occhi ancora pieni di fuoco, la bocca atteggiata in un sorriso di ringraziamento che sembra una smorfia di dolore, poche ore prima è apparso sul palcoscenico dell’Opéra. Aiutato da
due ballerini, era venuto a ringraziare il pubblico al termine della Bayadera.
Per uscire dalla quinta e raggiungere il centro del palcoscenico aveva chiesto che calassero il sipario, perché nessuno si accorgesse che non era più in grado di camminare da solo. Quando il velario si era rialzato su quel viso martoriato dalla malattia, su quel corpo che in tempi neanche tanto lontani aveva trionfato proprio in quel tempio della danza, tutto il pubblico si era alzato in piedi e, compatto, si era abbandonato ad un applauso fragoroso, affettuoso, interminabile, durato oltre dieci minuti.
Mentre la limousine si allontana dall’Opéra e scivola per il boulevard verso la Senna, sfinito dalla stanchezza, privo di forze, Nureyev si abbandona al ricordo delle ore appena trascorse. Sa che quella è stata la sua ultima serata, il suo ultimo applauso.
A 54 anni, il grande ballerino, il più grande della danza di questa seconda metà del secolo, è malato. Sino a ora ha voluto tenere nascosta la sua malattia, l’ha negata. Ma tutti sanno e dicono apertamente che è l’Aids la causa del suo stato e che il male ormai non gli concede che poche settimane di vita.
Ufficialmente l’aggravarsi della sua condizione fisica è attribuito ai postumi di una operazione al cuore, subita per curare una pericardite. Una malattia alla cui origine, hanno fatto notare cronisti pettegoli, c’è sempre un’infezione.
Tutti i grandi protagonisti del mondo della danza si sono resi conto che quella avrebbe potuto essere l’ultima occasione di incontrarlo. Danzatori, coreografi, manager, impresari sono venuti a Palais Garnier per dargli un saluto affettuoso, un ultimo bacio sulle guance incavate, per stringergli la mano ancora una volta.
Al primo intervallo è stata una vera processione verso il palco di proscenio dove il grande danzatore se ne sta disteso su una poltrona, il capo coperto dal berretto di lana, il corpo avvolto nello scialle. Il coreografo francese Roland Petit, che con Nureyev in passato aveva avuto dure polemiche, esce dal palco visibilmente commosso. Il direttore del Bol’šoj, Jurij Grigorovič, che un tempo come tutti i sovietici aveva considerato Rudolf un traditore della patria, è venuto da Mosca: lo commuove
il fatto che entrambi, a poche settimane di distanza, abbiano messo in scena lo stesso balletto, Bayadera, lui a Mosca e Rudy a Parigi. Anthony Dowell, un tempo ballerino di grande eleganza e bellezza e oggi, capelli grigi e viso ancora nobile, direttore del Royal Ballet, esce dal palco mantenendo un imperturbabile «aplomb». Poi si fanno avanti Carolyn Carlson, Marika Besobrasova, Patrick Dupond allora direttore dell’Opéra.
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