martedì 6 settembre 2022

Lidia Yuknavitch - LA CRONOLOGIA DELL'ACQUA - Nottetempo

Lidia Yuknavitch
LA CRONOLOGIA DELL'ACQUA
(The Chronology of Water, 2011)
traduzione di Alessandra Castellazzi
Nottetempo
pp. 336, maggio 2022, Euro 17
ISBN 9788874529582


Il libro

Il nuoto, il corpo che si perde e si ritrova nell’acqua, e la letteratura, il desiderio di scrivere senza compromessi, sono le uniche due certezze di Lidia. La cronologia dell’acqua è così la storia di una vita che “non segue alcun ordine. Gli avvenimenti non rispondono al rapporto di causa ed effetto come vorremmo. È tutta una serie di frammenti e ripetizioni e trame,” perché “questo condividono il linguaggio e l’acqua”. Tutto scorre, nelle parole come nelle corsie di una piscina, in questo romanzo che rinnova radicalmente la tradizione del memoir, raccontando senza ipocrisie il genere, la sessualità, l’abuso, l’elaborazione del lutto, il superamento della sofferenza. Lidia cresce con un padre violento e una madre incapace di proteggerla, in una famiglia che la condizionerà anche quando, proprio grazie a una borsa di studio per il nuoto, riuscirà ad allontanarsi. Colpita da una perdita straziante, si trova a fare i conti con un dolore estremo: Lidia reagisce, sbaglia, cerca nell’alcol e nel sesso una via di fuga, tocca il fondo, reagisce ancora, riprende a nuotare. Dentro la muove un desiderio di vita e di creazione – e attraverso incontri decisivi con autori come Ken Kesey e Kathy Acker prende forma il suo cammino di scrittrice. Il viaggio che Lidia affronta, e nel quale trascina con passione e levità struggente il lettore, è un viaggio di dipendenza e autodistruzione, e poi di sopravvivenza. Un viaggio che trova una conciliazione finale in un amore sincero, in un figlio che nuota felice anche se malissimo, e in un libro, questo, che testimonia una nuova profonda consapevolezza di sé nel proprio mondo.





L'incipit

Il giorno in cui mia figlia nacque morta, dopo aver stretto il futuro rosa dalle labbra di bocciolo tra le mie braccia tremanti, tenera inanimata, e aver ricoperto di baci e lacrime il suo volto, dopo che ebbero passato la mia defunta bambina a mia sorella che la baciò, poi al mio primo marito che la baciò, poi a mia madre che non sopportò di tenerla, dopo che l’ebbero portata fuori dalla mia stanza d’ospedale, minuscola cosetta inanimata in fasce, l’infermiera mi diede dei tranquillanti e una saponetta e una spugna. Mi accompagnò in una doccia speciale. La doccia aveva un sedile e il getto scendeva leggero, caldo. Disse: è una bella sensazione, vero. L’acqua. Disse: sanguini ancora un po’. Lascia scorrere. Lacerata dalla vagina al retto, ricucita. Acqua su un corpo. Mi sedetti sullo sgabello e chiusi la tenda di plastica. La sentivo canticchiare. Sanguinai, piansi, pisciai, vomitai. Diventai acqua. Alla fine dovette rientrare “per evitare che annegassi”. Era una battuta. Mi fece sorridere. Le piccole tragedie sono complicate da processare. Si ingrossano e sguazzano tra le grandi doline del cervello. È difficile sapere cosa pensare di una vita quando ci sei immersa fino alle ginocchia. Vuoi tirartene fuori, vuoi spiegare che dev’esserci un errore. Tu sei la nuotatrice, dopotutto. Poi vedi le onde abbattersi irregolari, travolgere tutti, scaraventarli come tante testoline galleggianti ovunque e non puoi che ridere tra i singhiozzi di quelle stupide teste di boa. La risata può riscuoterti dal delirio del lutto. Quando scoprimmo che la vita dentro di me era morta, dissero che il parto vaginale era comunque la soluzione migliore. Avrebbe mantenuto, per quanto possibile, il mio corpo sano e forte per il futuro. Il mio grembo, il mio utero, il mio canale vaginale. Siccome ero stordita dal lutto, feci come dicevano. Il travaglio durò trentotto ore. Quando il feto non si muove, il processo normale è rallentato. Niente muoveva mia figlia là dentro. Né ore e ore di flebo di Pitocin. Né il mio primo marito che si addormentò durante il suo turno al mio capezzale – né mia sorella che, entrando, ci mancò poco lo sbattesse fuori per i capelli. Al clou ero seduta sul bordo del letto, mia sorella mi teneva le spalle e mi trascinava nel suo corpo a ogni fitta di dolore dicendo: “Sì, respira”. Sentii una forza che non ritrovai mai più in lei. Sentii l’ondata di forza materna di mia sorella. Un simile dolore protratto a lungo è estenuante. Nemmeno venticinque anni di nuoto bastarono al mio corpo. Quando infine arrivò, pesciolina morta, me l’appoggiarono sul petto proprio come una bambina viva.


L'autrice

Lidia Yuknavitch ha insegnato Scrittura creativa, Letteratura e Studi femminili alla Eastern Oregon University. In italiano sono stati pubblicati i suoi due romanzi Dora (Indiana, 2011) e Il libro di Joan (Einaudi, 2019). Con La cronologia dell’acqua ha raccolto negli anni un successo di culto, conquistando sempre più lettori e lettrici in molti paesi.

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