LA FRAGILE COSTELLAZIONE DELLA VITA
(A Constellation of Vital Phenomena, 2013)
traduzione di Laura Prandino
Piemme
pp. 420, aprile 2014, Euro 18,50
ISBN 978-88-566-3016-9
Il libro
La vita non è mai una linea retta. E la sua era un’orbita irregolare attorno a una stella oscura, una falena che girava attorno a una lampadina fulminata, alla ricerca della luce che aveva racchiuso.
Un uomo e una bambina fuggono nei boschi; alle loro spalle, una casa in fiamme, distrutta dai soldati russi che hanno arrestato il padre della bambina e che ora stanno cercando anche lei. L’uomo si chiama Achmed: medico (incompetente) di professione, artista (mancato) per vocazione, nella vita ha sbagliato tutto, ma ora non può fallire, deve salvare la piccola Havaa, figlia di colui che un tempo era il suo migliore amico. È pronto a rischiare la vita pur di portarla in città, è disposto a tutto pur di chiedere aiuto a una donna di cui conosce soltanto il nome: Sonja. Lei fa il chirurgo, e ha abbandonato una brillante carriera a Londra per tornare in Cecenia a cercare la sorella scomparsa. Insieme a un’unica infermiera, gestisce ciò che resta dell’ospedale della città, dove è più facile procurarsi munizioni che garze, le suture si fanno con il filo interdentale, e due soli reparti sono ancora in funzione: maternità e traumatologia. Perché la vita, dopo anni di guerra, ormai è semplice, essenziale: si nasce, si muore. Grazie ad Havaa, nel corso di cinque giorni cruciali, Achmed e Sonja scopriranno gli intrecci invisibili che legano da sempre le loro strade. Perché Havaa è la forza che attrae i destini in un’unica orbita. È un vento che riporta il desiderio di speranze e passioni dimenticate. È l’anello che chiude il cerchio e fa sì che tutto possa continuare. Si nasce, si muore; la vita rinasce.
L'incipit
La mattina dopo che i Federali le avevano incendiato la casa e preso suo padre, Havaa si svegliò da sogni di anemoni di mare. Mentre lei si vestiva, Achmed, che non aveva chiuso occhio, camminava avanti e indietro davanti alla porta della camera, osservando il cielo schiarirsi oltre il vetro della finestra; il sorgere del sole non lo aveva mai fatto sentire in ritardo. Quando la bambina emerse dalla camera, con l’aria più grande dei suoi otto anni, Achmed le prese la valigia e lei lo seguì all’esterno. La condusse fino al centro della strada prima di alzare gli occhi su quello che restava della casa. «Havaa, dobbiamo andare» disse, ma nessuno dei due diede segno di volersi muovere. La neve si ammorbidì sotto le loro scarpe mentre fissavano la grossa chiazza di cenere appiattita al di là della strada. Rade braci arancioni sibilavano ancora nelle pozze di neve grigia, ma tutto il resto era carbonizzato. Nemmeno sette anni prima, Achmed aveva aiutato Dokka a costruire un’aggiunta, affinché la bambina avesse una stanza tutta per sé. Aveva disegnato il progetto e tagliato la legna e l’aveva trasformata in assi che erano diventate una stanza; e quando Dokka gli aveva promesso di ricambiare aiutandolo a costruire un’aggiunta per casa sua, se mai avesse avuto un figlio, Achmed aveva ringraziato l’amico e se n’era tornato a casa, con un groppo in gola che s’era sciolto in un singhiozzo appena si era chiuso la porta alle spalle. Trasportare la legna per i quaranta metri che li separavano dal bosco gli aveva lasciato le vesciche sulle mani e le ascelle fradice di sudore, ma adesso erano bastate poche ore di fiamme perché tutto quello che gli era costato mesi di progetto, settimane di trasporto, giorni di costruzione, tutto – a eccezione di chiodi e rivetti, cardini e bulloni – si disperdesse nel cielo. E insieme al resto erano spariti anche i piccoli tesori che facevano di quella casa la casa di Dokka. C’erano i pezzi degli scacchi intagliati a mano sul tavolino rotondo; il re bianco che, a muoverlo, tentennava da una parte all’altra come un uomo sobrio quel tanto che bastava per reggersi in piedi, e Dokka lo aveva soprannominato sua maestà Boris Eltsin. C’era il vaso di porcellana con gli arabeschi persiani e, accanto, la grossa radio con l’antenna così lunga che sfiorava il soffitto quando la si appoggiava all’elenco telefonico, eppure ancora troppo corta per riuscire a captare più di un fruscio indistinto. C’era il Corano vecchio di ottantacinque anni, con la copertina viola percorsa dall’intricata calligrafia, che il nonno di Dokka aveva comprato alla Mecca. C’erano tutte quelle cose, e le fiamme se le erano mangiate e, poiché le fiamme non distinguono la parola di Dio da quella dell’Ufficio del Registro delle Comunicazioni Sovietico, sia il Corano sia l’elenco telefonico erano tornati a Lui nella stessa vampata di fumo. Le dita della bambina gli serravano il polso come un bracciale. Avrebbe voluto caricarsela in spalla e fuggire a nord finché il bosco avesse inghiottito il paese, ma davanti ai resti anneriti non riusciva a raccogliere le forze per richiamare alle labbra una parola di conforto, per stringere la mano della bimba nella sua, né per muovere i piedi nella direzione in cui voleva farli andare. «Quella è casa mia.» La voce della bambina aveva rotto il silenzio e Achmed la sentì come avrebbe sentito l’unico suono che avesse echeggiato in un corridoio vuoto.
L'autore
Anthony Marra, nato a Washington D.C., abita a Oakland, in California. Dopo un periodo di studi nell’Europa dell’Est, ha frequentato un Master in scrittura creativa alla Iowa University e insegna attualmente alla Stanford. A soli ventinove anni, ha vinto alcuni dei più importanti premi letterari americani: prima il Pushcart Prize, The Atlantic’s Student Writing Contest e il Narrative Prize per i suoi racconti; poi sono arrivati il Whiting Award, il National Book Critics Circle’s Debut Award e la candidatura al prestigioso National Book Award per il suo romanzo d’esordio: La fragile costellazione della vita. Bestseller sul «New York Times», la sua opera prima è stata selezionata tra i migliori libri dell’anno, sia dai critici delle principali testate («The Washington Post», «San Francisco Chronicle», «Publishers Weekly» e «Library Journal», tra le altre) sia dal pubblico di Amazon e Goodreads. È ora in corso di traduzione in quattordici paesi. Vanta tra i suoi lettori il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
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