Trenta ore di morte e menzogne
Lindau, Collana 'I Leoni'
pagine 226, € 19,00 - eBook € 12,99
aprile 2023
ISBN: 9788833539263
Adolf Hitler si uccide tra le 15,15 e
le 15,30 del 30 aprile 1945. I sovietici sono a pochi metri dal
bunker di Berlino, ma lo scettro non passa immediatamente nelle mani
del grand'ammiraglio Dönitz, che poi metterà il sigillo sulla resa
dei nazisti. Il nuovo cancelliere è Joseph Goebbels, il cantore del
regime: gestirà il suo debole e allucinato governo, circondato dai
carri armati nemici, per sole 30 ore. Poi si ucciderà, insieme a
tutta la sua famiglia. In quel breve lasso di tempo Goebbels non
rinuncerà però alla propaganda, infarcita di menzogne, e alla sua
cultura di morte, cercherà di tagliare le gambe ai gerarchi nazisti
in fuga e a circuire Dönitz con messaggi contraddittori o falsi,
tentando alla fine di trattare, senza successo, con i sovietici.
Documenti e mappe alla mano, Giovanni
Mari analizza le nomine fatte da Hitler attraverso il suo testamento,
illustra l'effettiva estensione del Reich al primo maggio 1945 e la
situazione economico-amministrativa dei territori ancora non
occupati, ripercorre le ultimissime battaglie attorno al Reichstag e
il tentativo di trattativa con i sovietici, raccontando una storia
che pochissimi conoscono davvero.
–––
Tra il suicidio di Adolf Hitler e il
conferimento dei poteri all'ammiraglio Karl Dönitz, l'uomo che l'8
maggio del 1945 avrebbe firmato la resa nazista, la Germania ebbe un
governo guidato da Joseph Goebbels. Un governo che ebbe brevissima
durata, poco più di un giorno. Quasi sempre i libri di storia
trascurano quella giornata. La trascurano nonostante nel corso di
quella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 1945 i successori di
Hitler abbiano tentato una mediazione in extremis con i sovietici. Ed
è a questo tentativo di patteggiamento che Giovanni Mari dedica
un'accurata ricostruzione.
Paolo Mieli, «Corriere della Sera»
Giovanni Mari è giornalista al «Secolo XIX» di Genova. Si è occupato a lungo dello scontro tra i partiti politici italiani, interessandosi in particolare al tema della propaganda politica. Ha pubblicato il saggio Genova, vent'anni dopo. Il G8 del 2011, storia di un fallimento e il romanzo Klausener Strasse. 1970: caccia al cadavere di Hitler, il diario segreto del KGB.
(Foto: © Manuel Cavasin, Ludovica Renaldo, Francesco Cabrio)
L'incipit
Il 29 aprile del 1945, alle 4 del
mattino, rinchiuso nel bunker ricavato tra le fondamenta della Nuova
Cancelleria, in una Berlino ormai distrutta dall’assedio
dell’Armata Rossa, Adolf Hitler firmò il suo testamento politico.
Aveva già organizzato il suicidio e preparava la sua successione
impartendo ordini che riteneva ancora assoluti. Nonostante sapesse
che il quartiere governativo nazista di Wilhelmstrasse sarebbe stato
presto conquistato dalle truppe sovietiche e circondato dalle
macerie, addossò l’intera colpa della seconda guerra mondiale al
«giudaismo internazionale», ne spiegò la sconfitta con la mancanza
di carattere di troppi generali tedeschi e auspicò una storica
resurrezione della Germania e del nazionalsocialismo. Esposte le sue
aberranti tesi, spogliò di tutti i diritti e gli onori i suoi due ex
fedelissimi Hermann Göring e Heinrich Himmler. Göring era stato più
volte indicato come naturale successore, ma – nel momento fatidico
– Hitler lo destituiva dal suo rango, accusandolo di alto
tradimento. Così scrisse nelle sue ultime volontà:
Prima di morire ordino che l’ex
maresciallo del Reich Hermann Göring sia espulso dal partito e
privato di tutti i diritti già conferitigli dal mio decreto del 29
giugno 1941 e dalla mia dichiarazione al Reichstag del 1° settembre
1939. Al suo posto nomino presidente del Reich e comandante supremo
delle forze armate il grand’ammiraglio Karl Dönitz […]. Göring
e Himmler hanno coperto di un’onta irreparabile l’intera nazione,
per non parlare della mia persona, negoziando in segreto con il
nemico contro la mia volontà e a mia insaputa. Hanno tentato di
impadronirsi del potere illegalmente
Attraverso il testamento, quindi,
Hitler nominava Dönitz capo dello Stato e provvedeva a indicare i
nomi del cancelliere e di tutti i ministri di un preteso nuovo
governo del Reich:
Per dare al popolo tedesco un
governo composto di uomini onorevoli che compiano il dovere di
continuare la guerra con tutti i mezzi, io, Führer della nazione,
nomino i seguenti membri del gabinetto: presidente del Reich Dönitz,
cancelliere del Reich dr Joseph Goebbels, ministro del partito Martin
Bormann… [seguono tutti i ministri e gli incarichi per gli alti
ruoli militari]. Esigo da tutti i tedeschi e da tutti i
nazionalsocialisti, uomini e donne, da tutti i soldati della
Wehrmacht, obbedienza e fedeltà fino alla morte al nuovo governo e
al nuovo presidente.
Disposizioni e ordini che,
evidentemente, immaginava fondati su un potere sostanzialmente
divino, che sarebbe sopravvissuto alla sua morte e che avrebbe avuto
piena forza su una popolazione martoriata e su uno Stato quasi
interamente occupato da più eserciti stranieri. Dönitz era un
gentiluomo d’altri tempi completamente ammaliato dal nazismo, che
da tempo aveva scambiato il diritto militare per prassi comune da
estendere a tutta la popolazione e che aveva ordinato di giustiziare
i traditori.
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