Cameron Stewart
PERCHE' I CAVALLI CORRONO ?(titolo originale
Why do horses run ?,
2024)
traduzione di Barbara Ronca
Carbonio editore
collana Cielo stellato
pp. 304, euro 19,50
L’uomo cammina decine di chilometri
al giorno su e giù per l’Australia orientale; dall’estremità
nord, lambisce l’intera costa fino a raggiungere il Nuovo Galles
del Sud.
Si lascia alle spalle il Great Dividing
Range; supera brughiere alpine e altopiani, mentre promontori
frastagliati gli offrono la visuale di schegge di oceano; percorre
vallate strette e scoscese, pianure alluvionali, luoghi da pascolo
immensi, basse catene di colline verdeggianti; si addentra in
boschi di eucalipti, in campi di canna da zucchero e di
mirtilli; attraversa ponti ferroviari e città minerarie. Preferisce sentieri isolati e vie secondarie, con la
luce; si tiene ai bordi delle strade di scorrimento, con il
buio.
L’importante è ridurre al minimo ogni contatto umano,
fermarsi lo stretto necessario, poiché ogni sosta può trasformarsi
in una trappola, basta un attimo per sprigionare i ricordi, per
mandarli a briglia sciolta come i cavalli che corrono, poco importa
se via da qualcosa o verso qualcosa.
L’uomo deve avere più
di quarant’anni, il viso e il corpo sono quelli di uno sciupato
dalle intemperie. Sotto gli occhi, ha rughe marcate, la barba e i
capelli sono lunghi e bruciati dal sole, il fisico è scarno.
Annota
i pensieri in un blocchetto sgualcito. Ha smesso di parlare da tre
anni, da quando peregrinare è diventato il suo unico obiettivo e un
pezzo d’ambra – il regalo di chi ha amato di più e ama ancora –
l’unica cosa alla quale tiene.
Durante il cammino, incrocia
cercatori d’oro imbroglioni, cacciatori di canguri sinistri,
automobilisti bruschi ma i cui passaggi gli risparmiano i
tragitti più faticosi.
Vive di ciò che la terra gli concede,
talvolta raccogliendo frutta in fattorie gigantesche al fianco di
nomadi, Pacific Islanders stagionali, lavoratori
irregolari con il terrore di essere deportati.
Un
giorno, arrivato in una valle tropicale, l’uomo adocchia un capanno
di banane in una vasta tenuta.
È esausto, dorme male da troppo
tempo, ha bisogno di riposarsi.
Quando Hilda, l’anziana
proprietaria, si avvicina guardinga insieme al suo cane, le passa dei
foglietti strappati dal taccuino su cui scrive:
Posso dormire nel capanno in fondo alla collina?
Tre
giorni. Le sarò debitore.
Se
Ingvar non parla, Hilda parla senza sosta con Col, il marito defunto,
al quale ha ancora diverse cose da dire e da puntualizzare.
A poco
a poco, nella quotidianità scandita dalle incombenze della fattoria
e dagli umori della natura, tra Ingvar e Hilda si instaura una
vicinanza autentica e l’uno riesce a scorgere nell’altro il
riflesso delle proprie ferite.
In questa solidarietà forte e
istintiva, il dolore di entrambi trova un inatteso conforto e una
possibilità di rinascita.
Cameron Stewart declina temi
capitali come la perdita, la colpa, il caso, l’amicizia dentro un
racconto possente in cui il protagonismo della natura smorza ogni
rischio di retorica.
Perché i cavalli corrono? è
un’istigazione al viaggio.
Viaggio alla ricerca di un altro sé,
capace di perdonarsi e di godere di quello che ancora aspetta di
essere vissuto.
Viaggio alla scoperta del mondo, che in queste
pagine coincide con la wilderness australiana e i suoi contrasti
vertiginosi. Accanto a paesaggi sconfinati segnati dall’incuria
umana – tenute agricole fatiscenti, recinti abbandonati,
carcasse di automobili, assi di legno marcio, serre in rovina,
cancelli arrugginiti –, una fauna magnificente, dove
spiccano marsupiali e volatili di ogni tipo, vive in una
vegetazione altrettanto grandiosa tra boschi aperti, foreste
pluviali, prati, giardini e una moltitudine di piante sconosciute
all’occhio europeo.
Una natura fonte di paura e di
meraviglia, che schiaccia e consola, mette alla prova e protegge.
Mi chiamo
Ingvar.
Pur sconcertata – il capanno non
ha elettricità e non è escluso sia diventato riparo dei serpenti –,
la donna acconsente.
I tre giorni previsti passano, ma
Ingvar non ha lasciato il capanno. Si è messo in testa di lastricare
il vialetto d’accesso alla fattoria che si snoda per ben duecento
metri dal fondo della vallata fino alla tenuta e che, quando piove,
diventa un pericolo per Hilda tanto si fa scivoloso e
impraticabile.
Comincia una strana convivenza.
L'Inizio
PRIMA
Le chiome degli alberi ondeggiarono,
innaffiando Ingvar di pioggia invernale. Lui non batté ciglio. Tirò
fuori una lente di ingrandimento e si chinò in avanti per guardare
meglio. Nascosto sotto il pacciame c’erano tre capolini
scintillanti, ciascuno della dimensione di una grossa moneta. Ogni
fiore presentava una serie di brattee color crema, chiazzate di viola
e raggruppate assieme in una spirale rivolta verso l’interno. Le
infiorescenze emanavano un profumo dolce che ricordava la vaniglia.
Ingvar si passò il pollice sull’angolo dell’occhio sinistro,
sporco di terriccio, e sbatté le palpebre. Il cuore gli batteva
forte. Davanti a lui c’era una delle piante più rare al mondo: la
Rhizanthella slateri, un’orchidea sotterranea in grado di
germogliare, crescere e fiorire senza mai emergere dal terreno.
Aiutandosi con una paletta da giardiniere, Ingvar grattò via altra
terra. Al di sotto delle ceree teste di fiore si trovava un gambo
carnoso e bianco, sviluppatosi da un rizoma orizzontale. Non c’erano
radici. L’alterità assoluta di quella pianta colpì Ingvar. Gli
tornò in mente un brano di un vecchio libro sul naturalismo, che
raccontava di un ateo che era andato a visitare una mostra di
orchidee e ne era uscito convinto che il diavolo esistesse. Una raff
ica di vento freddo si insinuò tra gli alberi e Ingvar sollevò la
testa. Un corvo lo teneva sott’occhio da un ramo umido. Aveva
smesso di piovere, ma si stava facendo buio. Ingvar tornò a
rivolgere la sua attenzione all’orchidea e sfilò di tasca il
telefono per scattarle qualche fotografia. Poi si alzò in piedi e
registrò le coordinate gps. Era ora di tornare in città. Di tornare
a casa sua.
ADESSO – 1 strade secondarie
Adesso mangio gli animali uccisi dalle
auto di passaggio. Quando la fame si fa disperata prendo le carcasse
che trovo sulla strada. Conigli, canguri, goanna: purché non siano
già rigidi, purché i muscoli si f lettano, sono ancora
commestibili. Li eviscero e controllo che non ci siano parassiti.
Arrostisco pezzetti di carne sulla punta del coltello o su rametti
verdi che ho strappato da un arboscello. I corvi vengono meglio cotti
sulle braci. Quando sono costretto ad andare in città per procurarmi
delle provviste, vedo altre persone. Vedo persone che fanno spese o
commissioni, mangiano nei bar o fanno la fila. Stanno in piedi,
studiando il telefono o chiacchierando, oppure guidano tra le vie
della città. Vedo persone che fanno jogging. Qualcuno porta il cane
a passeggio o pedala in bicicletta. Quando mi fermo davanti alle
scuole guardo i genitori prendere i figli e aiutarli con lo zaino. Li
abbracciano, parlano con loro della giornata trascorsa o gli
arruffano i capelli. Qualche volta li vedo ridere. Quelle sono le
immagini che mi spaventano di più. Li vedo scivolar via in barca a
remi, ridendo e facendo cenni di saluto, ignari del fatto che stanno
remando verso una cascata letale. Ma non rimango mai a lungo in
città, perché la gente mi rende nervoso. Percorro le strade di
campagna. Le strade secondarie. Cammino finché sono troppo stanco
per proseguire. Giorno o notte, poco importa. Non sono schizzinoso
quando si tratta di dormire: sul terreno, nei fossi, sotto i ponti o
nell’erba alta accanto a tronchi marci. Questi sono i miei letti,
adesso. Osservo verdi nubi di parrocchetti trasformare il cielo in un
caleidoscopio, poi cala la notte e la mia mente vaga in luoghi dove
non voglio seguirla, perciò mi alzo e riprendo a camminare. Sento lo
spostamento d’aria dei camion di passaggio. Quando passo davanti a
un cippo commemorativo a bordo strada lo sfioro con la mano.
Ieri notte camminavo verso nord lungo
una via secondaria, e mi sono venute in mente le placche tettoniche e
le tigri della Tasmania. La luna emanava un bagliore intenso, l’aria
era fresca e io avevo percorso forse trenta chilometri prima
dell’alba. Riesco a camminare per ore adesso, senza pensare a
granché. Certi giorni ho la mente completamente svuotata. Ma ieri
notte ho pensato al fatto che stavo camminando diretto a nord su una
terra che a sua volta si sposta verso nord. Quando il Gondwana si
frammentò, la placca continentale australiana andò alla deriva
verso nord a una velocità di circa sei centimetri all’anno per
cinquanta milioni di anni. Dopo aver percorso più o meno tremila
chilometri, alla fine si scontrò con la placca del Pacifico,
costringendola a inabissarsi nel mantello terrestre. Le rocce si
fusero e piegarono, la terra si impennò e si formarono le montagne.
Quella collisione diede origine alle catene montuose della Papua
Nuova Guinea ma anche alle acque del Torres Strait, che adesso la
separa dall’Australia. Poi, circa trentamila anni fa, quando ebbe
inizio l’Era Glaciale e il livello del mare si abbassò di oltre
cento metri, emerse una massa continentale che si estendeva dalla
Tasmania fino alla Papua Nuova Guinea, e le tigri della Tasmania, o
tilacini, si diffusero in tutta la regione. Resti fossilizzati sono
stati ritrovati in Nuova Guinea, nell’Australia continentale e in
Tasmania. Ci sono anche delle pitture rupestri che li raffigurano fin
nella remota regione del Kimberley nel Western Australia.

Attore, sceneggiatore e scrittore
australiano, Cameron Stewart è cresciuto in una fattoria
vicino alla cittadina di Mullumbimby, nel Nuovo Galles del Sud. I
suoi genitori, la madre, botanica, e il padre, ornitologo, sono state
figure fondamentali per la sua conoscenza della natura e del
paesaggio australiani, maturata sin da piccolo. Ha vissuto ad
Alice Springs, Canberra, Cairns, stabilendosi infine a Sydney, dove
ha studiato Scrittura creativa e Discipline dello spettacolo e
lavorato per diversi anni. Oggi vive in Corea del Sud, a Seul. Dopo
essersi fatto notare con i suoi racconti, usciti su riviste e
antologie – David Leavitt è stato tra i suoi editor –, nel 2024
ha pubblicato il suo primo romanzo Perché i cavalli corrono?,
vincitore del MUD, tra i maggiori riconoscimenti letterari
australiani, assegnato dall’omonimo Club Letterario durante
l’Adelaide Writers’ Week, che si tiene ogni marzo da
sessantacinque anni. Perché i cavalli corrono? è stato
anche tra i finalisti – nella sezione ‘esordi’ – dei NSW
Literary Awards, uno dei più ricchi e longevi premi letterari
australiani. Stewart è attualmente impegnato nella stesura
di Cosmonaut, il suo secondo romanzo.