Guy de Maupassant
L’EREDITÀ
(titolo originale L'Héritage, 1884)
traduzione e introduzione di Bruno Nacci)
Carbonio editore
Collana Origine
novembre 2024
pp. 160, € 15
L’EREDITÀ
(titolo originale L'Héritage, 1884)
traduzione e introduzione di Bruno Nacci)
Carbonio editore
Collana Origine
novembre 2024
pp. 160, € 15
Nella Parigi della Belle Époque, César
Cachelin, impiegato del Ministero della Marina, combina un
matrimonio tra la figlia Cora e uno dei suoi colleghi più
promettenti e ambiziosi, Léopold Lesable, pregustando l’ingente
eredità che la sua ricca sorella Charlotte ha destinato alla giovane
nipote. Ma alla morte dell’anziana zitella, con enorme sgomento i
Cachelin apprendono una clausola del testamento sino ad allora
ignorata: la coppia può disporre dell’eredità solo con l’arrivo
di un figlio nel limite dei tre anni di matrimonio, diversamente
il denaro – un milione netto! – andrà tutto in beneficenza.
Col passare dei mesi, le speranze di una
discendenza si fanno sempre più flebili. Se prima
Cachelin venerava Lesable per la sua ambizione e proprio per questo
lo aveva scelto come marito di sua figlia, adesso lo guarda «con un
bisogno furioso di batterlo, di schiacciarlo, di prenderlo a
calci». La posta in gioco resta però troppo alta per rinunciarvi. E
forse la soluzione va cercata fuori dalle pareti di casa.
L’autore non inventa, osserva quel che vede e ne scrive con un registro che oscilla di continuo tra farsa e tragedia, ironia e crudeltà, levità e rassegnata amarezza che è vero e proprio dolore. Incentrata sui temi atavici della nascita, l’infertilità, l’onore, il tradimento, L’eredità offre un memorabile spaccato della piccola borghesia impiegatizia francese di fine Ottocento, implacabilmente ingorda, pavida e arrivista, parte di quella commedia umana sconfinata che non finisce mai di ispirare la grande letteratura e l’arte tutta.
Uscita nel 1884, prima sul mensile illustrato “La Vie Militaire” e poi all’interno della raccolta di racconti Miss Harriet, la novella L’eredità amplia lo spunto narrativo del racconto breve Un milione, pubblicato nel 1882 sul quotidiano “Gil Blas”.
In questo capolavoro di sottile e grottesca arte narrativa, Maupassant gioca sullo scarto fra apparenza e realtà, sulle intenzioni provocate dagli istinti più bassi, e fa muovere i personaggi come attori su un palcoscenico. Sono le loro azioni a rivelarli e a smascherarne gli opportunismi, le piccolezze, i voltafaccia, i calcoli. Tutto e a ogni costo è finalizzato all’ascesa sociale.
L’autore non inventa, osserva quel che vede e ne scrive con un registro che oscilla di continuo tra farsa e tragedia, ironia e crudeltà, levità e rassegnata amarezza che è vero e proprio dolore. Incentrata sui temi atavici della nascita, l’infertilità, l’onore, il tradimento, L’eredità offre un memorabile spaccato della piccola borghesia impiegatizia francese di fine Ottocento, implacabilmente ingorda, pavida e arrivista, parte di quella commedia umana sconfinata che non finisce mai di ispirare la grande letteratura e l’arte tutta.
Uscita nel 1884, prima sul mensile illustrato “La Vie Militaire” e poi all’interno della raccolta di racconti Miss Harriet, la novella L’eredità amplia lo spunto narrativo del racconto breve Un milione, pubblicato nel 1882 sul quotidiano “Gil Blas”.
In questo capolavoro di sottile e grottesca arte narrativa, Maupassant gioca sullo scarto fra apparenza e realtà, sulle intenzioni provocate dagli istinti più bassi, e fa muovere i personaggi come attori su un palcoscenico. Sono le loro azioni a rivelarli e a smascherarne gli opportunismi, le piccolezze, i voltafaccia, i calcoli. Tutto e a ogni costo è finalizzato all’ascesa sociale.
L’edizione di Carbonio
ripropone entrambi i testi in un unico libro dando al lettore la
possibilità di un immediato raffronto tra le due versioni e, al
contempo, di avere un’idea più palpabile di come si sia sviluppato
il processo creativo dell’autore.
L’impeccabile e
frizzante nuova traduzione di Bruno Nacci, corredata di
un’introduzione corposa e coinvolgente, rende davvero
imperdibile il recupero di questa gemma letteraria di Guy de
Maupassant.
L'incipit
Non erano ancora le dieci, ma gli impiegati arrivavano a frotte sotto il grande portone del Ministero della Marina, si affrettavano da ogni angolo di Parigi, perché si avvicinava Capodanno, periodo di zelo e promozioni. Un rumore di passi concitati echeggiava nel grande palazzo tortuoso come un labirinto, solcato da inestricabili corridoi su cui si aprivano le innumerevoli porte degli uffici. Ognuno rientrava al suo posto, stringeva la mano del collega che lo aveva preceduto, si toglieva la giacca, indossava il vecchio abito da lavoro e si sedeva al tavolo dove l’attendeva un mucchio di carte. Poi si recava negli uffici vicini per sentire le ultime novità. Prima di tutto si informava se il capo fosse già arrivato, se era di luna buona, se la corrispondenza del giorno era voluminosa. César Cachelin, impiegato d’ordine incaricato della ‘gestione generale’, ex sottoufficiale della fanteria di marina, divenuto col tempo impiegato principale, prendeva nota su un grande registro di tutti i documenti che gli portava l’usciere di gabinetto. Di fronte a lui, papà Savon, lo spedizioniere, un vecchio scimunito famoso in tutto il Ministero per le sue disgrazie coniugali, trascriveva lentamente una lettera del capo, e vi si applicava tenendo il corpo inclinato, l’occhio obliquo, nella rigida postura del copista meticoloso. Cachelin, uomo robusto, con i capelli bianchi e corti a spazzola, intento al suo lavoro quotidiano, stava dicendo: “Trentadue dispacci da Tolone. Quel porto ce ne rifornisce tanti quanti gli altri quattro messi insieme”. Poi rivolse a papà Savon la stessa domanda di tutti gli altri giorni: “Allora! Vecchio mio, come va la signora?”. Senza interrompere il lavoro, il vecchio rispose: “Lo sapete bene, Cachelin, quanto è penoso per me questo argomento”. L’impiegato d’ordine, sentendo la solita frase, si mise a ridere come sempre. Si aprì la porta ed entrò il signor Maze. Era un bel ragazzo bruno, vestito con un’eleganza eccessiva, che si riteneva poco valorizzato, giudicando il proprio aspetto e i propri modi superiori alla sua posizione. Portava dei grossi anelli, l’orologio con una pesante catenella, il monocolo, solo per vezzo, dal momento che quando lavorava lo toglieva, e muoveva frequentemente i polsi per mettere in risalto i polsini ornati da grandi bottoni luccicanti. Affacciato alla porta, chiese: “C’è molto lavoro oggi?”. Cachelin rispose: “C’è sempre Tolone in testa. Si vede che il Capodanno è vicino, sono zelanti, quelli”. Apparve Pitolet, un altro impiegato, spiritoso e brillante, che a sua volta chiese ridendo: “Perché, noi non siamo zelanti?”. Poi, estratto l’orologio, sentenziò: “Sette minuti alle dieci e sono già tutti al loro posto! Accidenti! E questo come lo chiamate? E scommetto che Sua Eccellenza il signor Lesable era già qui alle nove, come il nostro illustre capo”. L’impiegato d’ordine smise di scrivere, appoggiò la penna all’orecchio, e con i gomiti sullo scrittoio: “Oh! Quello poi, diamine, se non ce la fa, non sarà certo perché non ce l’ha messa tutta!”. Pitolet, seduto su un angolo del tavolo, dondolando una gamba, rispose: “Ce la farà, Cachelin, ce la farà di sicuro. Scommetto venti franchi contro un soldo che prima di dieci anni diventerà capufficio!”. Maze, che si arrotolava una sigaretta scaldandosi le gambe al fuoco, disse: “Cavolo! Quanto a me, preferirei restare tutta la vita fermo a duemila e quattro piuttosto che sgobbare come lui”. Pitolet girò sui tacchi e, in tono beffardo: “Questo non vi impedisce, mio caro, che oggi, venti dicembre, siate qui prima delle dieci”.
Di origine aristocratica, Guy de
Maupassant nasce nel 1850 nella tenuta di Miromesnil in
Normandia. I suoi primi anni sono segnati dai rapporti tesissimi tra
i genitori fino alla loro separazione, nel 1862. Allo scoppio della
guerra franco-prussiana, nel 1870, Maupassant si arruola come
volontario. Tornato dal fronte, lavora come impiegato prima al
ministero della Marina e poi a quello dell’Istruzione. Intanto
scrive alacremente incoraggiato dall’amico di famiglia Gustave
Flaubert, che venera come maestro e mentore. La sua prima raccolta di
racconti, La casa Tellier, esce nel 1881; segue un decennio di
fama e ricchezza in cui Maupassant pubblica centinaia di racconti
e sei romanzi, tra i quali spiccano Una
vita (1883), Bel-Ami (1885) e Pierre e
Jean (1888). Il successo andrà di pari passo con un’estenuante
irrequietezza che, gravata da varie patologie (malattie veneree,
cancro, paralisi), sfocerà nella follia. Dopo un tentato suicidio
nel 1892, Maupassant verrà ricoverato in una clinica alle porte di
Parigi dove trascorrerà l’ultimo anno e mezzo di vita, morendo il
6 luglio 1893 all’età di quarantadue anni. Solo in parte
riconducibile alla grande lezione del Realismo e del
Naturalismo, più vicina piuttosto al pensiero di Leopardi e
Schopenhauer, l’opera di Maupassant rappresenta una delle
vette più elevate della letteratura europea dell’Ottocento, che
apre la strada al grande racconto moderno del Novecento.
Bruno Nacci ha curato classici
della letteratura francese, da Chamfort a Nerval, e in particolare si
è occupato di Blaise Pascal, su cui ha scritto il saggio La
quarta vigilia. Gli ultimi anni di Blaise Pascal (2014). Di
Flaubert ha tradotto Bouvard e Pécuchet e La
tentazione di sant’Antonio, uscito per Carbonio nel 2023. Ha
pubblicato il noir L’assassinio della Signora di
Praslin (2000); con Laura Bosio ha scritto i romanzi storici Per
seguire la mia stella (2017), La casa degli uccelli (2020)
e il saggio Da un’altra Italia (2014). Ha pubblicato le
raccolte di racconti: La vita a pezzi (2018), Dopo
l’innocenza (2019), Destini (2020), Congedo
delle stagioni (2022) e il racconto lungo La fine del
viaggio (2023).
Non erano ancora le dieci, ma gli impiegati arrivavano a frotte sotto il grande portone del Ministero della Marina, si affrettavano da ogni angolo di Parigi, perché si avvicinava Capodanno, periodo di zelo e promozioni. Un rumore di passi concitati echeggiava nel grande palazzo tortuoso come un labirinto, solcato da inestricabili corridoi su cui si aprivano le innumerevoli porte degli uffici. Ognuno rientrava al suo posto, stringeva la mano del collega che lo aveva preceduto, si toglieva la giacca, indossava il vecchio abito da lavoro e si sedeva al tavolo dove l’attendeva un mucchio di carte. Poi si recava negli uffici vicini per sentire le ultime novità. Prima di tutto si informava se il capo fosse già arrivato, se era di luna buona, se la corrispondenza del giorno era voluminosa. César Cachelin, impiegato d’ordine incaricato della ‘gestione generale’, ex sottoufficiale della fanteria di marina, divenuto col tempo impiegato principale, prendeva nota su un grande registro di tutti i documenti che gli portava l’usciere di gabinetto. Di fronte a lui, papà Savon, lo spedizioniere, un vecchio scimunito famoso in tutto il Ministero per le sue disgrazie coniugali, trascriveva lentamente una lettera del capo, e vi si applicava tenendo il corpo inclinato, l’occhio obliquo, nella rigida postura del copista meticoloso. Cachelin, uomo robusto, con i capelli bianchi e corti a spazzola, intento al suo lavoro quotidiano, stava dicendo: “Trentadue dispacci da Tolone. Quel porto ce ne rifornisce tanti quanti gli altri quattro messi insieme”. Poi rivolse a papà Savon la stessa domanda di tutti gli altri giorni: “Allora! Vecchio mio, come va la signora?”. Senza interrompere il lavoro, il vecchio rispose: “Lo sapete bene, Cachelin, quanto è penoso per me questo argomento”. L’impiegato d’ordine, sentendo la solita frase, si mise a ridere come sempre. Si aprì la porta ed entrò il signor Maze. Era un bel ragazzo bruno, vestito con un’eleganza eccessiva, che si riteneva poco valorizzato, giudicando il proprio aspetto e i propri modi superiori alla sua posizione. Portava dei grossi anelli, l’orologio con una pesante catenella, il monocolo, solo per vezzo, dal momento che quando lavorava lo toglieva, e muoveva frequentemente i polsi per mettere in risalto i polsini ornati da grandi bottoni luccicanti. Affacciato alla porta, chiese: “C’è molto lavoro oggi?”. Cachelin rispose: “C’è sempre Tolone in testa. Si vede che il Capodanno è vicino, sono zelanti, quelli”. Apparve Pitolet, un altro impiegato, spiritoso e brillante, che a sua volta chiese ridendo: “Perché, noi non siamo zelanti?”. Poi, estratto l’orologio, sentenziò: “Sette minuti alle dieci e sono già tutti al loro posto! Accidenti! E questo come lo chiamate? E scommetto che Sua Eccellenza il signor Lesable era già qui alle nove, come il nostro illustre capo”. L’impiegato d’ordine smise di scrivere, appoggiò la penna all’orecchio, e con i gomiti sullo scrittoio: “Oh! Quello poi, diamine, se non ce la fa, non sarà certo perché non ce l’ha messa tutta!”. Pitolet, seduto su un angolo del tavolo, dondolando una gamba, rispose: “Ce la farà, Cachelin, ce la farà di sicuro. Scommetto venti franchi contro un soldo che prima di dieci anni diventerà capufficio!”. Maze, che si arrotolava una sigaretta scaldandosi le gambe al fuoco, disse: “Cavolo! Quanto a me, preferirei restare tutta la vita fermo a duemila e quattro piuttosto che sgobbare come lui”. Pitolet girò sui tacchi e, in tono beffardo: “Questo non vi impedisce, mio caro, che oggi, venti dicembre, siate qui prima delle dieci”.
grazie a Costanza Ciminelli / Ufficio Stampa Carbonio Editore