venerdì 15 novembre 2024

Guy de Maupassant - L’EREDITÀ - Carbonio

 
Guy de Maupassant
L’EREDITÀ
(titolo originale L'Héritage, 1884)
traduzione e introduzione di Bruno Nacci)
Carbonio editore
Collana Origine
novembre 2024
pp. 160, € 15


Nella Parigi della Belle Époque, César Cachelin, impiegato del Ministero della Marina, combina un matrimonio tra la figlia Cora e uno dei suoi colleghi più promettenti e ambiziosi, Léopold Lesable, pregustando l’ingente eredità che la sua ricca sorella Charlotte ha destinato alla giovane nipote. Ma alla morte dell’anziana zitella, con enorme sgomento i Cachelin apprendono una clausola del testamento sino ad allora ignorata: la coppia può disporre dell’eredità solo con l’arrivo di un figlio nel limite dei tre anni di matrimonio, diversamente il denaro – un milione netto! – andrà tutto in beneficenza. Col passare dei mesi, le speranze di una discendenza si fanno sempre più flebili. Se prima Cachelin venerava Lesable per la sua ambizione e proprio per questo lo aveva scelto come marito di sua figlia, adesso lo guarda «con un bisogno furioso di batterlo, di schiacciarlo, di prenderlo a calci». La posta in gioco resta però troppo alta per rinunciarvi. E forse la soluzione va cercata fuori dalle pareti di casa.
L’autore non inventa, osserva quel che vede e ne scrive con un registro che oscilla di continuo tra farsa e tragedia, ironia e crudeltà, levità e rassegnata amarezza che è vero e proprio dolore. Incentrata sui temi atavici della nascita, l’infertilità, l’onore, il tradimento, L’eredità offre un memorabile spaccato della piccola borghesia impiegatizia francese di fine Ottocento, implacabilmente ingorda, pavida e arrivista, parte di quella commedia umana sconfinata che non finisce mai di ispirare la grande letteratura e l’arte tutta.
Uscita nel 1884, prima sul mensile illustrato “La Vie Militaire” e poi all’interno della  raccolta di racconti Miss Harriet, la novella L’eredità amplia lo spunto narrativo del racconto breve Un milione, pubblicato nel 1882 sul quotidiano “Gil Blas”.
In questo capolavoro di sottile e grottesca arte narrativa, Maupassant gioca sullo scarto fra apparenza e realtà, sulle intenzioni provocate dagli istinti più bassi, e fa muovere i personaggi come attori su un palcoscenico. Sono le loro azioni a rivelarli e a smascherarne gli opportunismi, le piccolezze, i voltafaccia, i calcoli. Tutto e a ogni costo è finalizzato all’ascesa sociale.

L’edizione di Carbonio ripropone entrambi i testi in un unico libro dando al lettore la possibilità di un immediato raffronto tra le due versioni e, al contempo, di avere un’idea più palpabile di come si sia sviluppato il processo creativo dell’autore.
L’impeccabile e frizzante nuova traduzione di Bruno Nacci, corredata di un’introduzione corposa e coinvolgente, rende davvero imperdibile il recupero di questa gemma letteraria di Guy de Maupassant.

L'incipit
Non erano ancora le dieci, ma gli impiegati arrivavano a frotte sotto il grande portone del Ministero della Marina, si affrettavano da ogni angolo di Parigi, perché si avvicinava Capodanno, periodo di zelo e promozioni. Un rumore di passi concitati echeggiava nel grande palazzo tortuoso come un labirinto, solcato da inestricabili corridoi su cui si aprivano le innumerevoli porte degli uffici. Ognuno rientrava al suo posto, stringeva la mano del collega che lo aveva preceduto, si toglieva la giacca, indossava il vecchio abito da lavoro e si sedeva al tavolo dove l’attendeva un mucchio di carte. Poi si recava negli uffici vicini per sentire le ultime novità. Prima di tutto si informava se il capo fosse già arrivato, se era di luna buona, se la corrispondenza del giorno era voluminosa. César Cachelin, impiegato d’ordine incaricato della ‘gestione generale’, ex sottoufficiale della fanteria di marina, divenuto col tempo impiegato principale, prendeva nota su un grande registro di tutti i documenti che gli portava l’usciere di gabinetto. Di fronte a lui, papà Savon, lo spedizioniere, un vecchio scimunito famoso in tutto il Ministero per le sue disgrazie coniugali, trascriveva lentamente una lettera del capo, e vi si applicava tenendo il corpo inclinato, l’occhio obliquo, nella rigida postura del copista meticoloso. Cachelin, uomo robusto, con i capelli bianchi e corti a spazzola, intento al suo lavoro quotidiano, stava dicendo: “Trentadue dispacci da Tolone. Quel porto ce ne rifornisce tanti quanti gli altri quattro messi insieme”. Poi rivolse a papà Savon la stessa domanda di tutti gli altri giorni: “Allora! Vecchio mio, come va la signora?”. Senza interrompere il lavoro, il vecchio rispose: “Lo sapete bene, Cachelin, quanto è penoso per me questo argomento”. L’impiegato d’ordine, sentendo la solita frase, si mise a ridere come sempre. Si aprì la porta ed entrò il signor Maze. Era un bel ragazzo bruno, vestito con un’eleganza eccessiva, che si riteneva poco valorizzato, giudicando il proprio aspetto e i propri modi superiori alla sua posizione. Portava dei grossi anelli, l’orologio con una pesante catenella, il monocolo, solo per vezzo, dal momento che quando lavorava lo toglieva, e muoveva frequentemente i polsi per mettere in risalto i polsini ornati da grandi bottoni luccicanti. Affacciato alla porta, chiese: “C’è molto lavoro oggi?”. Cachelin rispose: “C’è sempre Tolone in testa. Si vede che il Capodanno è vicino, sono zelanti, quelli”. Apparve Pitolet, un altro impiegato, spiritoso e brillante, che a sua volta chiese ridendo: “Perché, noi non siamo zelanti?”. Poi, estratto l’orologio, sentenziò: “Sette minuti alle dieci e sono già tutti al loro posto! Accidenti! E questo come lo chiamate? E scommetto che Sua Eccellenza il signor Lesable era già qui alle nove, come il nostro illustre capo”. L’impiegato d’ordine smise di scrivere, appoggiò la penna all’orecchio, e con i gomiti sullo scrittoio: “Oh! Quello poi, diamine, se non ce la fa, non sarà certo perché non ce l’ha messa tutta!”. Pitolet, seduto su un angolo del tavolo, dondolando una gamba, rispose: “Ce la farà, Cachelin, ce la farà di sicuro. Scommetto venti franchi contro un soldo che prima di dieci anni diventerà capufficio!”. Maze, che si arrotolava una sigaretta scaldandosi le gambe al fuoco, disse: “Cavolo! Quanto a me, preferirei restare tutta la vita fermo a duemila e quattro piuttosto che sgobbare come lui”. Pitolet girò sui tacchi e, in tono beffardo: “Questo non vi impedisce, mio caro, che oggi, venti dicembre, siate qui prima delle dieci”.

Di origine aristocratica, Guy de Maupassant nasce nel 1850 nella tenuta di Miromesnil in Normandia. I suoi primi anni sono segnati dai rapporti tesissimi tra i genitori fino alla loro separazione, nel 1862. Allo scoppio della guerra franco-prussiana, nel 1870, Maupassant si arruola come volontario. Tornato dal fronte, lavora come impiegato prima al ministero della Marina e poi a quello dell’Istruzione. Intanto scrive alacremente incoraggiato dall’amico di famiglia Gustave Flaubert, che venera come maestro e mentore. La sua prima raccolta di racconti, La casa Tellier, esce nel 1881; segue un decennio di fama e ricchezza in cui Maupassant pubblica centinaia di racconti e sei romanzi, tra i quali spiccano Una vita (1883), Bel-Ami (1885) e Pierre e Jean (1888). Il successo andrà di pari passo con un’estenuante irrequietezza che, gravata da varie patologie (malattie veneree, cancro, paralisi), sfocerà nella follia. Dopo un tentato suicidio nel 1892, Maupassant verrà ricoverato in una clinica alle porte di Parigi dove trascorrerà l’ultimo anno e mezzo di vita, morendo il 6 luglio 1893 all’età di quarantadue anni. Solo in parte riconducibile alla grande lezione del Realismo e del Naturalismo, più vicina piuttosto al pensiero di Leopardi e Schopenhauer, l’opera di Maupassant rappresenta una delle vette più elevate della letteratura europea dell’Ottocento, che apre la strada al grande racconto moderno del Novecento. 

Bruno Nacci ha curato classici della letteratura francese, da Chamfort a Nerval, e in particolare si è occupato di Blaise Pascal, su cui ha scritto il saggio La quarta vigilia. Gli ultimi anni di Blaise Pascal (2014). Di Flaubert ha tradotto Bouvard e Pécuchet  e La tentazione di sant’Antonio, uscito per Carbonio nel 2023. Ha pubblicato il noir L’assassinio della Signora di Praslin (2000); con Laura Bosio ha scritto i romanzi storici Per seguire la mia stella (2017), La casa degli uccelli (2020) e il saggio Da un’altra Italia (2014). Ha pubblicato le raccolte di racconti: La vita a pezzi (2018), Dopo l’innocenza (2019), Destini (2020), Congedo delle stagioni (2022) e il racconto lungo La fine del viaggio (2023).



grazie a Costanza Ciminelli / Ufficio Stampa Carbonio Editore


giovedì 14 novembre 2024

Mike McCormack - OSSA DI SOLE - Il Saggiatore

 
Mike McCormack
OSSA DI SOLE
(titolo originale Solar Bones, 2016)
Traduzione di Luca Usari
Il Saggiatore
ottobre 2018
pp. 242, Euro 24
ISBN 9788842824879

Ci sono istanti in cui la vita scorre tutta intera davanti agli occhi, come una visione. Ossa di sole cattura quella visione e la trasforma in romanzo. Gli occhi e la vita appartengono a Marcus Conway, un marito, un padre, un ingegnere che abita in un lembo rurale d’Irlanda. È il 2 novembre, il giorno dei morti. Seduto al tavolo della cucina, Marcus sente il rintocco di una campana, la campana dell’Angelus. Quel suono risveglia in lui la vertigine del ricordo, i nodi irrisolti, le ferite, gli amori non riconciliati: la moglie che ama e ha tradito, il figlio lontano, la figlia artista che scrive un’invettiva sui muri della galleria, usando il proprio sangue come pittura. Lo sguardo fantasma di Marcus si solleva fino ad abbracciare la contea, il paese, i tormenti del suo tempo: dal collasso economico irlandese all’epidemia che, attraverso l’acqua, si è insinuata tra le persone, facendo ammalare sua moglie. A ossessionarlo è la tecnologia, un destino al quale non resta che arrendersi, un’entità ubiquitaria e indecifrabile che lo rende estraneo a se stesso, mentre i numeri che governano la finanza si inoculano silenziosi nel quotidiano. A interrogarlo è la trama sottile del reale, i fili invisibili che corrono sotto la pelle della terra come ossa di sole, adombrano un senso per poi negarlo, traccia potente di una sacralità perduta. Ogni aspetto di quel mondo, che è il mondo di ognuno, sembra sfuggire alla sua comprensione, collassare verso un singolo punto restituendo solo dubbio e inquietudine. Scritto in un’unica frase che si rompe e ricompone al ritmo di un respiro, Ossa di sole è il flusso di una coscienza in cui si imprime un riflesso del tutto, che abbraccia in ogni attimo l’infinitesimo e l’infinito. Mike McCormack convoca nella sua scrittura la tradizione irlandese di Beckett e Joyce per costruire la parabola eccezionale di una vita come tante, la solitudine e l’amore di un uomo capace di provare meraviglia e sconcerto per l’esistente. Un monologo in cui la morte e il vuoto metafisico del presente sono raccontati con il raccoglimento della preghiera, con il furore della bestemmia

Mike McCormack è uno scrittore irlandese, autore di due raccolte di racconti e tre romanzi, tra cui si segnalano Notes from a Coma (2005) e Forensic Songs (2012). Con Ossa di sole ha vinto l’International Dublin Literary Award ed è stato selezionato per il Man Booker Prize.


Grazia Deledda, dal cinema alla musica in una serata ad Alghero

 

Domenica 17 novembre il Festival “Mediterranea. Culture. Scambi. Passaggi” torna ad Alghero con una serata interamente dedicata a Grazia Deledda. Nello spazio di Lo Quarter sono previsti due eventi curati dall’Associazione Editori Sardi - AES in partenariato con la Società Umanitaria di Alghero e l’Università di Sassari. 

Alle 17,30 è in programma la tavola rotonda “Cenere - Storia d’amore e di dolore”, a 120 anni dalla prima edizione del romanzo deleddiano “Cenere” e a un secolo dalla scomparsa di Eleonora Duse, iconica attrice italiana che recitò per il cinema solo una volta, proprio nella trasposizione cinematografica dell’opera deleddiana. Della genesi del film ma soprattutto del rapporto tra la scrittrice premio Nobel per la letteratura e la “divina” Duse parleranno la critica letteraria Angela Guiso, la docente di Discipline dello spettacolo all’Università La Sapienza di Roma Paola Bertolone, la docente di Storia e critica del cinema all’Università di Sassari Lucia Cardone e la direttrice della Società Umanitaria di Alghero Alessandra Sento, moderate dalla presidente AES Simonetta Castia. Alle 19 sarà proiettato il film, diretto nel 1916 da Febo Mari.

La seconda parte della serata, dalle 20, sarà un omaggio in musica dal titolo “Grazia, la madre”, con la cantautrice algherese Claudia Crabuzza che presenta brani ispirati ai romanzi di Grazia Deledda. Ideazione e parole di Stefano Starace, musiche e arrangiamenti di Fabio Manconi e Andrea Lubino, adattamenti di Claudia Crabuzza e Michele Pio Ledda. Claudia Crabuzza (voce), Fabio Manconi (chitarra) e Andrea Lubino (basso) eseguiranno dal vivo alcune canzoni tratte dall’omonimo cd pubblicato nel 2022 da SquiLibri edizioni e accompagnato da scritti di autori vari, progetto corale con gli interventi, tra gli altri, di Canio Loguercio e Massimo Donno.

lunedì 11 novembre 2024

Hans-Hermann Hoppe - DEMOCRAZIA: IL DIO CHE HA FALLITO - Liberilibri


Hans-Hermann Hoppe
DEMOCRAZIA: IL DIO CHE HA FALLITO
(titolo originale Democracy: The God That Failed - Transaction, 2001)
traduzione di Alberto Mingardi
prefazione di Raimondo Cubeddu
con uno scritto di Alessandro Fusillo
Liberilibri
novembre 2024
pagg. XXXIV-450, euro 20.00
ISBN 979-12-80447-16-6


Torna in libreria, in una nuova edizione e una nuova veste grafica, un titolo del catalogo Liberilibri ormai diventato di culto, Democrazia: il dio che ha fallito di Hans-Hermann Hoppe. Un libro urgente, attualissimo, che ci parla oggi con ancora più chiarezza. 
L’autore, economista tedesco succeduto a Murray N. Rothbard nella cattedra di Economia presso la University of Nevada, compie qui un’analisi rigorosa dei due principali ordinamenti politici: monarchia e democrazia. La democrazia, scrive Hoppe, è diventata un dio sul cui laico altare possono essere sacrificate tutte le libertà. La gabbia mentale e sociale prodotta dall’ideologia democratica non lascia spazio a visioni alternative. La tutela dei diritti e delle libertà individuali non fa parte del patrimonio democratico, ma risale alla tradizione politica medievale del rapporto contrattuale tra governanti e governati.
L’idea delle carte dei diritti e delle costituzioni, intese come sistemi di limitazione dei poteri del monarca, proviene quindi da un altro retaggio. La democrazia «è immorale oltre ad essere antieconomica», perché «non è la democrazia ma sono la proprietà privata, la produzione e lo scambio volontario le vere fonti della civilizzazione e della prosperità umana».
Il duro attacco alla democrazia viene sferrato da Hoppe con le armi della logica e dell’analisi storica, attraverso una puntuale rassegna di deficienze, assurdità ed errori delle politiche socialdemocratiche. Così, egli demolisce la fede del pensiero liberale classico nella possibilità di un governo limitato, e prospetta una naturale alleanza fra conservatorismo e libertarismo per un obiettivo comune: la frantumazione degli Stati nazionali, raggiungibile con un processo di secessioni a catena per la creazione di una moltitudine di regioni e città-Stato disseminate nel continente europeo e americano: «Il secessionismo e la crescita di movimenti separatisti e regionalisti nell’Europa orientale e occidentale, in Nord America e altrove, non rappresentano un anacronismo, ma la forza potenzialmente più rivoluzionaria della storia», in quanto la secessione incoraggia le diversità etniche, linguistiche, religiose e culturali, e promuove l’integrazione e lo sviluppo.
Il saggio, tradotto da Alberto Mingardi e preceduto dalla Prefazione firmata da Raimondo Cubeddu, è arricchito anche da uno scritto di Alessandro Fusillo.

Hans-Hermann Hoppe (Peine, Germania 1949) ha studiato filosofia, sociologia, storia ed economia all’Universität des Saarlandes di Saarbrücken, alla Goethe-Universität di Francoforte e alla University of Michigan di Ann Arbor. Ha insegnato in varie università tedesche e alla Johns Hopkins University di Bologna. Nel 1986 si trasferisce negli Stati Uniti per approfondire le sue ricerche sotto la guida di Murray N. Rothbard, a cui è succeduto nella cattedra di economia presso la University of Nevada nel 1995. Distinguished Fellow del Ludwig von Mises Institute, è stato direttore del «Journal of Libertarian Studies».
 



venerdì 1 novembre 2024

Michael Palumbo - LE ATROCITA' DI MUSSOLINI - Alegre

 
Michael Palumbo
LE ATROCITA' DI MUSSOLINI
I crimini di guerra rimossi dell’Italia fascista
traduzione di Paola Tornaghi
prefazione di Eric Gobetti
postfazione di Ivan Serra
Edizioni Alegre
novembre 2024
pp. 416, euro 20,00
ISBN 9791255600299


Trent'anni dopo, il 1 novembre 2024, il libro di Michael Palumbo arriva finalmente in libreria Questo libro è stato già pubblicato nel 1992 (con il titolo L’Olocausto rimosso), ma nessuno ha mai potuto trovarlo in libreria. La casa editrice Rizzoli decise infatti di mandare al macero tutte le copie di questo testo, ritenuto evidentemente troppo scomodo. Delle 8.000 copie prima stampate e poi mandate al macero ne parlò Simonetta Fiori su Repubblica del 17 aprile 1992. con il titolo Le atrocità di Mussolini, e la prefazione dello storico Eric Gobetti. La ricerca di Palumbo porta alla luce la documentazione proveniente dagli archivi nazionali degli Stati Uniti a Washington DC e dalla Commissione delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra con cui, insieme a ulteriore materiale reperito in dieci lingue diverse, comprova le atrocità commesse in tutti i paesi in cui l’Italia entrò in guerra: dalla Libia all’Etiopia, dalla Grecia alla Jugoslavia. Crimini poi insabbiati dagli angloamericani per non disturbare gli equilibri del dopoguerra e mantenere a disposizione una classe dirigente utile alla crociata anticomunista della nuova Italia democratica. Successivamente altri studiosi, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, hanno pubblicato importanti ricerche sui crimini di guerra fascisti. Arrivando solo oggi nelle librerie, Le atrocità di Mussolini completa il quadro.
Lo stile di Palumbo e la drammaticità degli eventi offrono un affresco tragico e illuminante di cosa è stata l’Italia fascista. Un volto che ancora trent'anni fa, quando alcuni ex gerarchi fascisti erano ancora in vita, sembrava meglio lasciare insabbiato. Un volto che ancora oggi le forze politiche eredi di quella stagione provano costantemente a rimuovere dalla memoria nazionale.

Michael Palumbo è uno storico italoamericano nato a New York nel 1944. Oltre che delle ricerche sui crimini di guerra fascisti, riportate in questo libro e nel documentario Fascist Legacy, si è occupato del conflitto israelo-palestinese pubblicando i volumi The Palestinan Catastrophe (da cui è stato anche tratto un documentario) e Imperial Israel.