venerdì 4 luglio 2025

Barbara Cagni - L'ALBA DELLA NOSTRA LIBERTA' - Fazi

 
Barbara Cagni
L'ALBA DELLA NOSTRA LIBERTA'
Fazi
collana Le strade / 604
luglio 2025
pp. 264, euro 18
ISBN 9791259678027

 
Un romanzo ispirato a storie vere, sulle donne che hanno fatto la Resistenza.
Milano, 8 settembre 1943: il paese si ferma ad ascoltare l’annuncio dell’armistizio. Perfino nel la casa di tolleranza gestita da Marilù, dove non c’è mai un giorno di pausa, le ragazze escono dalle loro stanze e si raccolgono in silenzio da vanti alla radio, per poi esclamare: «La guerra è finita!». In realtà, sta per avere inizio la fase più dura del conflitto, in cui sarà difficile capire di chi potersi fidare davvero.
Dopo anni passati come prostituta e poche speranze di affrancarsi dalla propria condizione, per Marilù l’obiettivo è diventato mettere in salvo la figlia Cecilia, che riuscirà a far ospitare in campagna grazie alle conoscenze di Venera, una studentessa di Storia dell’arte, che vive da sola e che pian piano sta acquistando consapevolezza di sé grazie a una storia d’amore tanto travolgente quanto proibita.
Mentre Marilù resiste, cercando di tenere al sicuro le ragazze che lavorano per lei e aiutando come può i partigiani del quartiere, Venera decide di entrare nella Resistenza per opporsi alla situazio ne generale insieme alle donne lasciate in città, stanche di non avere mai voce in capitolo. In una Milano stremata dalla fame e dai bombar damenti, sono proprio le donne, rimaste sole, ad allearsi e farsi forza tra di loro. Dalle lavoratrici nelle fabbriche alle studentesse, dai ceti popolari alla borghesia, hanno tutte un obiettivo comune: tornare, finalmente, libere.
Un romanzo che restituisce attenzione alle partigiane che hanno combattuto per la libertà ricostruendo gli anni della Resistenza con una scrit tura precisa ed emozionante.
«Ognuna di loro aveva cercato uno spazio per pensare e ragionare con la propria testa. Ma era una gran fatica, una battaglia senza moschetto. Come uniche armi avevano, chi più chi meno, il silenzio, la caparbietà e un animo assetato di libertà».

Un estratto
1945
La notizia arrivò dalla radio verso l’ora di cena, anche se in quella casa non era il momento di mangiare, ma la parte della giornata in cui si lavorava di più. L’orologio appeso alla parete di fronte segnava le otto meno un quarto. Marilù alzò il volume. Mentre l’apparecchio gracchiava, il generale cominciò a parlare e nella penombra del salottino tutti fecero silenzio. Dal fondo del locale arrivava l’odore pungente delle latrine e dalle camere di sopra quello acre dei corpi sudati mischiato alla creolina. Due ragazze ossute con indosso vestaglie di tulle sgualcito scesero dal piano superiore a prendere i clienti.
«Ho sentito bene?», domandò Rosa, la napoletana, chinandosi e appoggiando i gomiti al tavolino dove stava l’apparecchio. Si voltò a guardare gli altri: «È finita la guerra», disse stupita.
Qualcuno si alzò dalle poltroncine, abbandonò il giornale che stava sfogliando e si avvicinò alla radio che trasmetteva di nuovo il proclama. Anche la Ginetta uscì dalla camera e scese nel salottino. Si fermò ad ascoltare aggiustandosi con le dita l’acconciatura, ancora intatta nonostante le ore di lavoro intenso.
«La guerra è finita!», cinguettò sorridendo. Indossava un abitino rosa dagli orli sfilacciati che le arrivava sotto le ginocchia e scarpe nere di vernice ormai opaca dall’usura che nel complesso la facevano sembrare una scolaretta in divisa. Sulla sua faccia pallida risaltava la bocca carminio e dava l’idea che si fosse truccata da poco, ma nessuno aveva sfiorato le sue labbra da quando, molte ore prima, si era data il rossetto, perché, quando lavoravano, le signorine non baciavano mai.
Dopo qualche attimo di stupore tutti presero a commentare la notizia e si abbracciarono per festeggiare, anche se già da qualche giorno la notizia era nell’aria.
Si creò una gran confusione e, a mano a mano che si spargeva la voce, i clienti uscirono dalle stanze da letto in compagnia delle signorine non badando alla nudità, che lì non era certo da scandalo, e chiesero conferma di quel che avevano udito.
«Adesso i tedeschi sono diventati i nostri nemici», disse un uomo a Marilù. Si avvicinò al bancone zoppicando e reggendosi a una gruccia. «Questa è la verità». Era un cappellaio e nella sua piccola bottega a Gorla dal 1942 confezionava solo berretti, fez e bustine per l’esercito. «Bisogna cacciarli. Non se ne andranno mica con le buone».
Siccome si sentivano dei rumori provenire da fuori, ma in quella casa per legge tutte le finestre dovevano rimanere chiuse, Marilù si alzò dallo sgabello e spalancò la porta per vedere quel che stava accadendo. Tantissima gente si era riversata nelle strade e camminava in direzione del centro. «Stasera nessuno baderà al coprifuoco», disse il cappellaio appoggiando la spalla allo stipite per non perdere l’equilibrio.
Tra urla e cori di giubilo, qualcuno intonò l’inno di Mameli. In quel momento, un autocarro pieno di uomini con in mano bandiere tricolori, bastoni e stendardi si fermò all’angolo della via, una stradina che era davvero molto stretta e sbucava su quella principale, che da una parte arrivava fino a piazzale Loreto e dall’altra si perdeva nelle campagne oltre Crescenzago. Dal camion un ragazzo fischiò per richiamare l’attenzione del cappellaio. Disse che stavano andando in Duomo e gli fece cenno di unirsi a loro. L’uomo salutò Marilù: «Non c’è tempo da perdere, bisogna impugnare le armi». Li raggiunse dondolando sulla sua gamba offesa e salì aiutandosi con la gruccia. Per gli incontri segreti con i suoi compagni, Marilù gli aveva permesso in quegli anni di utilizzare lo stanzino delle visite mediche. Poi, da quando Mussolini era stato arrestato e per gli oppositori era terminata la clandestinità, la donna consentiva ancora quegli incontri solo a patto di un’estrema segretezza.
Nella casa giravano uomini e donne di tutti i tipi e lei aveva imparato a non fidarsi di nessuno lì dentro. Il cappellaio ci passava solo per motivi politici, non per quelli a cui tutti gli altri erano abituati in posti simili. Andava avanti così ormai da qualche anno: da quando lei era diventata madama al Sit del Pioeucc e lui aveva intrapreso l’attività antifascista dopo aver fatto ritorno dalla campagna d’Etiopia con un pezzo di gamba in meno.
Marilù richiuse la porta. All’interno c’era ancora una certa agitazione e la radio continuava a trasmettere l’annuncio di Badoglio. Spense l’apparecchio e chiese a tutti di abbassare la voce: c’erano pur sempre delle regole da rispettare, anche in un momento del genere. Non voleva di certo beccarsi una multa o avere grane con i vicini.
Tornò a sedersi sullo sgabello, aprì il cassetto e contò i soldi. Sul muro annerito dalla muffa che si trovava alle sue spalle era appeso il listino prezzi della casa. Con dieci lire era possibile acquistare una singola, e chi si poteva permettere di più aveva a disposizione un tariffario che soddisfaceva ogni vizio e desiderio. Il Sit del Pioeucc era un casino di terzo livello frequentato perlopiù da operai, tranvieri, impiegati e soldati. Non mancavano però i clienti altolocati che venivano apposta in quella zona periferica della città a cercare nuove esperienze. Ci passavano uomini del regime e uomini contro il regime. Tra le lenzuola di quelle alcove si erano nascosti antifascisti e perseguitati politici. Prelati, industriali e squadristi durante gli amplessi si erano lasciati andare a indiscrezioni, nonostante il cartello appeso accanto alla cassa vietasse agli avventori con incarichi pubblici di rivelare informazioni riservate. Gli uomini di Chiesa entravano tramite un ingresso sul retro per non essere visti da occhi indiscreti.
L’ultimo cliente scese le scale e prese l’uscita. Si era ormai fatto l’orario di chiusura, e anche se molti si erano affacciati alla porta pregando di poter entrare per continuare i festeggiamenti a modo loro, Marilù non volle sentir ragioni e abbassò la serranda. Le ragazze avevano bisogno di riposarsi, fragili com’erano rischiavano di ammalarsi.
(...)

Barbara Cagni è nata a Milano, dove si è laureata in Biologia e ha studiato Scrittura creativa. Nel 2022, con Fazi Editore, ha pubblicato il romanzo Per sempre, altrove, selezionato dalla giuria di “Guarda che storia!” e presentato dall’autrice alla Film Commission Torino in occasione del Torino Film Festival 2023. Sul libro, Daniele Mencarelli ha scritto: «Barbara Cagni dà vita a un romanzo che è insieme affresco di un’epoca e spaccato familiare, di più, entra nel cuore della vicenda più umana di tutte: il congedo. Dagli affetti e da se stessi».

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