Ethel Mannin
LA STRADA PER BE’ER SHEVA
(titolo originale The road to Beersheba, Henry Regnery Co., Chicago 1963)
traduzione di Stefania Renzetti
postfazione di Tiffany Vecchietti
Alcatraz
collana Etheliana /1
luglio 2025
pp. 398, euro 19
ISBN 9788885772601
È il 15 luglio 1948 e in Medio Oriente infuria il conflitto arabo-israeliano. Le truppe delle Forze di Difesa Israeliane occupano la città palestinese di Lidda e iniziano a uccidere o espellere la popolazione araba, causando l’esodo di un numero enorme di persone – in larga parte donne, anziani e bambini – costrette a camminare sotto un sole cocente sino alla città di Ramallah, in Cisgiordania. In migliaia muoiono di insolazione, affaticamento e sete. Tra le persone che fuggono da Lidda c’è la famiglia di Butros Mansour, un proprietario terriero palestinese di fede cristiana, costretto a scappare insieme a sua moglie di origine inglese e al figlio di dodici anni, Anton. Questa tremenda esperienza segna profondamente il ragazzo, che alla morte del padre, solo un anno più tardi, è costretto a trasferirsi in Inghilterra. Per Anton vivere in Inghilterra equivale a un vero e proprio esilio. Ma rimane in contatto con un’altra vittima della diaspora palestinese, un profugo musulmano a cui è molto legato, e nella sua mente prende vita una vera e propria ossessione: riuscire a tornare nella propria terra per infiltrarsi lungo la strada per la città di Be’er Sheva, anch’essa caduta in mano israeliana nel 1948, e unirsi alla resistenza. Per lui quella strada, che ora si trova nella Terra di Nessuno, finisce per incarnare il sogno di ogni palestinese – ritornare a casa.
Scritto come
reazione al celebre Exodus di Leon Uris (una sorta di
narrazione epica della fondazione dello Stato di Israele) e
pubblicato nel 1963, La strada per Be’er Sheva è stato
il primo romanzo occidentale in assoluto a raccontare dal punto di
vista palestinese la Nakba, la pulizia etnica operata dalle milizie
sioniste nel 1948 e il conseguente esodo. Tradotto anche in lingua
araba con grande successo, all’epoca della sua uscita è diventato
un piccolo caso, tanto letterario quanto politico.
Ma La
strada per Be’er Sheva è prima di tutto un racconto
emozionante, una vicenda umana scritta con grande maestria da
un’autrice perfettamente a suo agio nel padroneggiare una materia
che non ha mai smesso di essere scottante. E grazie alla passione
umanitaria e al desiderio di giustizia che traspaiono dalle sue
pagine, riesce a essere attuale ancora oggi, a più di sessant’anni
dall’uscita, in questo momento terribile per il popolo palestinese.
La sincerità e l’empatia di Ethel
Mannin guidano la narrazione. Non lo fanno attraverso il patetismo, o
tramite gli strumenti del melodramma. La strada per Be’er Sheva
sembra quasi trattenersi continuamente, situarsi in uno spazio ben
definito, in equilibrio, con una certa dose di freddezza. Mannin
sa che potrebbero accusarla dei crimini letterari qui sopraelencati.
Ma non serve infondere di eccessiva emotività quello che ha raccolto
tramite le interviste nei campi profughi o dai rifugiati che ha
incontrato. La sua sincerità è talmente spiazzante, che compie
tutto il lavoro. È la resistenza delle pietre scagliate contro chi
ti schiaccia la gabbia toracica col carrarmato. Non serve aggiungere
molto quando una fotografia, un resoconto o un
fillmato rivelano tutto. È la stasi che accompagna
la polvere mentre si posa. (dalla postfazione di Tiffany Vecchietti)
Autrice estremamente prolifica, Ethel
Mannin nasce a Londra nel 1900 e nel corso della propria vita
scrive più di cento libri – oltre cinquanta romanzi, innumerevoli
racconti, autobiografie e, diari di viaggio e saggi – senza mai
preoccuparsi di seguire un determinato filone letterario, ma anzi
muovendosi con notevole mestiere ed eleganza attraverso i generi.
Esordisce nel 1923 e pressoché da subito si fa notare per il proprio
impegno politico: è infatti sin da giovanissima un’attivista
vicina a idee anarchiche e socialiste, fortemente anti-monarchica,
femminista e antifascista, e queste inclinazioni non mancano di
emergere, in maniera più o meno esplicita, in quasi tutto ciò che
scrive. Viene a mancare nel dicembre del 1984, tenendo vivo sino
all’ultimo istante lo spirito combattivo e anticonformista che l’ha
sempre caratterizzata. Nella collana Bizarre, Agenzia Alcatraz ha
pubblicato il suo capolavoro gotico del 1944, Lucifero e la
bambina.
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