mercoledì 18 settembre 2024

L'editore Il ramo e la foglia intervista l'autore: Michele Di Tonno

 

Ciao Michele, sta per uscire con noi, Il ramo e la foglia edizioni, il tuo libro d'esordio in versi "Una tregua sottile", potresti presentarti brevemente a quelli che ancora non ti conoscono?Buongiorno, sono un amante dell'arte, sono nato e vivo a Roma, navigo nella seconda età adulta, ho un lavoro come altri.
Ho sempre amato l'arte, fin da giovane. Quando avevo ventiquattro anni, andai in vacanza a Parigi con la mia ragazza e notammo un cartello su cui era scritto: entrata gratuita "Museo Rodin". Non ci sfuggì l'aggettivo. Entrammo e rimasi folgorato.
Ho studiato scultura del legno, fotografia, pittura.
Ho dipinto per molti anni, poi nel 2018 ho avvertito l'esigenza di scrivere.
Per me è così: le cose maturano internamente, poi un giorno bussano alla porta.

Tu sei un pittore, perché questo sconfinamento espressivo nella poesia? C'è un denominatore comune tra le due dimensioni artistiche?
È un interrogativo che mi sono rivolto spesso; la verità è semplice, ho percepito un'istanza interna e ho deciso di darle una possibilità, di arrendermi a me stesso. Il pensiero era, e lo è tuttora, di immergere la pittura nella parola.
Poi non è un fatto così insolito, ci sono molti artisti che hanno scritto e dipinto.
Nella mia idea sono molti i punti di incontro, potrei citare la dimensione interna di fantasia, l'interesse per una comunicazione profonda, il racconto per immagini, l'equilibrio tra il detto e il non detto, una certa magia.
Penso che avere in copertina un mio quadro, sia stato un grande regalo da parte dell'Editore; mi piace pensare che la pittura possa essere una porta d'ingresso ai miei versi.

Riguardo alle tue letture, quali sono gli autori o i titoli che ti hanno appassionato, che in qualche modo possono averti influenzato, in relazione alla pittura ma anche, soprattutto, in relazione alla scrittura di queste tue poesie.
Non vorrei fare citazioni, sento che inevitabilmente fornirei una visione parziale; penso che ogni lettura mi influenzi, a volte per differenza.
Molto spesso trovo ispirazione nella prosa.

Qual è la cifra compositiva-stilistica a cui ti attieni? Hai dei modelli?
Considero lo stile un'espressione di personalità; Rimbaud ha scritto che il primo studio dell'uomo che vuole essere poeta, è la propria conoscenza.
Poi, non amo gli orpelli, le enfasi, gli insegnamenti, e mi sento più a mio agio in una metrica libera.
La maggior parte delle poesie della raccolta sono brevi, i versi non particolarmente lunghi.
Condivido quanto afferma la Professoressa Annamaria Vanalesti nella postfazione: "la misura scelta dal poeta è quella minima, di suoni semplici e rapidi, di sfumature appena accennate, di motivi spesso sottintesi, di un linguaggio parco e volutamente mai del tutto esplicito."

Cosa ti ha spinto a scrivere "Una tregua sottile"? Perché questo titolo? Quali sono i temi che tratti?
 La decisione di scrivere va inserita in un processo di ricerca personale, artistica e umana, sempre orientata alla relazione.
La scelta del titolo non è stata semplice, ha avuto una gestazione lunga. Viviamo in un mondo che ci costringe spesso a ritmi frenetici e il titolo mi sembra un invito a sapersi ricavare delle pause rigenerative, dei momenti di evasione, ma anche di riposizionamento.
Ho amato l'intuizione della Professoressa Vanalesti quando scrive che la mia tregua sottile è la poesia.
La raccolta è ampia, tocca varie tematiche di vita: amori possibili, delusioni, solitudini, piccoli spaccati di società.
Ho perseguito un'idea di fluidità nel posizionamento delle singole poesie all'interno della raccolta, alternando situazioni di maggiore o minore leggerezza, affinché la lettura possa scorrere piacevolmente.

Quanto tempo ci hai messo a scrivere questo libro? Ci racconti la sua genesi?
 Tutto inizia nel 2018 quando pensai di scrivere una lettera di Natale a mia figlia. Non ne fui capace, tagliavo, tagliavo, e più tagliavo più pensavo che fosse la poesia il genere a me più congeniale. Ho iniziato a scrivere poesie.
Per avere un riscontro sulle poesie che andavo componendo, ho partecipato a diversi concorsi e i positivi risultati mi hanno incoraggiato a continuare. Successivamente ho partecipato con delle sillogi, e sono seguite alcune offerte di pubblicazione. Non mi sentivo ancora pronto.
Poi ho avuto l'occasione di incontrare Il ramo e la foglia edizioni.
La lettera che non ho mai scritto a mia figlia si è trasformata nella dedica inserita nelle prime pagine del libro.

Questo è, come detto, il libro di un esordiente: che cosa ti aspetti da questa tua pubblicazione?
 Il proprietario di una libreria romana mi ha detto: leggerò i tuoi versi per vedere se mi arrivano. Non ho aspettative, ma la speranza che i versi possano arrivare. Sarei felice se la lettura fosse anche dialogo interiore.
Poi, certo, mi auguro che il libro possa raggiungere una buona diffusione.

Ci sono dei lettori a cui pensi che il libro possa particolarmente interessare?
Consiglierei il libro alle persone che amano fermarsi a sentire, a sentirsi.
Alle persone che amano le cose semplici, autentiche.

Cosa può convincere un lettore incerto a leggerti?
Non conoscendo il motivo dell'incertezza, gli direi che la poesia è un luogo in cui ritrovare sé stessi.

Hai qualcosa da aggiungere?
 Colgo l'occasione per ringraziare la casa editrice Il ramo e la foglia edizioni, nelle persone di Roberto Maggiani e di Giuliano Brenna, l'amico Ludovico Lo Casale che ci ha fatto incontrare, la gentile Professoressa Annamaria Vanalesti che mi ha onorato della sua postfazione, tutte le persone che mi sono state vicino.

Franco Cardini - COME PRAGA DIVENNE MAGICA - Neri Pozza

 
Franco Cardini
COME PRAGA DIVENNE MAGICA
Neri Pozza
Collana I Colibrì
settembre 2024
pp. 208, Euro 20
ISBN 9788854528024



Praga città d’oro: il Ponte Carlo, il celebre orologio a carillon della Città Vecchia, l’imperatore-mago Rodolfo II, l’Arcimboldo e il Vicolo degli Alchimisti, la leggenda del Golem e il cimitero ebraico, la musica di Mozart e quella di Dvořák, L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera e gli incubi di Kafka, le viuzze e i caffè di Malá Strana, il sapore della miglior birra del mondo e quello della libertà nella Primavera del Sessantotto. Tutto ha inizio nel VI secolo, quando nell’area dell’Europa centro-orientale in cui erano insediate da un millennio genti celtiche della stirpe dei boi (per questo si sarebbe denominata in latino «Boemia») giunsero nuovi popoli che conosciamo come slavi. Qui affonda le sue radici la città che sarebbe divenuta «magica» e che avrebbe cominciato il suo lungo cammino di faro culturale europeo nell’anno 882 quando il principe slavo Bořivoj, che pretendeva di discendere dal mitico Přemysl fondatore della rocca sulla riva sinistra del fiume Vltava – primo nucleo della futura città –, costruì su un’altura della sponda opposta il Castello. Antico era anche un modesto insediamento presso il fiume, nell’area oggi nota come Malá Strana. Di fronte a esso, sull’opposta riva del fiume, si sviluppò poi un ampio mercato servito da un porto: da lì si sarebbe sviluppato lo Staré Město, la Città Vecchia. Divenuta importante centro commerciale nella seconda metà del X secolo, Praga entrò con l’intera Boemia nell’orbita dei re di Germania. L’acme della sua potenza venne raggiunto sotto il governo dei discendenti dei conti di Lussemburgo con Giovanni che, con la Bolla d’Oro del 1356, riordinò la prassi dell’elezione dei sovrani del Sacro Romano Impero istituendo il collegio dei sette principi elettori. Qui, dopo la crisi del Trecento, vennero gettati, con il predicatore Jan Hus, i prodromi della Riforma religiosa che si sarebbe più tardi imposta con Martin Lutero.

Franco Cardini è professore di Storia Medioevale presso l’Università di Firenze e professore emerito dell’Istituto italiano di Scienze Umane alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Tra i massimi storici europei del Medioevo, è autore di decine di libri di successo in gran parte dedicati a questo periodo storico.

martedì 17 settembre 2024

Pierluigi Battista - LA NUOVA CACCIA ALL'EBREO - Liberilibri

  
Pierluigi Battista
LA NUOVA CACCIA ALL'EBREO
Liberilibri, collana Altrove
settembre 2024
pp. 88, euro 14  
ISBN 979-12-80447-48-7


La nuova caccia all’ebreo di Pierluigi Battista, un pamphlet in cui il noto giornalista e scrittore raccoglie le sue riflessioni e i suoi scritti dal 7 ottobre 2023 in avanti.
È a partire da quella fatidica data che in Occidente ha preso il via una sorprendente e incessante caccia all’ebreo: Hamas ha lanciato un pogrom contro Israele uccidendo oltre mille civili e sequestrandone più di trecento. Un’ondata di antisemitismo, alimentata dal contrattacco israeliano a Gaza, si è abbattuta sul mondo intero: sinagoghe bruciate, studenti ebrei cacciati dalle università, passeggeri ebrei inseguiti negli aeroporti. L’autore passa così in rassegna gli eventi che si sono succeduti nell’ultimo anno e chiarisce le radici culturali di questo odio verso gli ebrei che, in Occidente, sembrava superato e sparito con la Shoah.
«È scoccato quel giorno l’inizio di una nuova, tragica storia della sensibilità e della mentalità collettiva, che ha perduto uno dei cardini fondamentali capaci di reggere l’ordine morale per almeno ottant’anni», scrive Battista. Una storia imprevista e terrificante «in cui la cultura democratica ha abdicato al suo ruolo, accettando passivamente lo scatenamento di una nuova caccia all’ebreo».
La cultura democratica di fronte a tutto ciò ha taciuto e continua a tacere, a non avere una reazione forte e l’autore si chiede, con grande preoccupazione, se ciò non voglia dire che l’antisemitismo, camuffato da antisionismo, non sia stato sdoganato: «Non eravamo uniti dal “mai più” declamato dai sepolcri imbiancati del Giorno della Memoria che oramai è soltanto un giorno senza più memoria?».

Pierluigi Battista tiene per «Huffington Post», e su tutte le piattaforme, il podcast quotidiano di libri e cultura Winston.

 

lunedì 16 settembre 2024

Alberto Abruzzese - DELLE COSE CHE NON SI SANNO SI DEVE DIRE - Infinito

Alberto Abruzzese
DELLE COSE CHE NON SI SANNO 
SI DEVE DIRE
Transmutazioni

Infinito Edizioni
2023
pp. 208, Euro 21
 

La società ha sempre più ristretto i margini di un dire contraddittorio, di un pensiero impossibile, di una presenza dell’inaudito. All’estrema complessità del presente, il sapere istituzionale va rispondendo con strategie comunicative volte a semplificare la complessità, escludendo tutto ciò che non può essere detto per il semplice fatto che non può essere semplificato. Viviamo un paradossale ribaltamento del pensiero positivo in pensiero nichilista: un rovesciamento che è frutto, non del pensiero apocalittico e irrazionale, ma di quello progressista, convinto di avere sovranità sulla tecnica e sulla natura. Ecco perché è arrivato il momento di dire le cose che si ritiene vadano civilmente taciute, responsabilmente oscurate. Forse la particolare assenza di responsabilità che infesta le nostre civiltà dipende non da un loro cedimento episodico, ma da un loro irreversibile svuotamento. Ecco perché conviene affiancare, senza alcuna mediazione dialettica, le cose che non si sanno alla consunta dicibilità delle cose che si sanno, delle cose socialmente riconoscibili.
 
 
Alberto Abruzzese è Professore Emerito di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università IULM di Milano. In precedenza ha insegnato anche all’Università di Roma La Sapienza e all’Università di Napoli Federico II. Ha svolto ricerche e consulenze per Telecom, Rai, Mediaset, Cnr e Ministero dei Beni Culturali. Saggista prolifico, è uno dei più importanti teorici dei media in Italia, autore di importanti studi sull’industria culturale e sull’immaginario collettivo.



domenica 15 settembre 2024

Carmel Cassar - CIBO MEDITERRANEO - Graphe.it

 
Carmel Cassar
CIBO MEDITERRANEO
Modi alimentari mediterranei: tendenze e sviluppi storici

(titolo originale Mediterranean Food. Mediterranean Foodways: Historic Trends and Developments)
traduzione di Carla Del Zotto
Graphe.it, collana Physis, 10
agosto 2024
pp. 212, euro 15,90
ISBN 9788893722292


Là dove finisce la nostra terraferma, inizia un “continente liquido” lungo i confini (le sponde) del quale culture alimentari diverse si incrociano e contaminano da millenni, paradossalmente senza mai davvero conoscersi a fondo: ogni popolo integra le suggestioni d’oltremare all’interno di tradizioni tenacemente coltivate e ne trae un universo culinario che appare coerente, appena lo osserviamo un po’ più da lontano.
A dare il carattere alla dieta mediterranea è primariamente il paesaggio: l’ulivo, per esempio, cresce su quasi tutta la linea costiera; lo stesso non può dirsi della palma da dattero, frutto che tuttavia arrivava e arriva nei mercati, insieme a spezie e ortaggi di ogni angolo del globo: qui traspare il contributo delle città portuali e delle loro dinamiche umane e alimentari, che si somigliano nei secoli, da Genova a Leptis Magna. Talvolta è stata la geopolitica a indirizzare il consumo di determinati prodotti o renderne difficoltoso l’approvvigionamento; in altre occasioni, scoperte come il pomodoro o il caffè hanno cambiato per sempre la lista della spesa delle famiglie.
Non è solo la scelta degli alimenti, infine, a identificare la cucina mediterranea, ma l’insieme di rituali e significati attribuiti al momento del pasto, tale da farci sentire a casa anche dove non comprendiamo l’idioma parlato.

Carmel Cassar è ordinario di storia culturale e direttore dell’Istituto di Studi Maltesi. Dopo la laurea in Storia europea e Letteratura italiana all’Università di Malta, è stato assistente di ricerca presso gli archivi della cattedrale di Malta per poi insegnare storia al St Edward’s College. Grazie a una borsa di studio del Cambridge Commonwealth Trust ha continuato gli studi in antropologia all’Università di Cambridge conseguendo un dottorato di ricerca in Storia culturale. 
Cassar ha contribuito allo sviluppo di una sezione etnografica presso il Dipartimento dei Musei pubblici maltesi, più tardi ribattezzato Heritage Malta. Già responsabile del Palazzo dell’Inquisizione a Vittoriosa, ha favorito la nascita dell'interesse nella ricerca storica del cibo mediterraneo e maltese, di cui dà contezza nel saggio Cibo mediterraneo. Modi alimentari mediterranei: tendenze e sviluppi storici (Graphe.it 2024). È Fellow della Royal Historical Society di Londra e della Cambridge Commonwealth Society, socio della Renaissance Society of America e membro a vita della Società Storica di Malta.
Diverse le sue pubblicazioni, tra cui, in italiano, Il senso dell'onore (Jaca Book 2002, tradotto in cinque lingue).
 


AA.VV. - LA PROSA ITALIANA TRA COMUNICAZIONE E INVENZIONE LETTERARIA - Franco Cesati

AA.VV. 
LA PROSA ITALIANA TRA COMUNICAZIONE E INVENZIONE LETTERARIA
Atti del XII Convegno internazionale di italianistica dell’Università di Craiova, 29-30 settembre 2022
a cura di Elena Pîrvu
Franco Cesati Editore
Collana: Quaderni della Rassegna, 236
settembre 2024
pp.  642, euro 48
ISBN 979-12-5496-144-5


Nelle tre sezioni che compongono il volume oltre cinquanta studiosi analizzano lo stato della prosa italiana tra comunicazione e invenzione letteraria. La sezione linguistica spazia dalla divulgazione spiritosa dei manuali Disney per ragazzi agli attualissimi principi di UX writing: la scrittura di microtesti per le interfacce di web e app. La sezione didattica dell’italiano consente approfondimenti sulla prosa minima che dia diritto alla scrittura e alla lettura degli adulti analfabeti. E in quel solco ben s’inserisce lo studio sulla scrittura di Gianni Rodari su scuola di democrazia per comunicare e inventare parole per costruire diritti linguistici. Infine la sezione letteratura attraversa varie stagioni: da Pietro Bembo, Marco Polo e il suo Milione, a Pasolini e Ammaniti per chiudere sulle verità e finzioni dei recentissimi romanzi di Alessandra Sarchi e Simona Vinci. Una visione a 360° sulla prosa italiana dalle origini a oggi.
 


sabato 14 settembre 2024

Gershom Scholem - CABBALISTI CRISTIANI - Adelphi

 
Gershom Scholem
CABBALISTI CRISTIANI
(titoli originali: Zur Geschichte der Anfänge der christlichen Kabbala; Die Erforschung der Kabbala von Reuchlin bis zur Gegenwart; Die Stellung der Kabbala in der europäischen Geistesgeschichte – 1954, 1981, 1970)
a cura, e con un saggio, di Saverio Campanini.
Adelphi
Piccola Biblioteca, 808
2024, pp. 177, euro 15
ISBN 9788845939174


Che la Qabbalah sprigioni un fascino difficilmente spiegabile è fuori di dubbio: chiunque entri in contatto con essa si sente interpellato, come se quelle oscure dottrine non aspettassero altri per sciogliere gli antichi nodi dell’irradiazione divina. Un fascino cui non hanno potuto sottrarsi molti lettori cristiani – da Giovanni Pico della Mirandola ai platonici rinascimentali, da Knorr von Rosenroth a Isaac Newton, dagli alchimisti ai «fratelli muratori» –, che con i dogmi segreti della mistica ebraica hanno avvertito una profonda affinità. Massimo studioso della Qabbalah, Gershom Scholem non ha mancato di dire la sua su questa robusta corrente del pensiero europeo. Persuaso com’era che la Qabbalah fosse la quintessenza dell’ebraismo, Scholem ha tentato di denunciare la sua versione cristiana come illegittima, frutto di un malinteso o di una frode, giungendo tuttavia a riconoscere, alla fine della vita, che la passione per quegli insegnamenti esoterici era stata accesa in lui proprio dalla lettura di un cabbalista cristiano. E così, nei tre illuminanti saggi qui raccolti, non solo troveremo una storia di quel pensiero sotterraneo, ma potremo anche scorgere in filigrana una riluttante autobiografia.
 
L'incipit
Le origini della «Qabbalah cristiana », vale a dire dell’interpretazione di tesi cabbalistiche nel senso del cristianesimo (cattolico) o anche l’interpretazione di dogmi cristiani tramite metodi e processi mentali di tipo cabbalistico, vengono fatte risalire, in genere, al conte Giovanni Pico della Mirandola. Quando Pico, nel 1486 – all’epoca un giovane di 23 anni –, presentò le sue 900 «conclusioni», ossia tesi per un sincretismo di tutte le religioni e di tutte le scienze, vi incluse anche la Qabbalah e ne fece l’oggetto di molte delle proposizioni che intendeva discutere a Roma. La straordinaria sicurezza con la quale le tesi vennero esposte, il fatto che contenessero paradossi e proposizioni spesso quasi indecifrabili, sembrò corrispondere molto bene alla stupefacente affermazione che qui per la prima volta venne sottoposta al vaglio di umanisti e teologi, ossia che l’ebraismo esoterico non era in fondo altro che il cristianesimo stesso. Quella tesi non rappresenta certo una prova che vi fosse una vera affinità tra le due sfere, benché sia stata considerata tale abbastanza spesso e non solo da chi vi vedeva qualcosa di positivo, bensì anche dai critici ebrei della Qabbalah. Questi avversari accoglievano con favore l’asserzione dei «cabbalisti cristiani» per le ragioni opposte: pareva confermare l’intento di smascherare l’elemento «non ebraico» che ritenevano si nascondesse nella Qabbalah. Negli scritti di studiosi ebrei si trovano ancora oggi giudizi del genere. In realtà la tesi di Pico e dei suoi eredi spirituali non era che una variazione, applicata alla Qabbalah, della concezione riferita, sin dal XIII secolo, al mondo della aggadah talmudica e del midrash da Ramón Martí nel suo voluminoso compendio intitolato Pugio fidei a beneficio della propaganda cattolica. Ramón Martí, che visse nel paese (la Catalogna) e nell’epoca della prima cristallizzazione della letteratura cabbalistica compiutasi intorno alla figura di Nachmanide (1194-ca 1270), non sapeva nulla – benché nell’interesse della sua attività missionaria si fosse effettuata una confisca generalizzata dei « libri » delle comunità ebraiche catalane – dell’esistenza della Qabbalah, che stava emergendo sotto i suoi occhi riuscendo a passare inosservata. Così, a sostegno dei suoi interessi cristologici furono messi a profitto, bene o male, gli antichi talmudisti, letti secondo una prospettiva inattesa, in virtù della quale potevano apparire come i principali testimoni a favore del cristianesimo e assumere una funzione storica per la quale erano altrettanto inadatti dei cabbalisti, che ne presero il posto più tardi. In effetti, all’entusiasmo di Pico e della Qabbalah cristiana per l’esoterismo ebraico spesso si contrapponeva una diffidenza non meno profonda da parte di altri ambienti, persino tra ebraisti cristiani abbastanza preparati. Questa situazione è documentata molto bene dalla testimonianza di Johann Albrecht Widmannstadt (1506- 1557), alla cui passione collezionistica si deve il fondo dell’importante raccolta di manoscritti cabbalistici di Monaco. Questo orientalista cattolico ebbe occasione di ascoltare a Torino, nel 1527, alcune conferenze tenute da uno dei maestri ebrei di Pico, un certo Dattilo, allora in età avanzatissima, che Pico aveva menzionato nella sua Apologia già nel 1487 e del quale finora non si è riusciti a determinare in modo soddisfacente l’identità e il nome completo da ebreo. Tra gli ebrei italiani Dattilo corrisponde in genere all’ebraico Yoav – un nome molto comune in Italia –, ma non ci è noto nessun cabbalista chiamato così tra quanti vissero all’epoca, mentre la congettura di Joseph Perles, secondo la quale si tratterebbe del nome di copertura dello straordinario dotto ebreo Yochanan Alemanno (ca 1435-dopo il 1504), è del tutto improbabile.1 In ogni caso, le impressioni che le parole di questo cabbalista, sicuramente ebreo, hanno lasciato sugli uditori appaiono molto divergenti. Mentre Pico ritenne di poter citare il suo amico Antonio Cronico come testimone di un dialogo nel quale Dattilo, che « conosceva molto bene la Qabbalah, si era spinto mani e piedi fino alla dottrina cristiana della Trinità », Widmannstadt dovette avere un’impressione opposta, o almeno assai discordante, delle dottrine esposte da Dattilo sul dogma. (…)

Gershom Scholem (Berlino, 5 dicembre 1897 – Gerusalemme, 21 febbraio 1982) è stato un filosofo, teologo e semitista israeliano, proveniente da una famiglia ebraica di origine tedesca. Il precoce interesse del giovane Gershom per la tradizione fu fortemente avversato dal padre Arthur. Grazie all'intermediazione della madre il ragazzo poté imparare l'ebraico e studiare il Talmud con un rabbino ortodosso. Tuttavia, per uno strano contrasto, Scholem era anche attratto dal sionismo laico e socialisteggiante, ed entrò a far parte del gruppo Jung Juda. Fu molto influenzato dal poeta Walt Whitman, che egli avvicinava al misticismo ebraico.
Studiò matematica, filosofia ed ebraico all'Università di Berlino; nell'ambiente universitario conobbe Martin Buber e Walter Benjamin; in quegli anni strinse amicizia con Shemuel Yosef Agnon, Hayim Nahum Bialik, Ahad ha-Am e Zalman Shazar (che all'epoca si chiamava ancora Zalman Rubaschoff), futuro presidente dello Stato di Israele.
Nel 1918 si trovava a Berna con Benjamin e fu ammesso alla locale Università; nella città svizzera incontrò Elsa Burckhardt, che sarebbe divenuta la sua prima moglie. Nel 1919 tornò in Germania e si laureò in lingue semitiche all'Università Ludwig Maximilian di Monaco.
Nel 1923 emigrò in Palestina, dove divenne capo del Dipartimento di Ebraico della Biblioteca Nazionale Ebraica; nel 1933 ebbe la prima cattedra di misticismo ebraico all'Università Ebraica di Gerusalemme.
Nel 1936 sposò Fania Freud. Dopo la nascita dello Stato di Israele fu presidente dell'Accademia nazionale delle Scienze; nel 1965 ebbe il titolo di professor emeritus all'Università Ebraica.
Morì il 20 febbraio del 1982.

Marlen Haushofer - NOI E LA MORTE DI STELLA - L'Orma

 
Marlen Haushofer
NOI E LA MORTE DI STELLA
(titolo originale Wir töten Stella, 1958)
traduzione di Eusebio Trabucchi
L'Orma editore
Collana Kreuzville Aleph
luglio 2024
pp. 96, euro 15
ISBN 9791254760888

Chi ha ucciso Stella? Cos’è successo dal giorno in cui la diciannovenne è arrivata in città, ospite di Anna e Richard, a quello in cui è stata investita da un camion?
È la stessa Anna a chiederselo, seduta alla finestra mentre guarda il suo amato giardino, ogni giorno più distante, e comincia a scrivere in cerca di un’impossibile risposta. Quella che prende forma è una storia intessuta delle ipocrisie del marito Richard, del celato disprezzo del figlio Wolfgang e della cinica impotenza della donna che la racconta. Per capriccio, o forse per malevolo istinto, era stata proprio Anna a iniziare Stella alle regole di un gioco sociale in cui la ragazza aveva finito per soccombere, abbandonando «con la stessa sprovveduta abnegazione con la quale vi si era gettata dentro» la vita che stava appena imparando a conoscere.
Pubblicato nel 1958, Noi e la morte di Stella è il diario di una catastrofe annunciata, la confessione di una donna tradita e stanca, testimone complice di un delitto senza castigo né redenzione. Con una voce perfida Marlen Haushofer mette a nudo una società borghese e patriarcale in cui le buone maniere sono il segno della più atroce indifferenza e la cortesia è una virtù da assassini.
 
L'incipit
Sono sola, Richard è andato dalla madre coi ragazzi per il fine settimana e ho chiamato la donna di servizio per dirle di non venire. Ovviamente Richard mi ha chiesto di andare con loro, ma soltanto perché sapeva che avrei detto di no. La mia presenza sarebbe stata solo d’intralcio per lui e Annette. E poi avevo voglia di starmene finalmente per conto mio. Adesso ho due giorni davanti a me, due giorni di tempo per scrivere quel che devo scrivere. Ma non riesco a concentrarmi da quando sul tiglio c’è quell’uccello che pigola. Avrei preferito non averlo scoperto, stamattina. È tutto merito del mio brutto vizio di trascorrere ore alla finestra a fissare il giardino. Se avessi lanciato fuori soltanto un’occhiata fugace, non ci avrei neppure fatto caso. Ha le piume dello stesso color grigioverde della corteccia dell’albero. L’ho notato solo dopo una mezz’ora, quando ha iniziato a pigolare e a battere le ali. È ancora troppo piccolo, non sa spiccare il volo e men che meno acchiappare gli insetti. All’inizio pensavo che la madre sarebbe subito tornata per riportarlo nel nido, ma ancora non è arrivata. Ho chiuso la finestra, eppure lo sento ancora pigolare. Verrà a prenderlo, è sicuro. Può darsi che abbia anche altri piccoli a cui badare. Del resto la creaturina strepita talmente forte che la madre, se è ancora viva, deve sentirlo per forza. È ridicolo che un minuscolo uccellino mi faccia innervosire in tal modo – è un segno del pessimo stato dei miei nervi. Già da alcune settimane i miei nervi sono in questo stato pietoso. Non tollero il benché minimo rumore, e a volte, quando vado a fare la spesa, d’improvviso mi tremano le ginocchia e prendo a sudare. Sento le gocce fredde e appiccicose scorrermi sul petto e sulle cosce, e ho paura. Adesso non ho paura, perché in camera mia non mi può succedere nulla. D’altra parte se ne sono andati tutti. Basterebbe soltanto che il vetro della finestra fosse più spesso e non sentirei più quel pigolio. Se Wolfgang fosse qui cercherebbe di salvare l’uccellino, ma ovviamente non saprebbe cosa fare, proprio come me. Tocca aspettare, mamma uccello arriverà. Deve arrivare. Lo spero con tutte le mie forze. Del resto neanche per strada mi può succedere nulla. Santo cielo, chi mai dovrebbe farmi del male? E seppure finissi sotto una macchina non sarebbe niente di grave, insomma, perlomeno niente di grave per davvero. E poi sono talmente prudente. Prima di attraversare per abitudine guardo sempre sia a destra che a sinistra, come mi hanno insegnato da bambina. Mi fa paura solo il vuoto intorno a me. Ma non ci si fa caso, finora nessuno l’ha notato. La madre sarà tutt’al più nel giardino accanto, o in quello dopo ancora. Qui tutte le case hanno un giardino, il nostro è uno dei più grandi e dei più trascurati. È lì soltanto perché io possa vederlo dalla finestra. Con il caldo che è venuto il tiglio ha finalmente messo le foglie. Quest’anno è tutto in ritardo di settimane. Sì, da qualche anno ho l’impressione che le stagioni stiano pian piano slittando. Che fine hanno fatto le estati roventi della mia infanzia, gli inverni nevosi e le primavere titubanti, che si schiudevano a poco a poco?

Marlen Haushofer, nata Marie Helene Frauendorfer (Frauenstein, 11 aprile 1920 – Vienna, 21 marzo 1970) è stata una scrittrice austriaca. Definita dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung «un’autrice che diviene più attuale ogni anno che passa», viene accostata a Ingeborg Bachmann ed è tradotta in molte lingue. Nei suoi romanzi e racconti ha descritto la condizione femminile con spietato realismo, senza disdegnare a volte invenzioni fantastiche dal potente portato allegorico.
Dopo un periodo di oblio, la sua opera è tornata in auge grazie ai movimenti femministi degli anni Settanta, e da allora viene costantemente ripubblicata.

Yves Delhoysie / Georges Lapierre - L'INCENDIO MILLENARISTA - Tabor / Malamente

Yves Delhoysie - Georges Lapierre 
(Os Cangaceiros)
L'INCENDIO MILLENARISTA
tra apocalisse e rivoluzione
prefazione di Luigi Balsamini
Tabor - Malamente
aprile 2024
pp. 576. euro 20
ISBN 9791280497222

 
Il millenarismo è uno dei più antichi sogni dell’umanità, l’idea dell’approssimarsi di un’Età dell’oro, un mondo radicalmente diverso, un mondo di fraternità e beatitudine, dove vivere liberi dalla maledizione del denaro, dello sfruttamento, della proprietà. Dalle visioni apocalittiche del primo cristianesimo alle eresie medioevali, dalle rivolte popolari contro il nascente capitalismo nell’Occidente moderno all’intreccio di profezie religiose e lotte sociali dei popoli indigeni contro la colonizzazione bianca, dall’anarchismo rurale nell’Andalusia ottocentesca al banditismo nel sertão brasiliano. Un torrente carsico di speranza e passione rivoluzionaria, disperso in mille rivoli sotterranei o esplosivi, collega gli insorti di tutti i tempi e i luoghi, fino a noi, per «trasformare il mondo fino a renderlo riconoscibile».
 
«La veemente fuga dal mondo sulle vie di Compostela, il rifugio nella preghiera, l’asilo della Chiesa, l’oasi di grazia della vita monastica non sono stati, per fortuna, gli unici impulsi degli uomini del Medioevo verso la salvezza della vita eterna. Una diversa corrente, altrettanto potente, ha trascinato molti di loro verso un altro desiderio: la realizzazione del paradiso sulla terra. È questa la corrente del millenarismo, il sogno di un Millennio, mille anni di felicità, come a dire l’eternità instaurata, o piuttosto restaurata, sulla terra. Diversamente dai loro contemporanei, i millenaristi non scambiarono i propri sogni per realtà, ma vollero realizzarli, che è qualcosa di ben diverso e molto più spirituale: godere infine della ricchezza infinita dello Spirito. Alla vile rassegnazione, hanno opposto il rifiuto, l’insurrezione, la rivoluzione».
 
 
Yves Delhoysie e Georges Lapierre hanno fatto parte del gruppo clandestino francese Os Cangaceiros, che negli anni Ottanta del XX secolo ha animato riflessioni teoriche e lotte concrete per la critica radicale dell’esistente, rivendicando la delinquenza sociale come pratica rivoluzionaria.

Mark Pizzato - MAPPATURA DEL TEATRO MONDIALE - Audino

 
Mark Pizzato
MAPPATURA DEL TEATRO MONDIALE
Dalle origini ai giorni nostri

(titolo originale Mapping Global Theatre Histories, 2019)
a cura di Maria Maderna
Dino Audino editore
collana Ricerche, n. 77
2024, pp. 312, euro 25
ISBN 9788875275778

Mappatura del teatro mondiale di Mark Pizzato è il primo libro che dà una panoramica completa di tutte le forme di rappresentazione teatrale mai esistite: dalle testimonianze lasciate dall’arte rupestre preistorica alle danze africane; dai drammi rituali di antico Egitto e Medio Oriente al teatro greco-romano; dai rituali indigeni alle forme di spettacolo postcoloniali, fino ad arrivare alla recentissima iper-teatralità dei mezzi di comunicazione di massa e dei social media. L’obiettivo è costituire un modello di studio dello spettacolo come fenomeno totale per la comprensione delle culture delle varie epoche, europee ed extraeuropee. La traduzione italiana del presente volume è il risultato di un lavoro didattico-scientifico della Civica Scuola di Teatro P. Grassi in collaborazione con la Civica Scuola di Interpreti e Traduttori A. Spinelli organizzato e coordinato da Maria Maderna. Un’edizione adattata, grazie a integrazioni specifiche, al pensiero italiano e destinata in particolare a studenti di facoltà umanistiche e a giovani attori.
 
Mark Pizzato è docente di teatro e cinema all’Università della Carolina del Nord, dove insegna Storia del teatro, Drammaturgia, Teoria della performance e Sceneggiatura. Alcuni cortometraggi da lui scritti hanno vinto i premi del New York Film Festival e del Minnesota Community Television.

Tin Ujević - COLLANA - Ronzani


Tin Ujević
COLLANA
(Titolo originale Kolajna, 1926)
traduzione e cura di Ugo Vesselizza
Ronzani Editore
Collana Poesia
settembre 2024
pp. 136, Euro 15
ISBN 9791259971883


Collana, scritta a Parigi – dove Tin Ujević visse dal 1913 al 1919 – probabilmente durante e immediatamente dopo la fine della Grande Guerra, e pubblicata per la prima volta a Belgrado nel 1926, è unanimemente considerata uno dei più bei canzonieri novecenteschi della poesia croata. A distanza di quasi un secolo dalla prima edizione, Ugo Vesselizza, poeta istriano tra i più appartati – «con qualche cosa di importante da dirci, qualche cosa di urgente dalla riva orientale dell’Adriatico» (così, Stefano Dal Bianco) – ci offre finalmente, dopo alcune prospezioni parziali, la sua versione-riscrittura integrale: frutto di un corpo a corpo strenuo con l’originale, durato più di trent’anni, e con un esito che vuole e deve apparire spiazzante. Che vuole e deve rinunciare all’ossequio del «gusto attuale» per rendere giustizia a quella che egli chiama «la stravaganza di Collana», la sua «novità restauratrice», ossia «un tradizionalismo ragionato, un petrarchismo progettuale, un classicismo tipicamente modernista». Poiché «Ujević, nella rara consequenzialità del suo virtuosismo sonettistico, compie il salto mortale, la sintesi che riempie il crepaccio spirituale tra classico e romantico, tra la poesia cortese, stilnovistica e dei suoi trovatori ragusei e la poesia del decadentismo. Sempre che la poesia antica, quel mondo di idealità e cortesie, sia guardato in controluce, con nostalgico intellettualismo e mesta ironia insieme».
 
Tin Ujević, ancora nel secondo dopoguerra, per le strade di Zagabria si poteva incontrare Tin (Augustin) Ujević (1891-1955) con il suo grosso cappello da bohémien e il cappotto allacciato con uno spago. Dedito alla poesia come unico ideale, come riscatto di tutto ciò che aveva perduto nei suoi pellegrinaggi dalla nativa Vrgorac (in Dalmazia) a Spalato, a Zagabria, a Parigi, a Belgrado, a Sarajevo, questo eterno vagabondo dalla scrittura straordinariamente ricca ed erudita, certamente il più grande poeta croato del Novecento, ha sempre trasposto in versi le esperienze della ‘tragica vita’. La vita, l’amore, la morte sono i suoi temi ossessivi. E se sono rintracciabili nella sua opera – un opus poetico e saggistico ricchissimo – echi dal simbolismo, da Poe, dal surrealismo, dall’ascetismo cristiano e dal misticismo orientale, quel che più conta è il suo eccentrico isolamento, in poesia come nella vita, un percorso alieno da concessioni a scuole e movimenti letterari, una sempre rinnovata magia della parola in una lingua difficile e in forme rigorosamente classiche.


Sarah Bernstein - ESERCIZIO DI OBBEDIENZA - Codice

Sarah Bernstein
ESERCIZIO DI OBBEDIENZA
(titolo originale Study for Obedience, 2023)
traduzione di Andrea Berardini
Codice Edizioni
settembre 2024
pp.168, euro 15
ISBN 9791254501108


Una donna si trasferisce dal luogo in cui è nata in un remoto Paese del Nord per fare la governante di suo fratello, che è appena stato lasciato dalla moglie. Fin dalla prima infanzia la donna è stata abituata a esaudire ogni desiderio dei suoi numerosi fratelli, un esercizio di perfetta obbedienza che lei ha praticato, e continua a praticare, con il massimo grado di devozione. Il Paese è quello degli antenati della sua famiglia, un popolo oscuro ma vituperato. Subito dopo il suo arrivo, nella cittadina dove la donna vive con il fratello si verificano strani e sinistri eventi: un’isteria bovina collettiva, la morte di una pecora e del suo agnello appena nato, la gravidanza isterica di un cane locale. La donna nota che il sospetto degli abitanti del luogo prende una forma inquietante e ricade su di lei, che pure diligentemente e silenziosamente si prodiga al servizio della comunità. E mentre l’ostilità dei cittadini cresce, una misteriosa malattia colpisce anche il fratello.

«Nel corso di questo processo io sarei stata ridotta, semplificata, e alla fine sarei diventata trasparente, avrei persino cessato di esistere. Sarei diventata buona. Sarei diventata tutto quello che da sempre mi chiedevano di essere.»

Romanzo finalista al Booker Prize 2023 e vincitore del Giller Prize.
 

Sarah Bernstein, nata il 23 aprile1987 a Montreal, Quebec, in Canada, da tempo abita nelle Northwest Highlands in Scozia, e insegna alla University of Edinburgh. Nel 2023 “Granta” l’ha inclusa nella lista dei migliori autori della Gran Bretagna. Prima di Esercizio di obbedienza (finalista al Booker Prize 2023 e vincitore del Giller Prize) ha pubblicato Now Comes the Lightning (2015) e The Coming Bad Days (2021).

Kristoffer Hatteland Endresen - UN PO' COME NOI - Codice

 
Kristoffer Hatteland Endresen
UN PO' COME NOI
Storia naturale del maiale 
(e perché lo mangiamo)
(titolo originale Litt som oss, 2020)
traduzione di Andrea Romanzi
Codice Edizioni
settembre 2024
pp. 354, Euro 26
ISBN 9791254501092


Il maiale incarna nell’immaginario collettivo tutto ciò che è sporco, brutto, volgare e di cui ci si dovrebbe vergognare. Il maiale però è anche un animale molto intelligente, con capacità cognitive paragonabili a quelle di un bambino di tre anni, ed è un modello medico di valore inestimabile su cui si esercitano i medici e che serve per ricavare “pezzi di ricambio” per noi esseri umani, dalle valvole cardiache ai reni. È etico mangiare senza troppi sensi di colpa un animale che ci somiglia così tanto? Se l’è chiesto il giornalista Kristoffer Hatteland Endresen, che si è fatto assumere in un allevamento intensivo e per sei mesi ha seguito una cucciolata di maialini dalla nascita alla macellazione. Nato come reportage giornalistico, Un po’ come noi racconta una quotidianità fatta di recinti, sporcizia e spazi angusti, e allo stesso tempo si interroga su alcuni temi urgenti: il nostro contraddittorio rapporto con il maiale – perché metà del mondo lo alleva per cibarsene mentre l’altra metà lo considera un animale impuro – e le più recenti ricerche scientifiche, quelle che studiano l’intelligenza del maiale e quelle in cui è protagonista di esperimenti medici finalizzati a migliorare la nostra vita.

«Il destino dei maiali non è che il risultato della forza innovatrice e del giudizio degli esseri umani. Siamo stati noi ad allevarli e poi a rinchiuderli. Il racconto della storia dei maiali è anche il racconto della nostra storia

Kristoffer Hatteland Endresen, storico e giornalista. I suoi articoli sono stati pubblicati da alcuni tra i più noti quotidiani norvegesi come “Aftenposten”, “Dagens næringsliv” e “Stavanger Aftenblad”. Un po’ come noi, nato come reportage giornalistico, è il suo primo libro.





venerdì 13 settembre 2024

Claudio Abbado, due libri tra note e alberi nei dieci anni dalla scomparsa saranno presentati lunedì 16 settembre alle 18 nelle sale apollinee del Teatro La Fenice


Sono passati dieci anni dalla sua scomparsa ma il ricordo di Claudio Abbado è più vivido che mai. Manca Abbado, manca al mondo della musica e non solo, perché ancora oggi, come allora, la sua figura artistica rappresenta per tutti un punto di riferimento unico. Ne sono testimonianza i tanti progetti legati ancora al suo nome. Tra questi, due pubblicazioni, entrambe edite dalla LIM proprio nel 2024, anno del decennale, che saranno presentati nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice in una conferenza in programma lunedì 16 settembre 2024 alle ore 18.00, a ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili.
                
Ho piantato tanti alberi. Claudio Abbado, ritratti recensioni interviste è opera di Angelo Foletto, critico musicale rimasto «impigliato» nel genio musicale del maestro. Lo spiega bene Alessandro Baricco, nella prefazione al volume: «Ho preso a sfogliare questo libro, una mattina di inverno zeppa di sole, e più andavo avanti più mi cresceva una specie di sorriso divertito, e non era per il sole in regalo: il fatto è che più scorrevano le pagine più quel che leggevo mi sembrava qualcosa di letterario, una storia che non poteva essere accaduta veramente, ma una bella iperbole poetica, un po’ epica, vagamente borgesiana, ma poteva anche essere uscita da Anime baltiche di Brokken. Un critico musicale/musicologo che rimane impigliato nel genio di un musicista e per un’intera vita lo accompagna senza far troppo rumore, sempre scostato di un paio di passi, a quella distanza sufficiente a non perdere nulla di quello che poteva accadere e necessaria per non rischiare di intralciare nulla di quello che doveva accadere. Di fatto, quella di Foletto per Abbado è stata, mi sembra di capire, un’avventura intellettuale, una passione irresistibile e una cura da declinare con tutta la civiltà possibile. Adesso che questo libro ne raccoglie ogni singola tessera, il bilancio è impressionante e, come dicevo, piuttosto poetico e letterario: mi commuove, tra le altre cose, l’attenzione con cui i due ebbero cura, mi è sembrato di capire, di non far sbordare il loro rapporto in una vera e piena amicizia, mantenendosi a lungo sul bordo di un riconoscersi reciproco, molto misurato ed elegante. Come a non complicare un viaggio che doveva essere soprattutto un viaggio nella musica».

               
È frutto di ricerche da certosino il lavoro di Mauro Balestrazzi, Claudio Abbado nota per nota. Una cronologia artistica, che vuole far emergere come nessun altro direttore, dopo Herbert von Karajan, abbia lasciato un’impronta così forte sul piano dell’interpretazione. L’opera di Balestrazzi si propone di fissare un’immagine inedita di Claudio Abbado, seguendone il cammino artistico quasi giorno per giorno, dai primi concerti come pianista agli ultimi indimenticabili di Lucerna. Accompagna la cronologia delle opere e dei concerti una ricca appendice di dettagli, una specie di radiografia artistica che si concentra di volta in volta sul repertorio, operistico e sinfonico, sulle orchestre, sui solisti e sui cantanti. Nessun altro direttore è stato a capo, ovviamente in momenti diversi, di due teatri come la Scala e la Staatsoper di Vienna e di due orchestre come i Wiener Philharmoniker e i Berliner Philharmoniker. Si cerca inoltre di far luce sul periodo meno conosciuto della carriera di Abbado, quello iniziale, curiosando anche tra i verbali d’esami al Conservatorio. Una carrellata di locandine e programmi di opere e concerti fa rivivere, anche visivamente, il lungo percorso dagli anni Cinquanta del Novecento al primo decennio del nuovo secolo.

Chiara Mazzucchelli - BASTIMENTI D'INCHIOSTRO - Kalós


Chiara Mazzucchelli
BASTIMENTI D'INCHIOSTRO
La Grande emigrazione nella letteratura siciliana (1876-1924)

preazione di Salvatore Ferlita
Kalós
pp.152, Euro 20
settembre 2024
ISBN 979-12-80198-93-8


Proprio quando il Paese era finalmente unificato e bisognava “fare gli italiani”, milioni di loro decisero di partire per cercare migliori opportunità all’estero, dando il via a un processo di emigrazione rapido e inesorabile che avrebbe progressivamente svuotato intere regioni d’Italia. Di questo terremoto demografico si occuparono al tempo storici, sociologi, economisti e studiosi vari, ma la letteratura sembrò non dedicare la stessa attenzione a questo significativo rivolgimento sociale. Per fortuna, negli ultimi anni, la critica letteraria sia in Italia che all’estero si è occupata sempre più della rappresentazione narrativa del fenomeno migratorio, impegnandosi in un prezioso lavoro di recupero e, in alcuni casi, di scoperta di scritti più o meno noti al grande pubblico. Grazie a questo rinnovato interesse, oggi è possibile affermare che esiste un filone narrativo che riguarda il grande esodo delle classi subalterne italiane all’estero. In questa esplorazione della letteratura sulla Grande emigrazione, attraverso un approccio interdisciplinare, l’autrice si concentra sulle opere di autori e autrici siciliani – Verga, Messina, Capuana, Pirandello tra gli altri – a cavallo tra Otto e Novecento, un periodo che segna l’affermarsi del Verismo e la transizione da questo movimento a un tipo di narrativa più incentrata sulla dimensione soggettiva e psicologica dei personaggi. In particolare, l’analisi si focalizza sui testi che affrontano il tema dell’emigrazione dalla Sicilia verso gli Stati Uniti, che rappresentarono la principale destinazione transoceanica per coloro che partivano dall’isola in quegli anni.

Chiara Mazzucchelli (Enna, 1976) è professoressa associata di Lingua e letteratura italiana e titolare della cattedra intitolata permanente “Dr. Neil Euliano endowed chair” presso la University of Central Florida di Orlando (USA), dove dirige il programma e tiene corsi di lingua e seminari di letteratura italiana e italoamericana e ha ricoperto diversi incarichi e posizioni amministrative. Le sue ricerche si concentrano sulla letteratura italiana contemporanea, con particolare attenzione alla letteratura dell’emigrazione tra Otto e Novecento, e sulla letteratura italoamericana. Ha pubblicato uno studio monografico intitolato The Heart and the Island: A Critical Study of Sicilian American Literature (SUNY Press, 2015), oltre ad articoli e saggi in riviste italiane e nord-americane quali «Italica», «Campi Immaginabili», «Nuova Prosa», «Forum Italicum» e «Altreitalie». Dal 2009 al 2018, ha ricoperto il ruolo di editor-in-chief della rivista scientifica «VIA – Voices in Italian Americana», dedicata agli studi italoamericani.

Ananyo Bhattacharya - L'UOMO VENUTO DAL FUTURO - Adelphi

 
Ananyo Bhattacharya
L'UOMO VENUTO DAL FUTURO
La vita visionaria di John Von Neumann
(titolo originale The Man from the Future The Visionary Life of John von Neumann, 2021)
Traduzione di Luigi Civalleri
47 immagini bn
Adelphi, La collana dei casi, 152
2024, pp. 447, € 30
ISBN 9788845938801

Per molti è stato l’essere più intelligente mai vissuto sulla terra – un alieno in grado di imitare alla perfezione gli umani, scherzavano i colleghi. Ma chi era davvero John von Neumann nessuno è mai riuscito a decifrarlo. Il paragone scontato con Einstein non aiuta a capire, giacché i due non potevano essere più diversi, soprattutto in campo scientifico: a Princeton, mentre uno inseguiva il miraggio di una teoria unificata della gravitazione e dell’elettromagnetismo, l’altro disegnava l’architettura del primo calcolatore programmabile modernamente inteso, la stessa che ritroviamo oggi nei nostri smartphone. Indifferente alle implicazioni filosofiche della meccanica quantistica, von Neumann guardava al futuro con la capacità quasi infallibile di individuare i settori in cui il suo contributo avrebbe determinato il nostro destino: l’intelligenza artificiale, gli automi cellulari, la teoria dei giochi, la bomba atomica. Era un genio, ma lontanissimo dallo stereotipo del nerd asociale: un bon vivant che amava i party, le Cadillac e le belle donne; un uomo pieno di debolezze e ambiguità, come testimonia l’inaspettata conversione al cattolicesimo in punto di morte; una figura controversa, bersaglio di feroci critiche per l’estremo cinismo con cui sostenne la necessità di un attacco nucleare preventivo contro l’Unione Sovietica. Ma innanzitutto – come ci ricorda Bhattacharya – una mente capace di fornire gli strumenti per affrontare il futuro da cui sembrava provenire, proprio mentre era disposta a riportarci all’età della pietra.


L'incipit
Chiamatemi Johnny, si raccomandava agli americani invitati alle serate movimentate che organizzava nella sua lussuosa magione a Princeton. Von Neumann, che pure conservava quell’accento ungherese che lo faceva sembrare Bela Lugosi, il leggendario protagonista di tanti $lm dell’orrore, pensava che il suo nome di battesimo, János, suonasse troppo straniero nella nuova patria. Dietro i modi cordiali e gli abiti eleganti c’era un uomo di inimmaginabile intelligenza. All’Institute for Advanced Study (Ias) di Princeton, dove fu di casa dal 1933 $no alla morte, nel 1957, von Neumann si divertiva a infastidire colleghi del calibro di Albert Einstein e Kurt Gödel suonando a tutto volume marcette tedesche sul grammofono del suo uf$cio. Einstein, com’è noto, ha sconvolto i concetti di spazio, tempo e gravitazione, mentre Gödel – pur non altrettanto famoso – ha avuto un ruolo ugualmente rivoluzionario nel campo della logica formale. Ma chi li conosceva bene sosteneva che von Neumann fosse di gran lunga il più acuto dei tre. Tra i colleghi circolava una battuta: John apparteneva a una specie superiore e aveva studiato in modo approfondito gli esseri umani per imitarli alla perfezione. Da bambino aveva assimilato il greco antico e il latino, e oltre all’ungherese, sua lingua madre, parlava francese, tedesco e inglese. In tenera età aveva divorato una storia del mondo in quarantacinque volumi, di cui ricordava a memoria interi capitoli a distanza di molti anni. Un professore di storia bizantina invitato a una delle sue feste a Princeton rispose che sarebbe venuto solo a patto che la conversazione non cadesse su quell’argomento: «Sono considerato il più grande esperto al mondo» disse alla moglie di von Neumann «e vorrei che tutti continuassero a pensarla così ». Ma il campo in cui John soprattutto applicava la sua mente straordinaria non era la linguistica o la storia, ma la matematica. I cultori di questa disciplina spesso descrivono la loro attività come un nobile gioco, che consiste nel dimostrare teoremi a prescindere da ogni utilità pratica. Il che, spesso, è vero. Ma la matematica è anche il linguaggio della scienza, nonché lo strumento più potente a nostra disposizione per capire il mondo. «Come può essere che la matematica, » si chiedeva Einstein « che è dopo tutto un prodotto del pensiero umano indipendente dall’esperienza, sia così mirabilmente adatta a descrivere oggetti della realtà| ».1 A questa domanda non siamo ancora riusciti a rispondere in modo soddisfacente. Ma $n dai tempi antichi i matematici con qualche talento per le applicazioni della loro disciplina – e von Neumann era tra questi – sanno bene che la loro abilità li può portare alla ricchezza, al potere e alla possibilità di trasformare il mondo. Archimede si dedicava a ricerche molto astratte, come calcolare un gran numero di cifre decimali di pi greco; ma d’altro canto, grazie alla sua profonda conoscenza della materia, progettava secondo precise regole matematiche macchine belliche capaci di respingere gli assalti dei Romani, come il cosiddetto « artiglio di Archimede », un grosso gancio, attaccato con una fune al braccio di una specie di gru, in grado di sollevare parzialmente le navi nemiche dall’acqua, per poi farle rovesciare. I risultati ottenuti da von Neumann in campo matematico a metà del ventesimo secolo ci appaiono ogni anno che passa anticipazioni del futuro, in modo sconcertante. Per capire appieno le correnti intellettuali del nostro secolo, in settori che spaziano dalla politica all’economia, dalla tecnica alla psicologia, in ultima analisi dobbiamo guardare alla vita e alle opere di von Neumann. Il suo pensiero è rilevante per le s$de che dobbiamo affrontare al giorno d’oggi, tanto che saremmo tentati di pensare che facesse davvero viaggi nel tempo, seminando silenziosamente idee che sapeva ci sarebbero servite per dare forma al futuro del pianeta. Von Neumann era nato nel 1903, dunque aveva solo ventidue anni quando fu tra i protagonisti della rivoluzione della meccanica quantistica, di cui contribuì a fornire i fondamenti matematici. Emigrato in America a trent’anni, e resosi conto che la guerra era imminente, studiò le basi teoriche della balistica e della scienza degli esplosivi. Mise poi le sue conoscenze al servizio delle forze armate americane e del Progetto Manhattan; tra gli scienziati riuniti a Los Alamos per costruire la bomba atomica, fu lui a calcolare la disposizione degli esplosivi necessari per far detonare, mediante la compressione del suo nucleo di plutonio, «Fat Man», il potentissimo ordigno nucleare usato a Nagasaki.

Ananyo Bhattacharya vive a Londra. Scrittore e giornalista scientifico, ha collaborato con "Nature" e "The Economist". 

Enzo Nucci - AFRICA CONTESA - Infinito

 
Enzo Nucci
AFRICA CONTESA
La risposta del continente all'assalto delle superpotenze

prefazione di Pietro Veronese
Infinito Edizioni, collana Catalogo Stampati
2024, pp.104, Euro 14
ISBN 9788868617325



Gli eventi che hanno preso forma dal 2020 a oggi sono le levatrici di un nuovo ordine mondiale i cui equilibri, sviluppi e confini sono ancora tutti da definire. Un work in progress che fa dell’Africa il tassello centrale del puzzle geopolitico in fieri.
La Russia, dopo gli anni dell’abbandono seguiti allo sfacelo dell’impero sovietico, è tornata al lavoro per riconquistare posizioni che deteneva durante la guerra fredda, entrando in competizione con la Cina. Gli Stati Uniti faticano a seguire il cammino di un continente in rapida evoluzione mentre i Paesi europei (in particolare la Francia) pagano lo scotto di un passato coloniale che si perpetua fino ai nostri giorni grazie al sostegno artificioso a “governi fantoccio”. Intanto anche la Turchia ha fatto il suo ingresso in Africa in competizione con i Paesi arabi.
In questo coacervo di interessi – materie prime, controllo geopolitico del territorio, basi militari, commercio – l’Africa prova a ritagliarsi un ruolo inedito, anche attraverso la nascita di un nuovo movimento di Paesi non allineati che rifiuta la richiesta del blocco occidentale di isolare la Russia sul piano internazionale ma che si ribella anche a Mosca che molto promette in termini di cooperazione e aiuti ma poco mantiene. Su tutto pesa l’incognita jihadista, che sta concentrando in Africa i suoi sforzi per la creazione del Califfato dopo il fallimento nell’area mediorientale.
L’Africa oggi è un alleato prezioso che fa gola a troppi ma la decolonizzazione di facciata ha reso i leader più consapevoli delle potenzialità di popoli e risorse. E ormai nessuno si accontenta delle poche briciole lanciate astutamente dal tavolo dei Paesi ricchi.

Enzo Nucci, (Napoli, 1957) si avvicina al giornalismo durante gli anni del liceo classico, collaborando a riviste e giornali del movimento studentesco. Dopo la gavetta in radio e tv private, diventa praticante giornalista nel 1979 al quotidiano Il Diario. Il suo primo amore è il cinema. È autore (con Alberto Castellano) del saggio Vita e spettacolo di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia e pubblica saggi sul doppiaggio e sulla comicità popolare.

Etsu Inagaki Sugimoto - LA FIGLIA DEL SAMURAI - O barra O


Etsu Inagaki Sugimoto
LA FIGLIA DEL SAMURAI
Traduzione di Giulia Masperi
Prefazione di Carmen Covito
O barra O edizioni
Collana: in-Asia/Giappone
pp. 352, euro 18,50
settembre 2024
ISBN 978-88-6968-144-8


Pubblicato nel 1925, tradotto in molteplici lingue e incessantemente ristampato dalle principali case editrici anglo-americane, il memoir di Etsu Inagaki Sugimoto è il coinvolgente racconto autobiografico di una donna giapponese forte e indipendente, nata in una famiglia decaduta di samurai negli anni successivi alla Restaurazione Meiji.
Il Giappone dell’infanzia di Etsu non è quello dei ciliegi in fiore, ma la terra inospitale e isolata della provincia di Echigo, il “paese delle nevi” reso celebre da Kawabata. Quando, dopo la morte del padre, viene promessa in sposa a Matsuo, un amico del fratello che vive a Cincinnati, la sua vita prende un corso inatteso. La sua curiosità e il suo afflato di libertà le permetteranno di conciliare le culture e i costumi di due mondi tanto distanti: il Giappone feudale delle sue origini e l’America progressista.
I ricordi di Etsu sono una fonte inesauribile di storie e tradizioni dell’antico Giappone, ma altresì una finestra privilegiata attraverso cui osservare le trasformazioni sociali indotte dalla modernizzazione, la condizione femminile nel Paese del Sol Levante e negli Stati Uniti agli inizi del XX secolo, i pregiudizi, i fraintendimenti e i punti d’incontro tra Oriente e Occidente.

«Ho tratto un piacere immenso a immergermi nella prosa delicata e minuziosa di Etsu. È irresistibile
Amélie Nothomb


Etsu Inagaki Sugimoto (1873-1950). Scrittrice nippo-americana nata a Nagaoka, nella provincia di Echigo, pochi anni dopo la Restaurazione Meiji che pose fine al sistema feudale del Giappone. Destinata a diventare sacerdotessa buddhista, poco dopo la morte del padre, ex consigliere di alto rango di un potente signore locale, entra in una scuola metodista a Tōkyō in vista del matrimonio combinato con Matsunosuke Sugimoto, un commerciante giapponese di Cincinnati, e si converte al cristianesimo. Lascia il Giappone nel 1898. Presto rimane vedova con due figlie. Torna inizialmente in Giappone, ma poi si trasferisce a New York, dove si dedica alla letteratura, insegna lingua, cultura e storia giapponese alla Columbia University e scrive per giornali e riviste.