venerdì 27 settembre 2024

Wang Xiaobo - L’ETÀ DELL’ORO - Carbonio

 
Wang Xiaobo
L’ETÀ DELL’ORO
(titolo originale Huangjin Shidai, 黄金时代, 1994) 
Traduzione di Alessandra Pezza
A cura di Patrizia Liberati 
Carbonio Editore
Collana Cielo Stellato
settembre 2024
pp. 264, € 21
ISBN 9791280794413


Nel 1971, in piena Rivoluzione Culturale, il ventunenne Wang Er viene mandato dalla natia Pechino nella remota regione dello Yunnan per un periodo di rieducazione, lavorando a fianco dei contadini e depurandosi di qualunque scoria borghese.
Assegnato alla squadra di produzione numero quattordici, a valle, il giovane è preso di mira dal caposquadra che sospetta gli abbia accecato la cagna, e per questo lo obbliga a svolgere le mansioni più faticose, come tra­piantare germogli di riso stando chino gran parte della giornata. Troppo per chi è alto un metro e novanta come Wang Er, che infatti si infortuna alla schiena. Viene chiamata a provvedere alle necessarie cure mediche la dottoressa Chen Qingyang, impiegata nella squadra numero quindici su in montagna, nota per sberle poderose, e con un marito in prigione.
Wang Er e Chen Qingyang stringono una profonda amicizia – simile, per spirito, a quella dei cavalieri erranti delle leggende di epoca Tang, che ben presto implica anche la comunione dei corpi. La rieducazione si trasforma per i due in un’iniziazione sessuale travolgente, vissuta in clandestinità sulle montagne. Quando la polizia del popolo scopre la relazione illecita, la coppia è accusata di corruzione morale e comportamenti lascivi, nonché di essersi nascosta oltreconfine; Wang Er e Chen Qingyang vengono costretti a scrivere delle lunghe confessioni, infarcite di dettagli scabrosi a uso e consumo delle autorità. 
Intanto Chen Qingyang vorrebbe qualcosa di più serio da Wang Er, persino un figlio, ma il giovane si ritrae.
Concluso il periodo di rieducazione, i due si perdono di vista. Di nuovo a Pechino, Wang Er termina gli studi e lavora in università come insegnante di microbiologia e responsabile di laboratorio.
Gli anni Ottanta scorrono in un’atmosfera di mediocrità e rassegnazione – «la società, come una fornace, è in grado di temprare chiunque». Tra servilismo, insubordinazioni, promiscuità, Wang Er ripensa al suo passato e a quello delle persone a lui vicine, un passato fatto di pestaggi e suicidi, sorveglianza, delazioni, ma anche di amore, amicizia, spontaneo eroismo e audaci fughe dalla realtà.
La storia si sviluppa lungo tre archi temporali – l’età dell’oro, quella dei vent’anni, l’età delle ambizioni, i trent’anni, l’età delle certezze, i quarant’anni – contraddistinti dall’incontenibile sessualità del personaggio Wang Er.
L’uso che Wang Xiaobo fa del sesso travalica però la mera trasgressione per diventare anche strumento di sovversione contro l’insopportabile ingerenza del potere politico. L’erotismo si rivela l’arma più efficace per ribellarsi a un sistema che ha fatto del controllo sociale il suo cardine, e liberarsi dalla pesantezza di rituali burocratici grotteschi.
A dispetto di un’atmosfera oppressiva ritmata dall’imperativo della purificazione ideologica – le giornate dell’igiene patriottica, le campagne per la rettifica di classe, le sessioni di lotta per scuotere il pensiero, animate dai comitati (comitati centrali di partito, di quartiere, di propaganda operaia, sportivi) – e di una quotidianità vissuta sempre sull’orlo della catastrofe, la figura di Wang Er non cede alla disperazione, tantomeno vi cede Wang Xiaobo, suo creatore e alter ego.
Attorno a Wang Er si muovono altri personaggi iconici e sopra le righe – la moglie insoddisfatta, l’amante svampita, la donna inarrivabile, il rettore cortigiano, l’assistente scapestrato, la madre impicciona, il padre arcigno, l’accademico esemplare, l’accademico tormentato. Un humus esasperato, che la scrittura dell'autore esalta per mezzo di espressioni e similitudini crudamente triviali, scintille poetiche sorprendenti e un umorismo nero costante con impennate di schietto giubilo.
Alieno da ogni patetismo, Wang Xiaobo marca la sua netta distanza dalla corrente letteraria predominante durante il grande caos post-Mao della fine degli anni Settanta, quella “letteratura cicatriziale” che affrontava il trauma della Rivoluzione Culturale – la “cicatrice” – ricorrendo a una cifra angosciosa, e che produsse un’abbondanza di dolorosi resoconti autobiografici, pubblicati però solo con l’approvazione dei funzionari statali e solo su riviste governative ufficiali. Viceversa, Wang Xiaobo mostra tutta la sua possente individualità letteraria, sia immaginifica che stilistica, attraverso una vis dissacrante e una propensione satirica senza precedenti.
È il romanzo L’età dell’oro a sancire la consacrazione letteraria di Wang Xiaobo. L’autore impiega vent’anni per finirlo, al prezzo di numerose riscritture. La versione originale cinese viene pubblicata prima a Taiwan, nel 1991, e poi in Cina, nel 1994. 

Wang Xiaobo non è stato soltanto uno scrittore, né soltanto un autore di culto che ha spopolato nei dipartimenti universitari. È stato un “fenomeno” nella Storia della letteratura del Novecento, non circoscritta a quella est-asiatica, e con L’età dell’oro ha raggiunto l’apice della sua creatività. Il romanzo trabocca di un’energia farsesca sfolgorante, dove ogni cosa – eros e thanatos, luce e ombra, esultanza e malinconia, umiliazione e dignità, ironia e gravità – è destinata a disperdersi e a ricomporsi di continuo.
E se oscenità c’è nell’Età dell’oro, questa non è data dallo stato di incessante eccitazione del protagonista, ma dalla presenza di un’autorità priva di qualsiasi autorevolezza.

Tradotto in inglese, francese, tedesco, danese, spagnolo, persino in arabo, L’età dell’oro è rimasto inaccessibile ai lettori italiani per gli oltre trent’anni successivi alla pubblicazione taiwanese. Questa prolungata e inspiegabile trascuratezza viene finalmente meno grazie all’edizione italiana per i tipi di Carbonio Editore, che ha affidato il compito a due sinologhe di vaglia. Alessandra Pezza (per la traduzione) e Patrizia Liberati (per la cura) hanno raccolto la sfida con entusiasmo licenziando un testo di vivida accuratezza. 


L'incipit
Avevo ventun anni quando mi mandarono in una squadra di produzione nella provincia dello Yunnan come giovane istruito1 . Chen Qingyang ne aveva ventisei e faceva il medico nella stessa zona. Io appartenevo alla squadra numero quattordici, a valle, lei alla quindicesima, su in montagna. Un giorno venne da me per spiegarmi perché non era una ‘scarpa sfondata’, cioè una sgualdrina. All’epoca la conoscevo appena. La sua argomentazione era la seguente: nonostante tutti la ritenessero tale, lei non lo era. Quel genere di donne ruba i mariti alle altre, lei non l’aveva mai fatto. Anche se suo marito era in prigione già da un anno, lei non aveva cercato nessun altro, né se l’era trovato prima. Mai. Quindi non riusciva a capire come fossero nate quelle dicerie. Rassicurarla non sarebbe stato difficile. Avrei potuto affidarmi alla logica: se davvero Chen Qingyang fosse stata una sgualdrina, sarebbe dovuta esistere almeno una persona con cui l’aveva fatto. Ma visto che tale persona non era identificabile, l’accusa non stava in piedi. Tuttavia mi ostinai a dire che sì, senza ombra di dubbio: lei era decisamente una scarpa sfondata. L’idea di chiedermi di testimoniare in suo favore le era venuta quando ero andato a farmi fare le iniezioni. La cosa era andata in questo modo: durante il picco del lavoro agricolo, anziché mandarmi ad arare i campi, il caposquadra mi aveva messo a trapiantare i germogli di riso, ed ero costretto a passare le giornate piegato in due. Chi mi conosce sa che ho avuto un infortunio alla schiena e, oltretutto, sono alto più di un metro e novanta.
Dopo un mese di quell’andazzo, soffrivo talmente che senza una puntura di procaina non sarei riuscito a chiudere occhio. Nella nostra infermeria usavano una siringa dall’ago curvo e spuntato, che mi uncinava la pelle. Dopo un po’, la mia schiena era talmente coperta di piccole cicatrici indelebili che sembrava crivellata da un fucile a piombini. A quel punto mi ero ricordato che alla squadra numero quindici lavorava una dottoressa laureata all’Università Medica di Pechino, che probabilmente era in grado di distinguere un ago da un amo. Così ero andato a cercarla. Meno di mezz’ora dopo, me l’ero ritrovata in casa a chiedermi di testimoniare per lei. Chen Qingyang non aveva nulla contro le sgualdrine. Dal suo punto di vista, erano persone buone e generose che non amavano deludere le aspettative altrui. In un certo senso le ammirava anche. Il problema non stava in cosa pensasse delle ‘scarpe sfondate’ ma nel fatto che lei non lo era, nella maniera più assoluta. Un po’ come un gatto di sicuro non è un cane. Quale gatto non si dispiacerebbe, a sentirsi dare del ‘cane’? Essere definita ‘scarpa sfondata’ la mandava fuori di testa perché le sembrava di non riconoscersi più. Si presentò nella mia capanna di paglia nella sua divisa da infermiera, che lasciava le braccia e le gambe nude: la stessa tenuta che portava in ambulatorio, con l’unica differenza che adesso aveva raccolto i lunghi capelli con un fazzoletto, e ai piedi aveva un paio di ciabatte. Quando la vidi così, mi venne spontaneo domandarmi se indossasse qualcosa sotto il camice, oppure niente del tutto. Come potrete intuire dal fatto che non le importasse granché dell’abbigliamento, Chen Qingyang era molto bella. Aveva una sicurezza in se stessa che si portava dietro fin da ragazzina. Le dissi che, a mio parere, era definitivamente una ‘scarpa sfondata’ e per una serie di ragioni. “Per prima cosa, quella di ‘scarpa sfondata’ è una semplice etichetta. Se tutti ne sono convinti, vuol dire che lo sei e non c’è altro da spiegare. La gente dice che vai in giro a rubare gli uomini, e questo significa che lo fai, punto e basta. Quanto al perché, ti dico la mia: la gente pensa che una donna sposata non abbia un amante soltanto quando ha la pelle scura o il seno cadente. Tu hai una pelle bianchissima e un seno turgido e sodo. Di conseguenza, non puoi che essere una scarpa sfondata. Se vuoi che smettano di dirlo, scurisciti la faccia e fatti venire le tette mosce, così smetteranno di chiacchierare. Però sarebbe una bella perdita, lo ammetto. C’è un’unica soluzione: fatti un amante. Così sarai una sgualdrina, ma per scelta. Non è compito degli altri accertare se hai un intrallazzo prima di decidere come chiamarti. Casomai sta a te impedire che alle persone venga l’idea di affibbiarti quell’appellativo”. A quelle parole, Chen Qingyang arrossì e sgranò gli occhi per la rabbia, come se fosse sul punto di mollarmi un ceffone. Era famosa per le sue sberle poderose, le aveva fatte assaggiare a parecchia gente. Invece si afflosciò e disse: “D’accordo, vorrà dire che sono una scarpa sfondata. Ma seno cadente o sodo, pelle scura oppure chiara, non sono affari tuoi”. Poi aggiunse che se avessi continuato a pensarci, prima o poi uno schiaffone me lo sarei beccato di sicuro.
 
L'autore

Nato nel 1952 a Pechino da una famiglia di intellettuali – il padre è uno stimato professore universitario di Logica –, Wang Xiaobo è il grande outsider della letteratura cinese contemporanea, un autore seminale e una voce imprescindibile per capire la Cina degli ultimi cinque decenni.  Mosso da un cieco idealismo, a sedici anni trascorre un periodo di rustificazione nello Yunnan, esperienza comune a milioni di giovani istruiti della sua generazione, sufficiente però a fargli abbandonare ogni illusione. Tornato a Pechino, lavora come operaio fino all’ammissione, nel 1978, all’Università del Popolo, dove studia Economia. Si è intanto sposato con Li Yinhe, prima sociologa cinese impegnata nello studio della sessuologia. La coppia vive alcuni anni negli Stati Uniti dove Wang Xiaobo consegue una laurea specialistica all’Università di Pittsburgh e intanto assorbe la lezione del Foucault di Storia della sessualità – il sesso è la causa di tutte le circostanze della vita individuale così come governa l’esistenza sociale nel suo insieme.
Con la moglie collabora alla stesura de Il loro mondo, il primo studio di argomento omosessuale in Cina. Rientrato in patria nel 1988, insegna all’Università fino alle dimissioni, nel 1992, per dedicarsi a tempo pieno alla letteratura come scrittore indipendente, vivendo dei soli proventi dei suoi libri.
Wang Xiaobo lavora alla sceneggiatura di quello che diventerà il primo film della Cina continentale a tematica queer, East Palace, West Palace (1996), successo internazionale diretto dal regista Zhang Yuan.
Due volte vincitore del prestigioso United Daily News Award for Novel, tra le opere di Wang Xiaobo ricordiamo la “Trilogia delle età” – di cui fa parte L’età dell’oro – e le raccolte di saggi A Maverick Pig e The Silent Majority. Oltre a L’età dell’oro, in Italia è uscito il saggio Il significato dell’arte (Oedipus, 2017).
Wang Xiaobo è morto a Pechino, nel 1997.
Li Yinhe è ancora attivissima per i diritti LGBTQIA+.

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