sabato 28 settembre 2024

Raphaël Meltz - 24 VOLTE LA VERITÀ - Prehistorica


Raphaël Meltz 
24 VOLTE LA VERITÀ
(titolo originale 24 fois la vérité, 2021)
Traduzione di Alice Laverda
Prehistorica Editore, collana Ombre lunghe
settembre 2024
pp. 260, euro 18
ISBN 9788831234269

 
C’è Gabriel, un cineoperatore che ha percorso tutto il Novecento con l’occhio incollato dietro la sua macchina da presa: dal funerale di Sarah Bernhardt all’11 settembre 2001 passando per la Pace di Parigi, nel 1919, sarà stato il testimone muto di un mondo caotico e vertiginoso. C’è Adrien, suo nipote, un giornalista specializzato in quelle cose digitali che ormai invadono le nostre vite. E c’è il romanzo che Adien ha deciso di scrivere attorno alla figura del nonno. 
In ventiquattro capitoli, raccontare una vita. Ventiquattro capitoli come le ventiquattro immagini che costituiscono ogni secondo di un film. Ventiquattro capitoli per tentare di cogliere la verità.
Cosa resta di chi non è più tra noi? Cosa si può dire di conoscere di ciò che si è visto ma non vissuto? Cosa fare, al giorno d’oggi, di tutte queste immagini?

L'incipit
– Si ricordi però che è da un pezzo ormai che siamo nel ventunesimo secolo. 
Scrivo si ricordi, ma mi parlava in inglese, e non so dire se in realtà mi dava del tu per essere informale o se mi dava del lei per mantenere quella freddezza professionale tipica degli incontri che si fanno in congressi come questo. Io non lo so, ma lui nemmeno: un anglofono non si chiede se sta dando del tu o del lei a qualcuno, si rivolge a tutti con lo stesso you, un po’ come noi francofoni non pensiamo che in lingua maya si usino verbi diversi per dire toccare con un dito, toccare con due dita, toccare con tre dita, toccare con tutta la mano. Noi diciamo semplicemente toccare, e ci accontentiamo. Ci accontentiamo di tante cose in verità. Las Vegas. Nell’articolo che è davvero ora che mi metta a scrivere sul Consumer Electronics Show (CES), come ogni anno da ormai undici anni vengo qui per scrivere l’articolo specialistico che poi venderò al miglior offerente tra i giornali che ne vogliono parlare (e ne vogliono parlare tutti), andrò a recuperare i soliti vecchi cliché sulla città folle, le luci al neon esagerate, la Strip, il grande boulevard «centrale», gli hotel e i casinò, venderò un po’ di glamour di scenografia, un po’ di eccitazione di contesto prima di parlare dei nuovi telefoni che saranno nelle mani degli americani tra qualche settimana, dei francesi tra qualche mese – ma per adesso, prima dell’irsuto racconto, la glabra realtà: all’Hotel Luxor (anch’esso, ovviamente, un casinò), il bar è un’immensa terrazza con una vista smisurata sull’orrenda e aberrante città delle Praterie, tutta luci, certo, ma luci aggressive, luci spiacevoli, rosse che trasudano la vacuità del gioco e gialle che celebrano il nulla consumistico, neon che brillano solo agli occhi di chi crede che il successo si misuri in chilowatt, in chilometri, in chilodollari. Prendo un whisky doppio che farò passare in conto spese, mi conviene, 8 costa 29 dollari, e cammino verso le finestre, c’è gente, tantissima, a Las Vegas durante il CES c’è gente perennemente e dappertutto, al bar del Luxor ci sono dei tavolini alti con alcuni sgabelli liberi ma c’è sempre almeno una persona seduta, a volte un gruppetto, più spesso gente sola, in maggioranza uomini, uomini soli o a coppie ma allora è una solitudine condivisa, non si parlano, sono connessi ad altri mondi, ad altri affari, ad altre sfide, sfide ridicole in confronto al reale procedere del mondo, ma che a loro sembrano cruciali. Mi sistemo a un tavolino di fronte a un tizio solitario alto e magro immerso nel suo smartphone. Qui gli esseri umani hanno la pelle azzurra. Potrei chiamarli blueskin, sempre con un telefono in mano (spesso due, a volte tre, ma con due sole mani la cosa è ancora un po’ complessa), hanno il viso incorniciato da un alone azzurrognolo la cui assenza pare quasi sospetta (succede, in generale si tratta di nerd patentati che hanno installato un filtro anti luce blu), ma questo tizio alto e magro ha il viso di mille colori, tinte che cambiano in continuazione con effetto stroboscopico che si direbbe volontariamente ricercato, bevo un sorso di whisky e lo guardo con aria interessata ma non troppo, se ne sta chino sullo schermo in maniera particolare, non come tutti gli altri, intorno a noi, non come qualcuno che guarda una foto su I. o una storia su S. o un video su Y., lui guarda il suo telefono come se lì stesse succedendo altro.

L'autore
Raphaël Meltz (1975) è uno scrittore raro, estremamente eclettico. È autore di svariati racconti, saggi e romanzi; per un fumetto, è stato recentemente premiato al Festival ’Angoulême. Ha cofondato e codiretto la rivista “R deréel” e il magazine “Le Tigre”. Dal 2013 al 2017 ha prestato servizio come addetto culturale presso l’Ambasciata di Francia in Messico. Significative le parole di Frédéric Martin, il suo editore francese (Le Tripode): “Meltz è un Don Chisciotte, una persona dal bagaglio intellettuale molto vasto, che ora potrebbe trovarsi negli uffici ministeriali o seduto a una cattedra universitaria, ma che ha scelto una forma di resistenza.”

La traduttrice

Alice Laverda è nata a Bassano del Grappa nel 1989. Si è laureata in Traduzione Letteraria all'Universitè Aix-Marseille, in Linguistica e Traduzione all'Università di Pisa.

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