domenica 29 settembre 2024

Andri Snær Magnason - LA PIETRA DEL GIGANTE - Iperborea

 
Andri Snær Magnason
LA PIETRA DEL GIGANTE
(titolo originale Ofðu ást mín, 2016)
traduzione di Silvia Cosimini
Iperborea, collana Gli Iperborei, 386
settembre 2024
pp.160, € 17,00
ISBN 97888709168

Nere distese di lava, bianchi ghiacciai, casette in legno e edifici brutalisti: l’Islanda dei racconti della Pietra del gigante è una terra di contraddizioni, in bilico tra un passato di ristrettezze, un presente ricco e un futuro incerto. L’Islanda del recente boom economico, che lentamente si riprende dopo aver capito che il mondo non è finito nella catastrofe nucleare tanto temuta durante la Guerra fredda, ma che anzi tutto è finalmente a portata di mano. Così, se nel racconto «2093» il bisnonno ha visto per la prima volta un albero a nove anni, perché nel Nord dell’isola non crescono, in «Wild Boys» rampanti imprenditori organizzano feste grandiose a Londra, tra droga ed eccessi, per liberarsi dal provincialismo della loro giovinezza. Una liberazione che spesso nasconde rimpianti e nostalgia: quella per un mondo raccolto e tranquillo, immune alle sirene del consumismo compulsivo. È la stessa scissione avvertita dal protagonista di «Dormi, amore mio», che vive una relazione in crisi con la donna che ama da quando è adolescente, o dall’architetto deluso della «Pietra del gigante», che si sente la marionetta di uomini ricchissimi e ancora più avidi: può esistere davvero un sentimento profondo e sincero in una società così satura di cose superflue? Con slancio civile e politico e la prosa lucida del grande narratore, Magnason sembra cercare la soluzione in una forma di amore che si nasconde nei gesti più semplici e non richiede spiegazioni: le mani di un bambino che frugano tra i Lego per trovare quelli più colorati, un vecchio che mostra al nipote una sterna artica, una ragazzina che salva un bombo dalla morte tra i ghiacciai. 


L'incipit
Avevo trovato un bombo in un mucchio di neve sporca e lo avevo messo in una scatola di fiammiferi. Nessuno l’aveva notato, del resto non te lo aspetti, un bombo, su montagne dove non cresce quasi nemmeno un filo d’erba. Era l’unico essere vivente che vedevo da giorni e avevo sentito di doverlo salvare. L’insetto cominciò a sbattere le ali e la scatola di fiammiferi che tenevo sul palmo vibrava come un piccolo rasoio. Era un buon segno, in effetti, perché poche ore prima sembrava moribondo, ma adesso ero preoccupata, il bombo sarebbe potuto morire dentro la scatola prima che riuscissimo a trovare un posto sicuro in cui liberarlo. Asciugai la condensa all’interno del finestrino e guardai fuori. Non c’era niente da vedere, soltanto distese di sabbia nera, campi di lava e crateri, il cielo era coperto e di sicuro non c’erano più di cinque gradi. Papà disse qualcosa ma io non riuscii a sentirlo, eravamo a bordo della nuova Volvo Laplander, detta Lappi, che praticamente era una specie di trattore, un avanzo dell’esercito norvegese importato in Islanda nel 1981. Era a forma di scatola, con il motore sotto l’abitacolo e coperto da una lastra di ferro rivestita che divideva i sedili anteriori, e faceva un gran baccano. Era spaziosa e aveva due file 8 di sedili posteriori. Mio fratello si era sdraiato sulla prima e io stavo dietro e venivamo sbatacchiati a destra e a sinistra quando la macchina sobbalzava sulle strade più dissestate. Avevo trovato un modo per ammorbidire il viaggio, mi ero creata una specie di crisalide impilando bagagli e sacchi a pelo tutt’intorno a me e tirandomi un plaid sopra la testa. Così potevo rannicchiarmi al buio e ascoltare la radio, perché l’altoparlante posteriore della macchina era dentro il bozzolo. Papà teneva sempre la radio accesa anche se raramente riuscivamo a sentirla, tra il rumore del riscaldamento, quello del motore e i disturbi di ricezione lassù negli altipiani. Sentivo stralci di previsioni meteorologiche, di lettura della Bibbia, di radiodrammi, qualche notizia sugli scioperi, qualcosa su un sottomarino nell’arcipelago svedese, sulle trattative sul disarmo e sui progetti per lo scudo spaziale, ma soprattutto sentivo un gran fruscio ronzante. Però anche i fruscii sembravano seguire uno schema, come se ogni tanto le oscillazioni avessero un ritmo. Sapevo che le onde radio erano invisibili e le immaginavo come quelle del mare, immaginavo che il fruscio s’infrangesse contro l’auto allo stesso ritmo della risacca. Me ne stavo nel mio bozzolo al buio e sentivo l’auto avanzare fendendo il rumore che colpiva il parabrezza, si ritirava e tornava a infrangersi. A volte il fruscio era seguito da una parola o una musichetta, e allora immaginavo che le canzoni e le parole fossero come i pesci che nuotavano in quel mare.
 
L'autore

Andri Snær Magnason, narratore, poeta e drammaturgo, nato nel 1973, da molto tempo è impegnato anche nella divulgazione scientifica e nell’attivismo ambientale. Per commemorare pubblicamente il primo ghiacciaio islandese scomparso, nel 2019 ha lasciato al suo posto questa lapide, una «Lettera al futuro»: «L’Okjökull è stato il primo ghiacciaio islandese a perdere il titolo di ghiacciaio. Nei prossimi duecento anni tutti i nostri ghiacciai potrebbero seguire la stessa sorte. Questo monumento è la testimonianza che sappiamo cosa sta avvenendo e cosa bisogna fare. Solo voi sapete se lo abbiamo fatto.» Iperborea ha pubblicato Il tempo e l’acqua, che ha ricevuto il Premio Terzani 2021, e La storia del pianeta blu, vincitore del Premio Letterario Islandese (assegnato per la prima volta a un libro per bambini), il Premio Janusz Korczak 2000 e il West Nordic Council’s Children and Youth Literature Prize 2002.


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