Gershom Scholem
CABBALISTI CRISTIANI
(titoli originali: Zur Geschichte der Anfänge der christlichen Kabbala; Die Erforschung der Kabbala von Reuchlin bis zur Gegenwart; Die Stellung der Kabbala in der europäischen Geistesgeschichte – 1954, 1981, 1970)
a cura, e con un saggio, di Saverio Campanini.
Adelphi
Piccola Biblioteca, 808
2024, pp. 177, euro 15
ISBN 9788845939174
Che la Qabbalah sprigioni un fascino difficilmente spiegabile è fuori di dubbio: chiunque entri in contatto con essa si sente interpellato, come se quelle oscure dottrine non aspettassero altri per sciogliere gli antichi nodi dell’irradiazione divina. Un fascino cui non hanno potuto sottrarsi molti lettori cristiani – da Giovanni Pico della Mirandola ai platonici rinascimentali, da Knorr von Rosenroth a Isaac Newton, dagli alchimisti ai «fratelli muratori» –, che con i dogmi segreti della mistica ebraica hanno avvertito una profonda affinità. Massimo studioso della Qabbalah, Gershom Scholem non ha mancato di dire la sua su questa robusta corrente del pensiero europeo. Persuaso com’era che la Qabbalah fosse la quintessenza dell’ebraismo, Scholem ha tentato di denunciare la sua versione cristiana come illegittima, frutto di un malinteso o di una frode, giungendo tuttavia a riconoscere, alla fine della vita, che la passione per quegli insegnamenti esoterici era stata accesa in lui proprio dalla lettura di un cabbalista cristiano. E così, nei tre illuminanti saggi qui raccolti, non solo troveremo una storia di quel pensiero sotterraneo, ma potremo anche scorgere in filigrana una riluttante autobiografia.
L'incipit
Le origini della «Qabbalah cristiana », vale a dire dell’interpretazione di tesi cabbalistiche nel senso del cristianesimo (cattolico) o anche l’interpretazione di dogmi cristiani tramite metodi e processi mentali di tipo cabbalistico, vengono fatte risalire, in genere, al conte Giovanni Pico della Mirandola. Quando Pico, nel 1486 – all’epoca un giovane di 23 anni –, presentò le sue 900 «conclusioni», ossia tesi per un sincretismo di tutte le religioni e di tutte le scienze, vi incluse anche la Qabbalah e ne fece l’oggetto di molte delle proposizioni che intendeva discutere a Roma. La straordinaria sicurezza con la quale le tesi vennero esposte, il fatto che contenessero paradossi e proposizioni spesso quasi indecifrabili, sembrò corrispondere molto bene alla stupefacente affermazione che qui per la prima volta venne sottoposta al vaglio di umanisti e teologi, ossia che l’ebraismo esoterico non era in fondo altro che il cristianesimo stesso. Quella tesi non rappresenta certo una prova che vi fosse una vera affinità tra le due sfere, benché sia stata considerata tale abbastanza spesso e non solo da chi vi vedeva qualcosa di positivo, bensì anche dai critici ebrei della Qabbalah. Questi avversari accoglievano con favore l’asserzione dei «cabbalisti cristiani» per le ragioni opposte: pareva confermare l’intento di smascherare l’elemento «non ebraico» che ritenevano si nascondesse nella Qabbalah. Negli scritti di studiosi ebrei si trovano ancora oggi giudizi del genere. In realtà la tesi di Pico e dei suoi eredi spirituali non era che una variazione, applicata alla Qabbalah, della concezione riferita, sin dal XIII secolo, al mondo della aggadah talmudica e del midrash da Ramón Martí nel suo voluminoso compendio intitolato Pugio fidei a beneficio della propaganda cattolica. Ramón Martí, che visse nel paese (la Catalogna) e nell’epoca della prima cristallizzazione della letteratura cabbalistica compiutasi intorno alla figura di Nachmanide (1194-ca 1270), non sapeva nulla – benché nell’interesse della sua attività missionaria si fosse effettuata una confisca generalizzata dei « libri » delle comunità ebraiche catalane – dell’esistenza della Qabbalah, che stava emergendo sotto i suoi occhi riuscendo a passare inosservata. Così, a sostegno dei suoi interessi cristologici furono messi a profitto, bene o male, gli antichi talmudisti, letti secondo una prospettiva inattesa, in virtù della quale potevano apparire come i principali testimoni a favore del cristianesimo e assumere una funzione storica per la quale erano altrettanto inadatti dei cabbalisti, che ne presero il posto più tardi. In effetti, all’entusiasmo di Pico e della Qabbalah cristiana per l’esoterismo ebraico spesso si contrapponeva una diffidenza non meno profonda da parte di altri ambienti, persino tra ebraisti cristiani abbastanza preparati. Questa situazione è documentata molto bene dalla testimonianza di Johann Albrecht Widmannstadt (1506- 1557), alla cui passione collezionistica si deve il fondo dell’importante raccolta di manoscritti cabbalistici di Monaco. Questo orientalista cattolico ebbe occasione di ascoltare a Torino, nel 1527, alcune conferenze tenute da uno dei maestri ebrei di Pico, un certo Dattilo, allora in età avanzatissima, che Pico aveva menzionato nella sua Apologia già nel 1487 e del quale finora non si è riusciti a determinare in modo soddisfacente l’identità e il nome completo da ebreo. Tra gli ebrei italiani Dattilo corrisponde in genere all’ebraico Yoav – un nome molto comune in Italia –, ma non ci è noto nessun cabbalista chiamato così tra quanti vissero all’epoca, mentre la congettura di Joseph Perles, secondo la quale si tratterebbe del nome di copertura dello straordinario dotto ebreo Yochanan Alemanno (ca 1435-dopo il 1504), è del tutto improbabile.1 In ogni caso, le impressioni che le parole di questo cabbalista, sicuramente ebreo, hanno lasciato sugli uditori appaiono molto divergenti. Mentre Pico ritenne di poter citare il suo amico Antonio Cronico come testimone di un dialogo nel quale Dattilo, che « conosceva molto bene la Qabbalah, si era spinto mani e piedi fino alla dottrina cristiana della Trinità », Widmannstadt dovette avere un’impressione opposta, o almeno assai discordante, delle dottrine esposte da Dattilo sul dogma. (…)
Gershom Scholem (Berlino, 5 dicembre 1897 – Gerusalemme, 21 febbraio 1982) è stato un filosofo, teologo e semitista israeliano, proveniente da una famiglia ebraica di origine tedesca. Il precoce interesse del giovane Gershom per la tradizione fu fortemente avversato dal padre Arthur. Grazie all'intermediazione della madre il ragazzo poté imparare l'ebraico e studiare il Talmud con un rabbino ortodosso. Tuttavia, per uno strano contrasto, Scholem era anche attratto dal sionismo laico e socialisteggiante, ed entrò a far parte del gruppo Jung Juda. Fu molto influenzato dal poeta Walt Whitman, che egli avvicinava al misticismo ebraico.
Studiò matematica, filosofia ed ebraico all'Università di Berlino; nell'ambiente universitario conobbe Martin Buber e Walter Benjamin; in quegli anni strinse amicizia con Shemuel Yosef Agnon, Hayim Nahum Bialik, Ahad ha-Am e Zalman Shazar (che all'epoca si chiamava ancora Zalman Rubaschoff), futuro presidente dello Stato di Israele.
Nel 1918 si trovava a Berna con Benjamin e fu ammesso alla locale Università; nella città svizzera incontrò Elsa Burckhardt, che sarebbe divenuta la sua prima moglie. Nel 1919 tornò in Germania e si laureò in lingue semitiche all'Università Ludwig Maximilian di Monaco.
Nel 1923 emigrò in Palestina, dove divenne capo del Dipartimento di Ebraico della Biblioteca Nazionale Ebraica; nel 1933 ebbe la prima cattedra di misticismo ebraico all'Università Ebraica di Gerusalemme.
Nel 1936 sposò Fania Freud. Dopo la nascita dello Stato di Israele fu presidente dell'Accademia nazionale delle Scienze; nel 1965 ebbe il titolo di professor emeritus all'Università Ebraica.
Morì il 20 febbraio del 1982.
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