venerdì 31 gennaio 2025

Giovanni Carrada - PERCHE' NON PARLI ? - Johan & Levi

Giovanni Carrada
PERCHE' NON PARLI ?
Come raccontare il patrimonio culturale

prefazione di James M. Bradburne
Johan & Levi
collana Non solo Saggi nr. 13
gennaio 2025
pp. 206, euro 21,00
ISBN 9788860103734


Il patrimonio storico e artistico italiano ha un problema tanto ingombrante e ovvio che finiamo per non notarlo neppure: non parla a chi lo visita. Salvo fortunate eccezioni, i nostri musei non aiutano a far capire e a far godere le loro collezioni, i parchi archeologici le loro rovine, i monumenti il nostro passato. Per i sette italiani su dieci che non ci mettono mai piede, l’arte e il passato sono solo noia. Mentre gli altri, che affollano soprattutto i luoghi più famosi, tornano spesso a casa con una meraviglia generica ed effimera, senza che nulla di nuovo sia nato dentro di loro. 
Il motivo per cui il nostro patrimonio culturale non ci parla, come il Mosè di Michelangelo nella leggenda, è semplice: quasi mai può farlo da solo. E fino a ieri non ci siamo preoccupati di dargli voce. Così oggi siamo fra i più bravi nello studio, nella tutela e nel restauro, ma non abbiamo ancora imparato a “interpretare”, e quindi a regalare al pubblico nuove conoscenze, curiosità, emozioni. Ad accendere la sua immaginazione. A far venire voglia di vedere e sapere di più. 
Giovanni Carrada propone di partire da questo libro per cominciare a costruire una nuova competenza, essenziale a chi opera nel mondo dei beni culturali, se non addirittura una nuova professione. Perché la valorizzazione – quella vera – non si misura in euro o in biglietti staccati, ma nel numero di persone arricchite dall’esperienza che hanno vissuto.

Giovanni Carrada é curatore di progetti di divulgazione scientifica e autore di programmi televisivi, come quelli di Piero e Alberto Angela. Da anni progetta e realizza anche mostre, esposizioni museali e interventi di valorizzazione del patrimonio storico, artistico, archeologico e industriale italiano.

James M. Bradburne, architetto e museologo, è stato direttore della Pinacoteca di Brera a Milano e di Palazzo Strozzi a Firenze.


Paolo Battistel - L’ARCOLAIO DELLE FIABE - Oligo

 
Paolo Battistel
L’ARCOLAIO DELLE FIABE
Il femminile e la trasfigurazione nei racconti popolari

Oligo
collana I Saggi
2023
pp. 288, euro 18
ISBN 979-12-81000-37-7
 
Perché la fiaba suscita su di noi un fascino così irresistibile?
Da dove si genera quest’incantesimo in cui cadiamo al suono delle parole «C’era una volta»?


Prendendo le mosse dallo studio del mito e del folklore europeo, Paolo Battistel si avventura nei recessi più profondi delle fiabe, antiche storie generate all’alba dell’umanità e solo in apparenza tanto semplici da sembrare “storie per bambini”, ma che in realtà portano in grembo simboli tra i più arcaici. Perché la fiaba è un racconto sacro, fondativo del carattere e della memoria di un popolo, in cui i protagonisti (e con essi le comunità) compiono un viaggio denso di pericoli, affrontano mostri, animali parlanti e prove iniziatiche, perdendo l’innocenza naturale e divenendo “adulti” consapevoli. In questo saggio l’autore si concentra sull’elemento femminile nelle fiabe, perché spesso sono le donne a essere protagoniste, in principio come raccoglitrici e narratrici di queste storie e poi come personaggi all’interno delle stesse, sia nelle vesti di oscure streghe come Baba-Jaga, che in vergini innocenti come Rosaspina, la bella addormentata nel bosco caduta nell’incantesimo del fuso.

Paolo Battistel(Torino, 1978), docente universitario ed esperto di fiabe e mitologia precristiana, ha a lungo collaborato con giornali e tv nazionali, partecipando anche alle trasmissioni Mediaset Mistero e Mistero Experience. Attualmente è speaker a Radio Giano (Università di Roma Tre). Ha pubblicato numerosi libri con marchi del gruppo Lindau e, in ultimo, La vera origine delle fiabe (Uno Editori, 2018).


Giovedì 6 febbraio 2025, alle ore 18.30, Paolo Battistel presenterà il suo saggio "L'arcolaio delle fiabe" presso la sede della Fondazione "Giuseppe Siotto" di Cagliari, in via dei Genovesi 114. Dialogherà con l'autore Alice Deledda.  

#recensione | Sara Benedetti | SULLA CATTIVA STRADA | Nottetempo

Sara Benedetti
SULLA CATTIVA STRADA
Nottetempo
ottobre 2021, pag. 320, Euro 17

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In copertina, un tavolino con una pistola in primo piano; sullo sfondo, una porta finestra che si affaccia sul mare. Il titolo non può non rimandare ai versi di De Andrè. Genova, quindi. La luce all'orizzonte, il buio dei carruggi. Tedesco, Pagano, Lord Jim, Morango, Ethan e Jamila. Ragazzi dei vicoli abitano il labirinto di vite difficili, quelle ai margini di una città di mare, dove le madri spesso crescono figli del cui padre s'è perduta memoria, il quotidiano traffico di roba ai confini della legalità aiutano a tirare fio al giorno dopo. Un labirinto dove ci si perde, ma anche un labirinto che protegge. Trent'anni di vita di Tedesco, chiamato così per via dei suoi capelli color oro e dei suoi occhi azzurri. Trent'anni, tra amori tossici, il Pagano, pugile, che entra ed esce dal carcere, e gli altri, sempre tra fallimenti e qualche vittoria, ma sempre dal lato sbagliato della vita. E sempre, in sottofondo, Genova, Genova ferita dal sangue del G8 nel 2001, dalla tragica alluvione del 2014, dai 43 morti nel crollo del Ponte Morandi. Genova, dalla prigione del “Marasci” a quella solo un po' più ampia dei vicoli. Sara Benedetti rielabora alcune sue esperienze per un documentario che ha sceneggiato nel carcere di Torino, reinventando storie di vite tenere e bastarde, ma dannatamente vere e reali, descritte con rara intensità.

Sergio Albertini

giovedì 30 gennaio 2025

Fabio Orecchini - NEMAT - Industria & Letteratura

 
Fabio Orecchini
NEMAT – poesie
Industria & Letteratura
Collana Loud
aprile 2024
pp. 134, euro 15
ISBN 979-1280987310


Ritorna in libreria Fabio Orecchini con un poema frastagliato. La natura minerale prende coscienza di sé attraverso il linguaggio. La memoria geologica si fonde con quella privata, il terremoto è un echeggiare rimontato di voci registrate, i versi sulla pagina ricordano certe esperienze al limite di Mesa, Villa, per mettere a nudo quanto di più umano ci sopravviva oltre ai dati biologici: la percezione del dolore.


“Ma dove sono gli occhi. Dove sono?”
le foto sature e sovraesposte càdere
e cadono
sparse sul comodino
 
quel giorno siamo rimasti vili
non siamo andati a vederlo morire


Fabio Orecchini (Roma, 1981) è poeta, artista e permacultore.
Come un ‘earthbound’ raccoglie storie dalle viscere dei boschi e dei vecchi orti in cui lavora, rigenerandole in eco-grafie ibride in cui convivono scrittura poetica, performance, installazione e ricerca verbo-sonora. La sua opera più recente (tuttora in fieri) è Nemat Alcesti, rito scenico ispirato al capolavoro di Euripide, teso alla ricerca di possibili immaginari e forme di scrittura interspecie. N E M A T, pubblicato ad aprile 2024  per Industria&Letteratura (collana LOUD diretta da J.Zhara), da testimonianza di questo lavoro di ricerca e scavo, raccogliendo in volume testi, opere visive e tracce fotografiche. Con il precedente lavoro, il TerraeMotus, si è aggiudicato il Premio Elio Pagliarani 2018 per la ricerca e l’innovazione. Ha realizzato installazioni site-specific e performance in edifici monumentali e pubblici, in ambiente urbano, presso musei d’arte contemporanea, teatri e gallerie.
In poesia ha pubblicato inoltre: Dismissione (prima edizione Polimata, collana ex[tratione curata da Ivan Schiavone e Sara Davidovics, 2010, seconda edizione con CD Pane, Luca Sossella, post-fazione di Gabriele Frasca, 2014), Per Os (Sigismundus, con un testo di Tommaso Ottonieri, 2017), Figura (Oèdipus,2019), Malbianco (Edizioni Volatili, 2021). Suoi testi sono tradotti in inglese su Inverse (John Cabot University Press, traduzione di Allison Grimaldi Donahue, 2021),  in arabo, romeno e inglese su Babel (Bertoni, 2022) e in spagnolo su Pro-testo (a cura di Luca Paci e Luca Ariano, Fara Editore, 2010). E’ presente in diverse antologie, di cui le più recenti sono Poesie dell’Italia contemporanea (a cura di Tommaso Di Dio, il Saggiatore, 2023) e Mappa immaginaria della poesia contemporanea italiana (a cura di Laura Pugno e Matteo Meschiari, il Saggiatore, 2021), ed ha pubblicato su riviste come Alfabeta2, il verri, L’Ulisse.  Per le edizioni d'artista della Galleria Bordas di Venezia ha partecipato all'edizione in tiratura limitata di Cadavere squisito. Collabora con la casa editrice Argolibri, per la quale  dirige le collane Talee (con A.Franzoni) e Fuori catalogo; ha curato inoltre diverse pubblicazioni, tra cui After Lorca di Jack Spicer (con Andrea Franzoni, Gwynplaine, 2018, Premio Benno Geiger). il volume L’altra voce (Giometti & Antonello, 2019), epistolario della poetessa argentina Alejandra Pizarnik e, recentemente, La nott'e'l giorno. L'opera poetica di Patrizia Vicinelli (Argolibri, 2024)
Di recente è stato tra gli organizzatori del convegno Cercare forme. L’opera e l’eredità di Giuliano Mesa (Alma Mater Studiorum, Bologna, 2023) e della mostra Crepita la carta. Libri e vertigini di Emilio Villa (Biblioteca Mozzi-Borgetti, Macerata, 2021). Un suo testo è incluso nel catalogo fotografico della mostra né di sospiri è degna la terra. Carmelo Bene| Giacomo Leopardi (Argolibri, 2024).

Larry Mitchell & Ned Asta - I FROCI E I LORO AMICI TRA LE RIVOLUZIONI - WoM edizioni

 
Larry Mitchell & Ned Asta
I FROCI E I LORO AMICI TRA LE RIVOLUZIONI
(titolo originale The Faggots & Their Friends Between Revolutions, 1977)
prefazione di Maya De Leo
traduzione di Matteo Pinna
WoM edizioni
Collana Rosa
febbraio 2025
pp. 180, euro 19
ISBN 9791281016217
 

 
«Dove finisce il patriarcato,
inizia la rivoluzione»

A Virilium, impero in declino dominato da esseri umani di sesso unicamente maschile, si svolge una guerriglia sotterranea campeggiata dai froci e dai diversi loro amici (donne, regine, fate e tanti altri) che, per mezzo di una serie di sotterfugi, tentano in tutti i modi di rovesciare il predominio d’una società patriarcale segnata dall’odio per la loro esistenza nel nome d’un mondo di libertà e di uguaglianza. I froci e i loro amici tra le rivoluzioni, utopia queer a metà tra Favola e Manifesto, offre una critica pungente al capitalismo, all’assimilazione e al patriarcato, ancora oggi particolarmente rilevante.
Pubblicato nel 1977, diventato un libro di culto nella cultura queer radicale, contro ogni forma di patriarcato.
Uno stile libero e poetico, che combina narrazione, prosa e disegni evocativi.
Le illustrazioni di Ned Asta giocano un ruolo centrale, amplificando il messaggio sovversivo e celebrando la solidarietà e la gioia nelle comunità emarginate.
Un manifesto sulla resistenza e l’amore in un mondo dominato da oppressione e conformismo.

Larry Mitchell (1947-2017) autor*, poet* e attivist* american*, not* per il suo lavoro radicale e provocatorio nella letteratura queer. Col suo libro ha sfidato le convenzioni sociali e politiche, diventando un simbolo di resistenza per la comunità LGBTQ+.

Ned Asta è illustrator* e artista visiv*, not* per il suo lavoro nell’arte queer e radicale. Le sue illustrazioni, sono diventate delle icone nella cultura di lotta e celebrazione della diversità.

#recensione | Giorgia Giuntoli | SANTA CAROGNA | UltraNovel

Giorgia Giuntoli
SANTA CAROGNA
UltraNovel Editore
aprile 2021, pag. 176, Euro 15

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Giorgia Giuntoli è attrice, regista e Trainer di compagnia, e si occupa di formazione teatrale. Quasi cinquantenne. Eppure questa 'Santa Carogna' sembra opera di una teenager. A partire dalla playlist consigliata e posta in apertura di libro. E proseguendo per lo stile narrativo (da subito leggo: “Sì, me l’aveva data lui una bella busta di maria, eravamo sulla spiaggia ai Laghi Alimini. Ricordo che appena entrati al campeggio chiedemmo subito dove poter trovare della buona robina da fumare e il tipo ci indirizzò da Tonio, appunto, che poco dopo si presentò alla spiaggia libera di fronte al campeggio con un fagotto di carta da giornale grande quanto un melone, pieno di erba”). E prosegue con: “la soia mi fa cagare”, l'amica Zina è “bionda, alta, tette grosse e culo da urlo
Santa. Va verso la quarantina (ma il suo volto è quello di una ragazzina), veste con tanti argenti addosso (“Un portagioie ambulante praticamente.”), lavora come restauratrice e decoratrice, ha uno studio dietro Piazza del Popolo. C'è tanta musica, sempre, attorno. Quella delle playlist. Zina, che di lavoro fa la escort, la ama. Santa non riesce a ricambiare come ci si aspetterebbe (o si dovrebbe: “Che facesse la mignotta e che fosse una transessuale sono dettagli che sinceramente non mi hanno mai condizionato.“). C'è la Carogna (“È che ogni volta che la Carogna si sveglia tutto diventa faticoso, nulla è più ciò che è, ma tutto diventa riflesso di altro. In quei momenti una porta girevole della banca mi può mettere angoscia, può diventare ai miei occhi una tomba tanto da rinunciare a entrarci. Davvero. Se sono in auto e la bestia è ben sveglia, una galleria può diventare in pochi secondi l’Acheronte dal quale non farsi travolgere, tanto da scappare mollando la macchina con le quattro frecce in mezzo alla carreggiata… e così via, potrei elencare per ore i mille modi che la Stronza ormai ha per governarmi la vita”). E ovunque, amarezza mascherata da spensieratezza, una forma diffusa di solitudine. Di solitudini. Una serie di personaggi, di incontri, di occasioni che nutrono una inquietudine irrisolvibile. Fino ad un finale amaro (“Mi tolgo il giacchetto in corsa, corro sempre più veloce, lo sento gridare alle mie spalle «Santaaaa!!» ma non mi fermo, corro più forte che posso e non voglio pensare a niente in questi due secondi che mi dividono dal baratro.”)
171 pagine vorticose, in cui si finisce col voler bene a Santa, che insiste, persiste, che non vuol cedere, che non può non cedere.

Sergio Albertini

#recensione | Caterina Soffici | QUELLO CHE POSSIEDI | Feltrinelli

 

Caterina Soffici
QUELLO CHE POSSIEDI
Feltrinelli
aprile 2021, pag. 256, Euro 17

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Agiatezza, benessere, financo ricchezza a Villa del Grifo, dei conti Brunori Princi. Lei, la contessa Clotilde, figura eccentrica di ottantaduenne, sparisce con la sua Alfa Aurelia bianca. C'è un segreto, dietro questa fuga, che risale all'infanzia. Poi c'è l'amica del cuore, Virginia, che ogni anno, da tanti anni, le regala per il compleanno una boccettina di Chanel nr.5 “Virginia dalle unghie sempre laccate di rosso e i capelli candidi da quando aveva trent’anni. “È così chic non tingersi. Non tutti possono permetterselo. È l’Harry’s Bar invece di McDonald’s. Non è vero, cara?” ). Poi c'è il marito di Clotilde, Giannotto, che fa una vacanza con la figlia a Cap d'Antibes (“Scesero in uno splendido albergo con vetrate sul mare, soffitti altissimi, stucchi dorati, lampadari a gocce di cristallo e camerieri in livrea.”) Poi c'è Olivia, la figlia. La sensazione di non essere mai stata amata dalla madre (è stata cresciuta dalle domestiche), madre che Scesero in uno splendido albergo con vetrate sul mare, soffitti altissimi, stucchi dorati, lampadari a gocce di cristallo e camerieri in livrea. pure ha sempre venerata. Poi c'è Giacomo Lorusso, meridionale, marito di Olivia, l'uomo dell'assenza e dell'indifferenza (e di qualche strabica deviazione). Olivia, madre di due figli (Giada vive a Londra, Lupo a Milano), un matrimonio oramai finito, dopo una sensazione di libertà da adolescente (era stata mandata a studiare a 16 anni in Gran Bretagna), sente adesso solo l'oppressione che la soffoca. In fondo, è il crollo delle certezze, è la (solita) presenza di demoni, di dolori taciuti, di verità non dette (chi sarà quell'uomo sulla sedia a rotelle cui Clotilde tagliò una ciocca di capelli ?). Un eccesso di snobismo che personalmente rende poco empatici i personaggi (“Lei, la perfettissima contessa, aveva fatto del benessere il suo scudo. La villa era stata la sua fortezza e la sua gabbia.”). La narrazione procede con flashback che, come in un puzzle, pian piano disvelano l'antefatto (“Più si sentiva marcia dentro, più si rendeva impeccabile fuori. Più era ferita, più si mostrava impassibile. Impeccabile e impassibile. Si era creata quell’immagine e stava attenta a non scoprirsi. La copertura non può avere crepe, pensava. Basta uno spiraglio, perché il castello crolli. Sotto le sete, gli chiffon e i veli c’era un’armatura che nessuno poteva scalfire.”). Di ferite nascoste è piena la narrativa, ed anche la vita. La Soffici prova a narrarne, l'intrigo potrà piacere (forse soprattutto a lettrici donne). Trovo tuttavia la scrittura secca, algida, dal respiro corto, a volte affannato, con figure per certi versi stereotipate. Come il finale (“Olivia gira la chiave d’accensione e l’Aurelia parte al primo colpo. Ingrana la marcia ed esce piano, imbocca il viale e nello specchietto vede la torre del Grifo. Lì è iniziato tutto. Sua madre è stata prigioniera della villa, della sua troppa bellezza e di tutti quegli antenati, delle sue paure. A Olivia non importa più. Lei, la piccola e insignificante Olivia, la bambina che si nascondeva nei cavi degli alberi, guida e pensa. Sai che c’è? Io faccio quello che voglio. Mollo tutto. Giacomo, Villa del Grifo. Firenze. Guida tutto il giorno e quando il sole si abbassa all’orizzonte e il cielo vira al rosa e all’arancio, Civitavecchia è già alle sue spalle.”)

Sergio Albertini

Michele Oliva - IL FUTURO DEL CAFFE' - Infinito

 
Michele Oliva
IL FUTURO DEL CAFFE'
Insidie del cambiamento climatico e prospettive sostenibili

Infinito Edizioni
collana iSaggi
gennaio 2025
pp.86, euro 13
ISBN 9788868618100

 
Sebbene il caffè rappresenti un bene primario a cui milioni di persone non potrebbero rinunciare, la sua produzione si sta confrontando con problematiche molto serie, tra cui il cambiamento climatico. Le conseguenze di queste insidie si ripercuotono sulla qualità, spesso scadente, e sul prezzo, sempre più alto, di questa bevanda apprezzata in tutto il mondo.
Basandosi su recenti scoperte scientifiche sul tema, il saggio spiega come l’industria del caffè stia cercando di adattarsi alle nuove condizioni ambientali e si stia adoperando per ridurre l’impatto climatico che essa stessa genera e per migliorare la gestione degli scarti della filiera. Anche noi consumatori, però, abbiamo un ruolo fondamentale nell’indirizzare la produzione dell’amato chicco verso prospettive più sostenibili. Perché mai come oggi è reale il pericolo di non riuscire più, in un prossimo futuro, a goderci ancora il nostro espresso.

Michele Oliva nasce a Venezia nel 1983. Dopo aver conseguito la laurea in Biologia molecolare all’Università di Padova, si trasferisce in Germania, dove riceve il dottorato di ricerca presso l’Università di Heidelberg. Ha pubblicato numerosi articoli scientifici nel campo della Biologia vegetale e delle banche dati biologiche, frutto di collaborazioni con diverse realtà accademiche internazionali. Si interessa di temi relativi alla tutela dell’ambiente e alla conservazione delle specie. Lavora e risiede con la sua famiglia nella regione tedesca dell’Assia.

L’autore presenta il libro sabato 8 febbraio a MAINZ (GERMANIA), presso la sede dell'Accademia Italiana, Gaustraße 16, ore 16,00. Modera l'incontro Rocco Morrone.

Stefano Disegni - AL POSTO LORO - Becco Giallo

 
Stefano Disegni
AL POSTO LORO
Nelle loro pelli, penne, pinne

prefazione di Luciano Ligabue
Becco Giallo
2025
pp. 200, € 21
ISBN: 9788833143439


Pensati toro. Pensati pollo. Pensati balena. Pensati cervo in fuga. Pensati agnello a Pasqua. 
Se non ti riesce, questo libro può aiutarti a farlo. 
Cosa accadrebbe in un mondo alla rovescia in cui non fossimo noi a comandare sulla loro sorte, ma loro sulla nostra? Sì, parliamo di animali e di come sarebbe se fossimo noi al posto loro. 
Otto episodi in cui i ruoli sono invertiti e al posto loro, degli animali, ci siamo noi. Otto storie che raccontano in modo surreale e comico, ma comunque dettagliato (nulla dei trattamenti descritti è stato inventato), l’indifferenza e la durezza che la nostra specie riserva alle altre. 
«In questa occasione Stefano ha deciso di ribaltare una prospettiva — del tutto e impietosamente — mettendo noi (nel senso di umani) “al posto loro” (nel senso di animali). E così troviamo pecore che adottano bambini, umani che vivono sul fondo del mare con pesci turisti che sperano in qualche loro avvistamento, cani che addestrano umani da combattimento, dodi (sempre che esista il plurale di dodo) che sbarcano su un’isola dove gli umani stanno per estinguersi. Allora io qui ci leggo, oltre allo specchio della nostra crudeltà verso i coinquilini di questo pianeta blu, un tema legato all’identità, questione che più centrale non si può in tempi così social.» Dalla prefazione di LUCIANO LIGABUE 

Stefano Di Segni, noto come Stefano Disegni (Roma, 24 luglio 1953), è un disegnatore e musicista italiano. Disegnatore satirico, scrittore, compositore, cantante e armonicista blues, è anche autore di programmi televisivi di successo (Lupo Solitario, Convenscion, Tintoria, Crozza Italia, Cavalli di Battaglia di Gigi Proietti, Indietro Tutta 10 e l'Ode con Renzo Arbore). Ha pubblicato numerosi libri scritti e disegnati per Mondadori, Feltrinelli, Einaudi, Rizzoli, Gallucci e altri.
Collaboratore di molte testate giornalistiche, da Il Fatto Quotidiano al Corriere della Sera e al suo inserto "7" a Cuore (di cui fu direttore nel 1998) a Ciak, principale magazine di cinema italiano dove da anni pubblica recensioni cinematografiche satiriche di grande successo che gli hanno valso il soprannome di "Ammazzafilm", al Guerin Sportivo a Linus. Per "Il Fatto Quotidiano", su cui pubblica una strip molto seguita ogni domenica, oltre a scrivere editoriali di politica e costume di grande impatto comico, ha diretto per tre anni l'inserto satirico domenicale Il Misfatto.
Per il programma Convenscion (Rai2, 1999-2002) ha creato, scritto e interpretato le miniserie di personaggi di successo quali "Tottigò" (parodia del giocatore della Roma, determinandone il successo mediatico), "I Pooh Zombies" (la nota band uscita dalla tomba per aiutare adolescenti oppressi), "Zovvo" (un esilarante Zorro gay interpretato da Tullio Solenghi). Una sua famosa, tuttora, creazione è lo Scrondo, irriverente personaggio punk e scorretto lanciato nel programma L'Araba Fenice (Italia 1, 1988) il cui nome è entrato nell'uso comune per definire qualcuno non avvenente ma simpatico.
Ha fondato, suonato e cantato con varie band (Gruppo Volante, Ultracorpi, Ruggine e Disordine), famoso e scaricatissimo il suo hit "La vita in campagna".
Ha vinto quattro volte il Premio Satira Politica di Forte dei Marmi: due per la Satira disegnata, uno come autore del programma Tintoria (Rai3) e uno come autore e interprete del Dott. Asl, parodia della serie Dott. House da lui ideata e scritta nel programma Tintoria. È vincitore inoltre del Premio Macchia Nera Awards per la Satira Online e del Ciak D'Oro per la Satira Cinematografica.

Domenica 2 febbraio primo appuntamento della rassegna di incontri “DOVE NESSUNO GUARDA” ideata da CISIM per riflettere sul contemporaneo. Sul palco del CISIM interverranno Marco Philopat e Tobia D'Onofrio


Domenica 2 Febbraio
CISIM | Viale Parini 48, Lido Adriano RA - ore 18.30
DOVE NESSUNO GUARDA
Incontro sulla Techno e il Punk con Marco Philopat e Tobia D’Onofrio


INGRESSO GRATUITO   

Domenica 2 Febbraio al CISIM, Marco Philopat e Tobia D'Onofrio offrono una riflessione personale su due sottoculture e due generi differenti: Punk e Techno. Due mondi apparentemente distanti, l’uno raccontato attraverso la diffusione della musica e dello stile di vita punk in Italia, l’altro attraverso i rave party  in giro per il mondo. Due culture underground, capaci di unire persone di diverso credo ed estrazione sociale. 
 
Marco Philopat
 editore, agitatore culturale e scrittore, è uno dei personaggi di riferimento dell’underground italiano. Ha aderito nel 1977 al movimento punk italiano, diventandone uno dei più profondi conoscitori e animatori. Nel 1979, con il suo gruppo HCN partecipò alla prima ondata punk rock italiana e nel 1982 fu uno dei fondatori del Virus di Milano. Ha fondato due case editrici: ShaKe Edizioni e Agenzia X, e pubblicato tra gli altri: Costretti a sanguinare, La banda Bellini, Lumi di punk, Roma k.o., Rumble bee e I pirati dei Navigli.
 
Tobia D’Onofrio ha vissuto dall’interno il movimento rave in Italia, poi nel 1998 si è trasferito a Londra. Appassionato di musica, lavora come giornalista musicale freelance e collabora con “la Repubblica XL”. 
Nel 2015 ha realizzato la sua prima pubblicazione Rave new world che va ad accogliere le testimonianze e gli spunti più interessanti degli studiosi e dei protagonisti a livello internazionale offrendo così punti critici e possibili prospettive dall’uso di stupefacenti e la riduzione del danno ancora considerati illegali in Italia.
 
Agenzia X
 è un laboratorio editoriale che pubblica libri al confine tra narrativa e saggistica, mettendo in risalto la voce dei rappresentanti di controculture e movimenti sociali. Racconti orali, memorie, autobiografie e testimonianze si incrociano a riflessioni, analisi e approfondimenti di carattere storico. I titoli pubblicati sono frutto di una ricerca e di una sperimentazione letteraria, ogni libro viene concepito insieme all’autore, seguito con cura artigianale durante la sua realizzazione e poi promosso con presentazioni ed eventi performativi in tutta Italia negli ambienti più trasversali (spazi pubblici, biblioteche, librerie di qualità, festival musicali, fiere letterarie, rassegne di cinema e teatro).

Carlos García Gual - BREVE APOLOGIA DEL ROMANZO STORICO - Graphe.it

 
Carlos García Gual
BREVE APOLOGIA DEL ROMANZO STORICO
(titolo originale Apología de la novela histórica y otros ensayos, Barcelona, Península, 2002)
traduzione di Roberto Russo
prefazione di Patrizia Debicke van der Noot
Graphe.it
collana Parva n.42
gennaio 2025
pp.44, euro 7,50
ISBN 9788893722377
 
Quello del romanzo storico è un genere amato da molti, e che incuriosisce altri, spesso in cerca di consigli per un buon titolo. Come non è facile scriverne, infatti, altrettanto difficile può essere trovarne uno davvero buono: coinvolgente, accurato, che ci faccia viaggiare nel tempo con il giusto equilibrio fra verità e finzione.
Curiosamente, la critica si è dimostrata talvolta impietosa verso questo filone letterario, tanto da fargli meritare una apologia: in questo volume l’autore, con la “scusa” di dimostrare i punti di forza e d’interesse del romanzo storico, ce ne offre un’ampia prospettiva ripercorrendone le caratteristiche, i fondamenti strutturali e la strada percorsa sin dai suoi albori (in età classica). In questa appassionata (ma leggera) arringa in difesa si riflette sulla differenza fra il romanziere e il cronista, fra il realismo e la ricostruzione: una distanza più o meno sottile che ha il potere di avvicinarci in modi diversi alla Storia.
Chiude il testo, in questa edizione italiana, una bibliografia orientativa per chi volesse costruire o arricchire una biblioteca personale riservata all’argomento.

Carlos García Gual (Palma di Maiorca, 1943) è professore emerito di Filologia greca dell'Università Complutense di Madrid e specialista di antichità classica, mitologia, filosofia e letteratura. Insignito due volte del Premio nazionale di traduzione, ha pubblicato numerosi libri e collabora con diversi media. È membro della Real Academia Española.



mercoledì 29 gennaio 2025

Viola Corbari - PIETRO PORCINAI E L'ITALIA DELLA CORSA AL MARE - Quodlibet

 
Viola Corbari
PIETRO PORCINAI E L'ITALIA DELLA CORSA AL MARE
Progetti di paesaggio per nuovi turismi

prefazione di Gianni Celestini
Quodlibet
2024
pp. 160, € 18,00
ISBN 9788822922991

Il Secondo dopoguerra segna la massima diffusione degli insediamenti turistici sulle coste italiane, sospinta dal boom economico e dalla trasformazione della vacanza in rito collettivo. Questo fenomeno rivoluziona la concezione stessa della villeggiatura al mare, dando vita a luoghi immaginati come mondi autosufficienti, dove il turista può sperimentare una realtà alternativa al quotidiano urbano. Il libro propone uno sguardo su questa prolifica stagione di cambiamento attraverso l’esperienza di Pietro Porcinai, figura chiave del progetto di paesaggio in Italia, coinvolto nella realizzazione di complessi turistici in numerose località costiere della penisola. L’indagine si addentra in un terreno fertile, segnato da questioni intrinseche al fenomeno turistico, come il confronto con contesti ambientali di grande pregio, o la creazione di scenari capaci di coinvolgere emotivamente il villeggiante. Tali aspetti offrono l’occasione per interrogare il progetto di paesaggio attraverso categorie fondamentali – come ecologia ed estetica – che si rivelano sempre attuali nel loro complesso rapporto di apparente antitesi. Questo lavoro si propone quindi di guardare al turismo, attraverso l’esperienza di Pietro Porcinai, come possibile “cartina tornasole” sull’evoluzione del pensiero e del progetto sul paesaggio nella modernità in Italia.

Viola Corbari, architetto, phd in Paesaggio e Ambiente presso Sapienza Università di Roma, ha svolto attività di ricerca in Italia (Fondazione Benetton Studi Ricerche, Treviso; Sapienza Università di Roma) e all’estero (ENSAP Belleville, Parigi). È attualmente Funzionario Architetto per il Ministero della Cultura e insegna Arte dei Giardini presso l’Università di Camerino. I suoi interessi riguardano l’evoluzione della cultura e del progetto di architettura del paesaggio nelle sue influenze e derivazioni interdisciplinari.


Björn Larsson - FILOSOFIA MINIMA DEL PENDOLARE - Iperborea

 
Björn Larsson
FILOSOFIA MINIMA DEL PENDOLARE
traduzione di Andrea Berardini
Iperborea
Collana Gli Iperborei n.392
gennaio 2025
pp. 224, € 18,00
ISBN 9788870916928


Di tanto in tanto, esistono momenti in cui si può tirare il fiato, in cui la vita rimane come sospesa per aria, una parentesi in cui non si vuole né questo né quello e non si è costretti a correre: secondo Björn Larsson il viaggio del pendolare è uno di questi momenti.

Björn Larsson ha alle spalle un’esistenza nomade e vagabonda a bordo di una barca, ma anche quarant’anni di sfiancante pendolarismo. Pendolare incallito tra Danimarca, Svezia e Italia per lavoro e per amore, durante i suoi numerosi viaggi – in traghetto, treno, bus e qualche aereo – e migliaia di chilometri, ha osservato le abitudini e le nevrosi dei pendolari, incluso se stesso. Il risultato è un libro divertente in cui episodi di vita vissuta sono occasioni di riflessione, e l’elegante lingua della letteratura si mescola al buffo chiacchiericcio quotidiano dei viaggiatori. Si passa da spunti su come scegliere i migliori posti sui mezzi di trasporto agli snervanti imprevisti che spesso tocca affrontare, passando per l’arte di trovare il tragitto più breve a considerazioni profonde sulla decadenza del linguaggio e le trasformazioni della società, con un occhio attento ai cambiamenti nel modo in cui viaggiamo. Tra citazioni dai miti letterari come Martinson e De Beauvoir, Orwell e Beckett, non mancano critiche al capitalismo e riflessioni sull’isolamento durante la pandemia, che ha toccato profondamente chi, come lui, trova nel viaggio una ragione di vita. E c’è spazio anche per l’avventura, naturalmente: quando i venti del Nord soffiano sull’Øresund e i traghetti sono in balia delle onde, è facile ricordare altre burrasche. Con leggerezza e un’ironia che si fa aperta comicità, Larsson trasporta i suoi temi classici, come il viaggio, lo sradicamento e il bisogno di libertà, dal mondo romanzesco dei mari a quello quotidiano e urbano del trasporto pubblico, in un racconto che susciterà immediata simpatia in chiunque abbia vissuto, anche solo per poco, la frustrante esperienza del pendolarismo. 

L'incipit
Lund. Il testimone è sulla banchina numero tre e guarda il binario sei. Accanto alle rotaie lustre dall’usura c’è una bambola con la testa mozzata. Farsi investire da un treno è tutto sommato un modo relativamente comune di suicidarsi. Tra il 2001 e il 2015 duecentotrentadue danesi hanno scelto di porre fine alla propria vita sui binari. A Copenaghen, come pure sul versante svedese, esistono appositi gruppi di sostegno per assistere i macchinisti che hanno avuto la sfortuna di travolgere qualche poveraccio stanco della vita. È un’idea sensata. Chi ha bisogno di aiuto è chi deve andare avanti a vivere. «Il suicidio», ha scritto giustamente la sempre originale Bodil Malmsten, «è un crimine in cui il colpevole taglia la corda lasciando chi resta a scontare la pena.» Per chi è morto, dopotutto, il peggio è passato. O almeno si spera. Pensa un po’ se ci fosse davvero un’altra vita dopo questa e un Dio che punisce il peccatore – dato che ammazzarsi, se il testimone non si sbaglia, è peccato mortae – spedendolo all’inferno. Dalla padella alla brace: più di così! Ma la bambola? Quale gruppo di sostegno si occuperà di lei? E la bambina a cui apparteneva? Chi fosse incline alla superstizione più del testimone potrebbe forse vedere nella bambola un presagio, o meglio, un cattivo presagio. Non è il suo caso, anche se fa fatica a togliersela dalla testa sul treno che lo porterà, per l’ennesima di innumerevoli volte, a Helsingborg. Un giorno ormai lontano, si era divertito a calcolare quanto tempo avesse trascorso un suo amico francese facendo la spola avanti e indietro tra l’abitazione a Rambouillet e il lavoro a Parigi. Risultato: tre anni, ora più ora meno. Tre interi anni della sua unica vita passati, per lo più dormicchiando, su treni e metropolitane! Verrebbe voglia di impiccarsi per molto meno. O di gettarsi sotto un treno. Così Beckett, in Aspettando Godot, sintetizza la condizione umana: «Partoriscono a cavallo di una tomba, la luce splende un istante, ed è subito notte.» E Vargas Llosa, da qualche parte, scrive che la vita è un tornado di merda e l’arte è l’unico ombrello che abbiamo. Siamo davvero messi così male? Ci sarebbe ben poco da stare allegri, se questi signori avessero ragione. Si sono però dimenticati di mettere in conto che ogni tanto ci sono anche momenti in cui si può tirare il fiato, in cui la vita resta come sospesa nell’aria, in cui non si vuole essere né una cosa né l’altra, non si è costretti a correre a sgravarsi sopra una fossa né a cercar riparo sotto un ombrello perché dal cielo piovono escrementi. Il viaggio del pendolare è uno di quei momenti. Per più di quarant’anni, l’autoproclamato testimone del pendolarismo ha viaggiato avanti e indietro, andata e ritorno, in parte tra Danimarca e Svezia, sui più diversi mezzi di pubblico trasporto – traghetti lenti o veloci, piccoli o grandi, autobus, treni, sia diesel che elettrici – in parte tra le varie stazioni e fermate di autolinee nel Sudovest della Scania. I suoi viaggi tra Selandia e Scania sono finiti quando è tornato a vivere in Svezia nel 2010, convinto che ormai si sarebbe limitato a fare avanti e indietro tra Råå – poco più a sud di Helsingborg – e Lund: un autobus e un treno. Ma aveva chiuso i conti con se stesso un po’ troppo presto, senza calcolare che si sarebbe innamorato di un’italiana che vive a Sedriano, nell’hinterland milanese. E al momento in cui scrive è da più di dieci anni che il suo pendolarismo è tra Råå e Milano, più o meno una volta al mese, un viaggio di quasi duemila chilometri che, arrotondando, richiede nove ore da porta a porta. Il testimone si è rassegnato a pendolare per amore finché il suo corpo non reggerà più, o finché non arriverà l’ora dell’ultimo viaggio, di sola andata, quello senza destinazione finale, senza biglietto di ritorno né possibilità di cambiare prenotazione, neanche con il pagamento di una cospicua penale. Da persona previdente qual è, ha già fatto testamento: sia la vita sia i treni possono deragliare. O fare uno scontro frontale. Gli aerei possono precipitare. In compenso, non ha la minima intenzione di farsi mozzare la testa sui binari, come la bambola. E se anche il testimone nutrisse pensieri suicidi, cosa che gli è aliena, riterrebbe comunque deprecabile esporre un ignoto macchinista, che potrebbe avere una moglie o un marito e dei figli, magari perfino un cane, al trauma di vederlo trasformato in brandelli di carne

Björn Larsson, nato a Jönköping nel 1953, filologo, traduttore, scrittore e appassionato velista, ha insegnato a lungo letteratura francese all’Università di Lund ed è uno degli autori svedesi più noti anche in Italia. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Grinzane Biamonti, il Premio Elsa Morante, il Premio internazionale cultura del mare, il Premio Boccaccio Europa e il prestigioso Prix Médicis in Francia. È anche autore di saggi filosofici, come Essere o non essere umani (Raffaello Cortina 2024). Iperborea ha pubblicato tutti i suoi romanzi, tra cui La vera storia del pirata Long John Silver, Il porto dei sogni incrociati, Il Cerchio Celtico, La lettera di Gertrud e Nel nome del figlio.


martedì 28 gennaio 2025

Etienne de Montety - LA GRANDE TRIBOLAZIONE - E/O

 
Etienne de Montety
LA GRANDE TRIBOLAZIONE
Traduzione di Alberto Bracci Testasecca
E/O
Collana Dal Mondo
gennaio 2025
pp. 224, € 19,00
ISBN 9788833578224
Grand Prix du roman de l’Académie française. 

Georges Tellier è il parroco della chiesa di Saint-Michel in una tranquilla cittadina del Sudovest della Francia. Da giovane ha fatto la guerra d’Algeria e visto la morte in faccia, esperienza che l’ha portato alla scelta di una vita sacerdotale interamente dedita al prossimo, anche se non priva di dubbi interiori. Frédéric Nguyen, di origini vietnamite e francese di seconda generazione, è capitano di polizia nella stessa città, mestiere a cui è approdato seguendo istintivamente la sua passione giovanile per le motociclette e per l’azione. Hisham Boulaïd, di origini marocchine e francese di prima generazione, è un ragazzo dei quartieri popolari abitati dalla comunità musulmana. Carattere ribelle, canalizza la sua insofferenza verso l’autorità in un odio per la civiltà occidentale che lo renderà facile preda della radicalizzazione islamica. David Berteau, figlio adottivo di una coppia di agiati borghesi, scoprirà a vent’anni le sue origini maghrebine. Sconvolto, cambierà il suo nome in Daoud e si imbarcherà in una riscoperta frenetica della sua cultura originaria che a sua volta lo spingerà, suo malgrado, verso la radicalizzazione. 
In un mondo occidentale sempre più globalizzato, lo scontro culturale, religioso e generazionale fa da sfondo alle vite dei quattro personaggi, che si intrecciano fino a culminare in un epilogo drammatico che si rivelerà risolutorio per ciascuno di loro.

Etienne de Montety è giornalista e scrittore francese. Dal 2006 è direttore del Figaro littéraire nonché autore di diversi romanzi tra cui La Route du salut (Prix des Deux Magots 2009) e L’Amant noir (Prix Jean Freustié 2013).

Martin Suter - MELODY - Sellerio

 
Martin Suter
MELODY
(titolo originale Melody, Diogenes Verlag AG 2023)
traduzione dal tedesco di Marina Pugliano
Sellerio
collana Il Contesto n. 161
gennaio 2025
pp. 316, euro 17
ISBN 9788838947711

Un anziano signore, manovratore di potere e ricchezze, insegue un fantasma. Un giovane avvocato accetta l’incarico di separare le ombre dalla luce. Segreti e oscuri retroscena si nascondono dietro i palazzi di Zurigo e le facciate imbiancate del Mediterraneo.
Finalmente tradotto in Italia il nuovo attesissimo romanzo di Suter, un successo internazionale dirompente
.

In una villa sulle colline di Zurigo vive un «burattinaio». Peter Stotz ha 84anni, una vita di potere e successo alle spalle, è stato consulente del governo svizzero, influente membro di partito, consigliere di amministrazione di numerose grandi aziende. Breve è il tempo che ha davanti a sé, lungo e denso il passato. Vuole mantenere il controllo fino all’ultimo, gestire quello che un giorno si dirà di lui, dare un ordine, il suo ordine, al racconto che la morte consegnerà al futuro.
Per organizzare il suo archivio Stotz assume Tom Elmer, 34anni, doppio master in giurisprudenza e urgente bisogno di trovare un lavoro. Tom si trasferisce nella villa, passa ore nell’archivio, cataloga, legge, conserva o distrugge carta dopo carta, documento dopo documento. La giornata è scandita da eccellente cibo italiano e da larghe bevute, tra vino, sherry e cognac delle migliori annate, e dagli inviti di Stotz a sedere davanti al camino ad ascoltare i suoi racconti che riguardano sempre e soltanto una donna. Nella casa si intravedono ovunque suoi ritratti, che rivelano una giovane di origini marocchine, attraente, enigmatica. Si chiama Melody – libraia, grande lettrice, artista di ricami astratti ed ermetici –, era la fidanzata di Stotz. Fino al giorno del matrimonio. Tom si immerge prima con circospezione, poi con passione, nella vita dell’altro. Gli affascinanti racconti dell’anziano non sempre trovano riscontro nelle carte, negli articoli di giornale, nelle corrispondenze private. Tom comincia a chiedersi se Stotz sia davvero chi dice di essere, mentre la presenza di Melody, continuamente evocata nelle parole, nelle immagini e negli oggetti che la riguardano, sembra prendere corpo. Il giovane ne è sempre più affascinato, probabilmente il suo vero compito non è mettere ordine nell’archivio di lui, ma ricreare e ritrovare lei.
In una scrittura tesa e ironica, con dialoghi serrati, moltiplicando diversioni e dettagli enigmatici, intrecciando presente e passato, Martin Suter accumula lentamente la tensione, finché non appare l’altro lato del quadro: una dichiarazione d’amore all’arte dell’inganno che difficilmente potrebbe essere più lucida.

Martin Suter (Zurigo, 1948) ha lavorato come sceneggiatore televisivo, come reporter e in campo pubblicitario. Con questa casa editrice ha pubblicato L’ultimo dei Weynfeldt (2010), Com’è piccolo il mondo! (2011) Il talento del cuoco (2014, 2018), Montecristo (2015), Creature luminose (2018) e Melody (2025); e, per il ciclo di Allmen, Allmen e le libellule (2011), Allmen e il diamante rosa (2012) e Allmen e le dalie (2015). I suoi libri sono stati tradotti in 32 lingue.

lunedì 27 gennaio 2025

William T. Vollmann - TREDICI STORIE E TREDICI EPITAFFI - minimumfax

 
William T. Vollmann
TREDICI STORIE E TREDICI EPITAFFI
(titolo originale Thirteen Stories and Thirteen Epitaphs, Pantheon Books, NY, 1991)
traduzione di Chiara Belliti, Simona Vinci
minimumfax
gennaio 2025
pp. 356, € 19
ISBN 978-88-3389-605-2

Vicinissimo a essere un romanzo a brandelli, Tredici storie e tredici epitaffi è un dettagliato resoconto dal fronte della realtà, popolato dalla variegata galleria di personaggi che riconosciamo dalle opere precedenti di Vollmann – vagabondi, imbroglioni, prostitute, tossici, dottori-stregoni, gangster, skinhead, pornografi e sbandati – persone disperate, ossessionate, spacciate o smarrite che cercano di capire in che momento tutto è andato storto, immersi in una sorta di viaggio alla scoperta di se stessi, nella speranza che un’altra dose, un’altra notte di sesso, un altro viaggio dall’altro capo del mondo porterà la pace interiore tanto bramata.
Tredici storie che sfumano irrimediabilmente il confine tra l’invenzione e il reportage, la finzione e l’autobiografia, i mostri immaginati e quelli reali, e costituiscono uno dei più coraggiosi, approfonditi e sovversivi ritratti dell’America di oggi, un mosaico ardente sempre sospeso tra brutalità e romanticismo, in cui ogni storia si conclude con una piccola riflessione sulla morte, intesa come perdita irrecuperabile: piccoli epitaffi – per persone, animali, oggetti, il libro stesso – che non sono un punto di arrivo ma l’inizio di un nuovo modo di interpretare l’esistenza, per afferrare il senso di una vita in cui non c’è spazio per la paura perché tutto – il dolore, la violenza e il cinismo, la bellezza e l’amore – sono parte dello stesso percorso, voci che si sommano nello stesso grido di speranza.

Un estratto
Il tremolio dell’ago 
Ancora prima di andarmene avevo già cominciato a lucidare San Francisco come fosse un paio d’occhiali attraverso cui guardare, ripulendoli da ogni nuova particella di polvere e forfora; così il giorno della festa d’addio brillava, e curvava il mondo quel tanto che la mia miopia richiedeva: ricordo la brezza mentre ce ne stavamo sul ponte del traghetto; il sole caldo sui volti, le spalle e le ringhiere; i miei amici con le loro borse frigo e i cestini da picnic; e tutt’attorno la Baia, ogni cosa perfetta (vale a dire già lucidata), Margaret che sorrideva (era stata lei a organizzare, a sorpresa, questo evento sull’oceano), il verde intenso di Angel Island di fronte a noi con la gente che giocava a frisbee e gli aromi del barbecue che salivano dall’acqua; ero felice di essere lì coi miei amici, a chiedermi chi altri mi stesse aspettando a Angel Island, quali altre sorprese. Li guardavo negli occhi e ciascuno di loro mi appariva tanto caro e amabile – in parte, credo, perché si erano tutti spesi molto per me, il che significava che mi volevano bene; ma mi piace pensare che sarebbe stato lo stesso se fossi stato io a organizzare una festa per loro; li stavo già lucidando così delicatamente da provare affetto anche per i loro difetti. Accanto a me, sotto al sole, c’era Martin che strizzava gli occhi e si reggeva alla ringhiera con entrambe le mani. Troppe volte l’avevo giudicato un rammollito, insignificante, dalla scarsa intelligenza. Prestargli attenzione quando parlava era faticosissimo, perché balbettava e farfugliava. Ma quel giorno pareva remissivo come Cristo, di una puerilità timida, delicata, che necessitava di amore e protezione. Come potevo dimenticare i nostri viaggi assieme, le nottate passate a guidare verso casa attraverso la Central Valley, col clima mite e il cielo grigio-verdastro, i campi grigio-neri e l’odore dell’alfalfa che veniva su dai finestrini aperti del furgone? Vedevamo solo qualche automobile (pochissime e solo a tarda notte) e le strisce tratteggiate che scintillavano sull’autostrada, e ascoltavamo a ripetizione una vecchia cassetta piena di belle canzoni, e per ore e ore i nostri unici compagni erano i campi, la loro presenza umida. Ora, sul traghetto, Martin era silenzioso perché si sentiva a disagio se c’era troppa gente. Mi tornò in mente quella volta in cui, dieci anni prima, dopo aver risalito l’arida gola di una montagna con le labbra cosparse di granuli di sale e sangue rappreso, trovai finalmente Martin e gli chiesi dell’acqua, e lui si tolse pazientemente lo zaino e mi porse la sua borraccia, e la bontà e la dolcezza di quell’acqua. La grassa Monique stava seduta dietro di noi, col vento che le soffiava sotto la felpa, e rideva abbracciando la sua amante, Vera, il cui piccolo volto ossuto a volte non trasmetteva altro che noia, ma che oggi era sereno. Quant’ero stato superficiale a non vederla sempre in quel modo! Per quanto riguardava Monique, invece, aveva una risata che le apriva il volto in modo molto spontaneo, così capii d’improvviso che fino a quel momento avevo scambiato la sua sincerità per arroganza o egoismo. Mi resi conto che non conoscevo molto bene né Monique né Vera, ma mi ricordavo di quella volta in cui eravamo andati a cena fuori assieme, in un ristorante cinese vegetariano o qualcosa del genere, a Richmond, e mi erano piaciute entrambe, perché dall’antipasto al dolce si erano comportate come due pure e candide vergini, imboccandosi a vicenda con lo stesso cucchiaio, dissetandosi a vicenda con acqua Calistoga; poi avevo sentito una fitta acuta, come se mi sentissi tagliato fuori da qualcosa, e avevo desiderato vederle quando erano a casa, dove, tra i soffici cuscini del loro futon, o condensata sotto le foglie adombrate delle loro numerose piante da appartamento, doveva risiedere la loro tenerezza, rinvigorita da mille baci, sorvegliata e protetta dai crani cornuti degli arieti che tenevano appesi alle pareti; e anche se non ero mai riuscito a vedere niente di tutto ciò, il solo fatto di esserne a conoscenza mi riempì di una gratitudine inesprimibile; e la fitta che sentii, di solitudine o gelosia, non fu sgradevole, perché immaginai che le due donne e il loro amore mi sarebbero quantomeno stati accanto per sempre, e avrebbero continuato a crescere voluttuosamente come ogni altra cosa bella. Al momento, però, Monique diceva di non sentirsi bene, e aprì a stento la bocca quando Vera cercò di imboccarla col cucchiaio del dessert; rimase lì seduta con la testa ciondolante. Tesoro, hai dimenticato di nuovo di prendere le pillole?, disse Vera. L’altra donna annuì, sconsolata.


William T. Vollmann, all'anagrafe William Tanner Vollmann (Santa Monica, 28 luglio 1959), è uno scrittore, giornalista e saggista statunitense. William T. Vollmann è nato a Los Angeles e lì ha vissuto per cinque anni. Ha frequentato la scuola pubblica superiore a Bloomington, nello stato dell'Indiana, e ha vissuto anche nel New Hampshire, a New York e nella baia di San Francisco. Suo padre era Thomas E. Vollmann, professore di economia all'Università dell'Indiana. Quando aveva nove anni, la sorella di sei anni di Vollmann annegò in uno stagno mentre era sotto la sua supervisione, e lui si sentì responsabile della sua morte. Secondo lui, questa perdita ha influenzato gran parte del suo lavoro.
Vollmann ha studiato al Deep Springs College e alla Cornell University. Dopo l'università ha lavorato come segretario in una piccola compagnia di assicurazioni, a San Francisco, per otto mesi. Con i soldi ricavati da questo impiego, partì per l'Afghanistan durante l'invasione sovietica, scrivendo le sue esperienze in An Afghanistan Picture Show, or, How I Saved the World.
Al ritorno, mentre era intento a scrivere il suo primo romanzo, You Bright and Risen Angels, Vollmann lavorava come programmatore di computer nonostante, per sua stessa ammissione, non fosse un esperto.
Ha pubblicato scritti di viaggio per la rivista Spin e per il New Yorker, e spesso pubblica articoli nella New York Times Book Review. All'inizio del 2004, dopo molti rinvii, McSweeney's ha pubblicato Rising Up and Rising Down, un trattato sulla violenza in sette volumi di 3 300 pagine, che ha ricevuto una nomination per il National Book Critics Circle Award; una versione ridotta a un solo volume è stata pubblicata alla fine dell'anno da Ecco Press. Rappresenta oltre vent'anni di lavoro e tentativi di stabilire un computo morale che consenta di misurare le cause e gli effetti della violenza in tutto il mondo.
Le altre opere di Vollmann trattano spesso dell'insediamento degli europei nel Nordamerica, come nel ciclo di romanzi I sette sogni: un libro di paesaggi nordamericani, del quale in Italia sono stati pubblicati, tra il 2007 e il 2018, solo tre volumi (La camicia di ghiaccio, Venga il tuo regno e I Fucili), o storie di persone (spesso prostitute) ai margini della guerra, della povertà e della speranza. Il suo romanzo Europe Central, che tratta di un ampio gruppo di personaggi coinvolti nella guerra tra Germania e Unione Sovietica, ha vinto nel 2005 il National Book Award per la narrativa.
Nel 2008, Vollmann ricevette lo Strauss Living Award, una borsa quinquennale che gli fruttò 50 000 dollari all'anno, non tassati. Nel 2009, Vollmann pubblicò Imperial, un saggio sulla vita nella Contea di Imperial in California, vicino al confine col Messico.
Nel 2010, Vollmann pubblicò uno studio sul teatro Nō giapponese intitolato Kissing the Mask: Beauty, Understatement, and Femininity in Japanese Noh Theater.
Vollman sperimentò per la prima volta la pratica del crossdressing nel 2008 e, da allora, ha sviluppato un alter ego chiamato Dolores del quale scrisse in The Book of Dolores del 2013 («Dolores è una donna relativamente giovane intrappolata in questo grasso, senescente corpo maschile. Le ho comprato un po' di vestiti, ma non sembra averli apprezzati. Si libererebbe volentieri di me, se potesse.»)
Nella vita privata, Vollmann rifiuta la fama letteraria e l'utilizzo di dispositivi moderni quali cellulari e carte di credito e viene talvolta descritto come misantropo e schivo.
In un saggio per Harper's Magazine del 2013, intitolato Life as a Terrorist, Vollmann rivelò quanto il sentimento verso i temi di "anti-progresso, anti-industrializzazione" dei primi lavori abbia cambiato la sua vita. Utilizzando i file ufficiali, ottenuti attraverso il Freedom of Information Act, il saggio descrive l'investigazione che l'FBI condusse sullo stesso Vollmann nella metà negli anni novanta, ritenendolo sospettato nel caso Unabomber.
Minimum fax ha pubblicato finora: I fucili, La Camicia di Ghiaccio, Afghanistan Picture Show, I poveri, Storie della farfalla, Storie dell’arcobaleno, Come un’onda che sale e che scende, L’atlante e Puttane per Gloria



Enrico Fink - PATRILINEARE - Lindau

 
Enrico Fink
PATRILINEARE
Una storia di fantasmi

Lindau
Collana Contemporanea
gennaio 2025
pp. 392, € 21
ISBN 9791255842026


Elias, giovane musicista, dopo la morte della nonna inizia a essere perseguitato da un’«ombra». Ma cos’è? E cosa vuole da lui? Lo segue ovunque, nelle atmosfere surreali delle discoteche dove suona, nei vicoli medievali di Ferrara, fino alla casa di famiglia che custodisce memorie antiche. Ed è proprio lì, in quelle stanze polverose dove Elias decide di riscoprire le proprie radici ebraiche, che l’ombra sembra unirsi ad altre ombre e il passato inizia a prendere forma.
In una narrazione dalla struttura articolata, con frequenti salti temporali e flashback, le vicissitudini di Elias si intrecciano con quelle dei Fink e dei Bassani – dall’arrivo in Italia dei bisnonni alla tragedia della seconda guerra mondiale, con la deportazione ad Auschwitz – creando un racconto intimo e coinvolgente, un mondo fatto di ricordi, emozioni e riflessioni in cui la presa di coscienza, spesso sofferta, di ciò che è accaduto si alterna ai toni della commedia e all’autoironia.
Tra le grandi tragedie della Storia e piccole scene di comicità, fra demoni che ballano sul cubo e un anziano poeta circondato da gatti, fra sinagoghe, bombe e una circoncisione tardiva, Patrilineare. Una storia di fantasmi è un libro che ci tocca nel profondo e ci aiuta a comprendere quanto le storie di chi ci ha preceduto siano parte integrante di chi siamo. 

L'incipit
«Mamma, è stanotte che mi ammazzi?». Le sei parole rimasero sospese a mezz’aria nella stanza di Ferrara, così come trentacinque anni prima nel casolare di campagna vicino ad Albarea. Laura aveva cominciato come innumerevoli altre volte: «Devi sapere…». Era stesa sul letto, la grande camera in penombra. «Devi sapere che a quell’epoca…». La luce le dava così fastidio che portava anche adesso, al buio, un paio di grandi occhiali da sole, neri. All’angolo opposto della stanza un pesante condizionatore d’aria vibrava minaccioso, sotto la finestra con le ante socchiuse. Lo teneva acceso al massimo sin da quando il vecchio elettricista di via San Romano gliel’aveva procurato, un modello usato ma in discrete condizioni, grosso e rumoroso. «Devi sapere che a quell’epoca eravamo nascosti in campagna», aveva detto con la sua voce sottile, che faticava a farsi strada oltre il ronzio insistente della macchina.
Elias ascoltava, rannicchiato in una poltrona. I suoi occhi indovinavano la figura di lei sopra il letto rifatto. Le scarpe di pelle nera, le calze di nylon marrone che scomparivano sotto la gonna spessa, il golf di lana chiara, il filo di coralli che le cingeva il collo. Le mani appoggiate al viso, quasi a nascondersi mentre raccontava. Elias aveva freddo, avrebbe preferito essere nel salotto illuminato dal sole che splendeva dalle grandi finestre, come un tempo. Ma da qualche anno ormai lei non usciva quasi dalla sua stanza, neppure per attraversare il corridoio grigio e sedersi sul divano. In fondo andava bene anche così. L’importante era ascoltarla, e neanche tanto per il gianduiotto che sarebbe senz’altro stato scartato per lui a fine racconto, premio che quando era più piccolo lo aveva attirato e persino convinto a fermare per un poco le scorribande e i giochi scatenati, e a sedersi in silenzio. Anche se la nonna non lo accompagnava più alla scoperta della grande casa di via Mazzini, anche se non apriva più i vecchi armadi di legno scuro per mostrargli fotografie antiche e cartoline scritte in fiorite calligrafie ormai illeggibili, anche se non lo conduceva più nei misteriosi solai pieni di ricordi polverosi o nei passaggi nascosti nelle cantine buie e spaventose, anche se era ormai sempre qui, vestita di tutto punto e stesa sul letto nella stanza ghiacciata, come fosse già una salma composta e in attesa solo di sepoltura (ma questo Elias l’avrebbe intuito solo molti anni più tardi, ripensandoci), lui si perdeva ad ascoltare i suoi racconti. Erano storie prese da romanzi, a volte; dai libri che gli occhi matti non le permettevano più di sfogliare, ma che amava ripercorrere e riassumere al nipote. A volte erano trame d’opera, o vicende tratte dai radiodrammi che arrivavano dal piccolo apparecchio sul tavolino, colonna sonora ininterrotta delle giornate di clausura insieme al bordone profondo del condizionatore. Spesso, però, erano storie di famiglia. Elias imparava a conoscere così le figure che avevano abitato quella casa e la Ferrara d’un tempo. Figure che lo fissavano rigide e impomatate dalle fotografie appese al muro attorno al letto: immagini vecchie e ingiallite, già più simili a quadri d’epoca che a scatti su pellicola, e che nella penombra sembravano bisbigliare come un drappello di ombre cupe che lo fissavano severe. Ogni tanto il frammento di un racconto permetteva di associare un nome a uno di quei visi. Gli zii, Carlo e Giuseppe, spesso insieme, con i loro lunghi baffi neri. I genitori di sua nonna: la madre Elide vestita di scuro, i capelli raccolti, il viso inclinato a scrutare verso l’alto. Il padre, Elia, aveva il viso rotondo, gli occhi sottili e sorridenti, lo sguardo bonario che – diceva la nonna – corrispondeva davvero a un animo gentile e quasi timoroso, molto poco adatto al suo status di capofamiglia e poi di autorevole presidente della Comunità Ebraica, l’Università Israelitica, come si diceva allora. Poi immagini più recenti, ma sempre antiche agli occhi di Elias: Gianfranco, l’amico fidato, uno dei pochi che sua nonna ammetteva nel gelido sancta sanctorum. Sorrideva, molto più giovane di adesso, una giacca e un basco in testa a ripararlo dal poco sole di una strada ferrarese. Mi piacciono i suoi libri, diceva spesso la nonna, anche se parlano di cose che ecco, devi sapere che non stanno molto bene. Ma insomma, capirai quando sarai più grande. E comunque meriterebbe più fortuna, almeno quanto lui, ripeteva muovendo gli occhi verso l’altra foto, quella più grande di tutte, quasi hollywoodiana: la foto dell’altro amico scrittore, che anche se di cognome faceva Bassani come loro, parente non era. «A Laura, con affetto, Giorgio», c’era scritto con un pennarello grosso, e lei l’aveva attaccata così, come fosse una celebrità appesa al muro di un ristorante di provincia. La foto l’aveva portata lui, Giorgio, alla fine d’un lungo periodo d’assenza: aveva avuto paura a incontrarla, perché pensava che lei ci fosse rimasta male. Era uscito un suo racconto, anzi una «fiaba» – così l’aveva chiamata –, in cui narrava di lei e dell’incontro con il ragazzo di origine russa che sarebbe diventato suo marito, la nascita del bambino. L’aveva descritta come una ragazza «né brutta né bella», questo era il punto: ma se non era proprio un complimento, a lei non aveva dato alcun fastidio, inorgoglita com’era di essere finita protagonista in una novella di Bassani.

Enrico Fink è nato a Firenze nel 1969. È compositore, cantante e flautista, nonché ricercatore e autore teatrale. Figlio del noto critico Guido Fink, dopo essersi laureato in Fisica ha abbandonato gli studi in quel campo per concentrarsi sulla musica, dedicandosi principalmente al recupero e alla promozione della tradizione musicale ebraica italiana, e alla composizione di musiche di scena per il teatro. Regolarmente in tournée in Italia e all’estero, ha esordito nel 1998 con lo spettacolo Patrilineare, lo stesso titolo del primo romanzo.

Giuseppe Patota - A TU PER TU CON LA COMMEDIA - Laterza

 
Giuseppe Patota
A TU PER TU CON LA COMMEDIA
Laterza
Collana Robinson/Letture
2025, II ristampa 2025
pp. 360, € 20.00
ISBN 9788858156537
 
Chi ha detto che leggere la Divina Commedia sia un’impresa per pochi? Èvero che leggerla è arduo per la lingua in cui è scritta e l’enorme varietà di temi trattati, ma è un’avventura straordinaria. Giuseppe Patota, che ha dedicato parte dei suoi studi alla lingua di Dante, ha trovato il modo di rendere accessibile quest’opera magnifica e complessa perché possa essere capita e apprezzata anche da chi non la conosce, da chi la conosce poco e da chi l’ha conosciuta, ma non se la ricorda.
«Capire la Divina Commediaè difficile. Della lingua in cui la scrisse, diventata la nostra soprattutto grazie a lui, Dante sperimentò tutte le possibilità espressive, comprese quelle che sembrano andare al di là dell’umano, sia verso il basso sia verso l’alto, e non è facile seguirlo in questo vertiginoso saliscendi.
Poi ci sono i contenuti. Teologia e interpretazione dei testi sacri, filosofia, logica, morale, politica, diritto, letteratura e storia antica, scienza dei numeri e delle misure, musica, ottica, medicina, arte della guerra e della navigazione: non c’è aspetto della cultura antica e medievale di cui Dante non abbia appropriatamente detto qualcosa, nel suo enciclopedico poema.
Infine, ci sono i personaggi che popolano l’oltremondo che il Poeta ha costruito. Tralasciando quelli appartenenti al mito o alla storia, e limitandoci a quelli che hanno popolato la cronaca dei tempi di Dante e di quelli di poco precedenti, l’unico motivo per cui continuiamo ad avere memoria dei nomi di Ciacco, Francesca da Rimini, Farinata degli Uberti o Ugolino della Gherardesca è dato dal fatto che i versi scritti da Dante li hanno resi figure immortali: se quei versi non fossero stati scritti, i loro nomi sonnecchierebbero in qualche documento d’archivio o in qualche cronaca medievale.
Sì: capire la Commedia è veramente difficile. Per questo ho scelto i versi più significativi, curiosi o sorprendenti dei cento canti di cui si compone e li ho distribuiti in 114 presentazioni (per qualche canto ho avuto bisogno di qualche presentazione in più). Ho cercato di spiegare quei versi parola per parola, senza dare niente per scontato, collegando i fatti con gli antefatti.
In questo modo, leggendoli canto dopo canto, farete lo stesso viaggio che ha fatto Dante: questo, almeno, è quello che spero.»

Un estratto
nella selva oscura
(Inferno, canto I, vv. 1-21)
Quelli che leggerete fra poco sono i ventuno versi, organizzati in terzine (vale a dire in serie di tre versi), che aprono l’Inferno, prima delle tre cantiche di cui si compone la Commedia. Guardate quante volte, nella trentina di parole che ho scritto (trentaquattro, per la precisione: lo stesso numero dei canti dell’Inferno), sono stato obbligato a ripetere il numero tre, che nella Commedia ha un fortissimo valore simbolico.
La lingua in cui sono scritti questi versi iniziali non è poi così lontana dall’italiano di oggi. «Nel mezzo del cammin di nostra vita»: se dovessimo rendere il primo in prosa italiana attuale, ci basterebbe aggiungere una o alla fine della parola cammin e trasformare la preposizione semplice di nella preposizione articolata della: «Nel mezzo del cammino della nostra vita». Non illudiamoci, però, perché, a mano a mano che andremo avanti, le cose si faranno più complicate.
A metà del percorso della vita non soltanto sua, ma di tutti gli uomini (accomunati da quel nostra: «di nostra vita»), Dante si trova, senza sapere come, in una selva oscura, perché la strada giusta («la diritta via») era smarrita. Abbiamo la certezza che per il Poeta questo passaggio coincideva con i trentacinque anni, perché in un’altra sua opera, il Convivio, dà proprio quest’indicazione, e la dà fondandosi su quello che, nel merito, c’era scritto nella Bibbia e nelle opere dei grandi filosofi antichi, primo fra tutti Aristotele. Poi aggiunge che dire come fosse fatta questa «selva selvaggia» è una cosa «dura», cioè difficile, se non impossibile, perché, solo a pensarci, gli ritorna la stessa paura di quando ci si trovò. Mettiamoci al suo posto: come staremmo noi se ci capitasse di finire in una selva completamente buia? Anche senza pensare di essere finiti nel territorio del peccato e del male, avremmo una gran paura; potremmo addirittura morire di paura, e non sarebbe un’iperbole, un’esagerazione retorica, proprio come non è un’esagerazione retorica, per Dante, dire che, rispetto a questa selva, la morte è poco, soltanto poco di più.
La seconda terzina che leggerete si apre con la parola «Ahi». Grammatiche e vocabolari c’insegnano che ahi è un’esclamazione, una parola che equivale a un’intera frase e che esprime un lamento. Ahi esiste da che italiano è italiano: se ne trovano esempi nei componimenti dei poeti siciliani, che si collocano all’inizio della storia della nostra letteratura, fra primo e secondo quarto del Duecento. Ma ahi è anche una parola che esiste da quando cominciamo a esistere noi: è fra le prime che impariamo a usare, ogni volta che dobbiamo raccontare a noi stessi e agli altri che stiamo provando un dolore. Con quell’«Ahi!» Dante ci ricorda che il dolore appartiene alla nostra condizione di esseri umani. Poi, però, inanella due «Ma» che segnano un’inversione di rotta, e illuminano la selva oscura in cui tutti, chi più chi meno, siamo finiti, finiamo o finiremo per trovarci in un momento della vita, e ci avvisa che perfino in quella selva potremo incappare nel bene. Se il tratto che domina i versi che precedono i due «Ma» è il buio, quello che domina i versi che seguono, in particolare il secondo, è la luce: quando – racconta Dante – arrivai ai piedi di un colle dove finiva la selva che, per la paura, mi aveva «compunto» (cioè amareggiato) il cuore, guardai in alto e ne vidi i pendii già ricoperti dei raggi del pianeta che conduce ognuno dritto per la sua strada. Il pianeta in questione è il Sole: Dante lo chiama pianeta perché la visione medievale dell’universo, che era anche la sua, considerava il Sole uno dei sette pianeti che giravano intorno alla Terra.
Il Sole è ampiamente presente nella Commedia. La parola che lo indica ricorre 13 volte nell’Inferno, 56 nel Purgatorio e 47 nel Paradiso. Qui, però, Dante non lo indica col suo nome, ma con un giro di parole: è il pianeta «che mena dritto altrui per ogni calle», cioè che con la sua luce conduce ognuno per la strada giusta.
È un Sole che tranquillizza: dopo che lo ebbe visto, la sua paura, che «nel lago del cor gli era durata», si calmò. Il «lago del cor» è la cavità interna del cuore; nel Medioevo era opinione comune che in essa si trovassero le passioni umane, compresa la paura che abitò il cuore di Dante quando si smarrì, in quella notte passata con tanta pièta. Dobbiamo leggere la parola così, con l’accento sulla e e non sulla à finale, non solo per ragioni metriche (pièta è in rima con queta), ma anche per ragioni di significato: nella lingua di Dante la forma pièta significa ‘angoscia’, ‘affanno’, diversamente dalle varianti pietà, pietate e pietade, che generalmente (ma non sempre) significano ‘compassione’, ‘misericordia’.
Un’ultima curiosità. In uno dei manoscritti della Commedia il penultimo dei versi che leggerete è un po’ diverso: «Allor fu la paura un poco queta / che nel lago del cor m’era ’ndurata». Se Dante avesse scritto così, dovremmo parafrasare: «Allora si calmò un po’ la paura che aveva reso la cavità interna del cuore dura come il ghiaccio». Che cosa avrà scritto il Poeta nel testo originale, purtroppo andato perduto? Non lo sappiamo. Eccoci davanti a un primo dubbio: e abbiamo appena cominciato a leggere.

Giuseppe Patota, professore ordinario di Linguistica italiana nell’Università di Siena, è socio corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Accademico della Crusca e dell’Arcadia, membro del direttivo della Fondazione “I Lincei per la scuola” e del comitato scientifico della Fondazione Natalino Sapegno. Ha al suo attivo circa centottanta pubblicazioni scientifiche, didattiche o divulgative dedicate alla lingua italiana, alla sua storia e al suo insegnamento. Alcuni suoi lavori sono stati tradotti e pubblicati in Francia e in Giappone. È condirettore, con Valeria Della Valle, delDizionario dell’italiano Treccanie direttore del Thesaurus Treccani, usciti in prima edizione nel 2018 e in seconda edizione nel 2022. Da oltre quindici anni è consulente di Rai Scuola per la realizzazione di programmi destinati all’insegnamento dell’italiano a stranieri. Per Laterza ha pubblicato Prontuario di grammatica. L’italiano dalla A alla Z (2013), La grande bellezza dell’italiano. Dante, Petrarca, Boccaccio (2015) e La grande bellezza dell’italiano. Il Rinascimento (2019).