mercoledì 29 gennaio 2025

Björn Larsson - FILOSOFIA MINIMA DEL PENDOLARE - Iperborea

 
Björn Larsson
FILOSOFIA MINIMA DEL PENDOLARE
traduzione di Andrea Berardini
Iperborea
Collana Gli Iperborei n.392
gennaio 2025
pp. 224, € 18,00
ISBN 9788870916928


Di tanto in tanto, esistono momenti in cui si può tirare il fiato, in cui la vita rimane come sospesa per aria, una parentesi in cui non si vuole né questo né quello e non si è costretti a correre: secondo Björn Larsson il viaggio del pendolare è uno di questi momenti.

Björn Larsson ha alle spalle un’esistenza nomade e vagabonda a bordo di una barca, ma anche quarant’anni di sfiancante pendolarismo. Pendolare incallito tra Danimarca, Svezia e Italia per lavoro e per amore, durante i suoi numerosi viaggi – in traghetto, treno, bus e qualche aereo – e migliaia di chilometri, ha osservato le abitudini e le nevrosi dei pendolari, incluso se stesso. Il risultato è un libro divertente in cui episodi di vita vissuta sono occasioni di riflessione, e l’elegante lingua della letteratura si mescola al buffo chiacchiericcio quotidiano dei viaggiatori. Si passa da spunti su come scegliere i migliori posti sui mezzi di trasporto agli snervanti imprevisti che spesso tocca affrontare, passando per l’arte di trovare il tragitto più breve a considerazioni profonde sulla decadenza del linguaggio e le trasformazioni della società, con un occhio attento ai cambiamenti nel modo in cui viaggiamo. Tra citazioni dai miti letterari come Martinson e De Beauvoir, Orwell e Beckett, non mancano critiche al capitalismo e riflessioni sull’isolamento durante la pandemia, che ha toccato profondamente chi, come lui, trova nel viaggio una ragione di vita. E c’è spazio anche per l’avventura, naturalmente: quando i venti del Nord soffiano sull’Øresund e i traghetti sono in balia delle onde, è facile ricordare altre burrasche. Con leggerezza e un’ironia che si fa aperta comicità, Larsson trasporta i suoi temi classici, come il viaggio, lo sradicamento e il bisogno di libertà, dal mondo romanzesco dei mari a quello quotidiano e urbano del trasporto pubblico, in un racconto che susciterà immediata simpatia in chiunque abbia vissuto, anche solo per poco, la frustrante esperienza del pendolarismo. 

L'incipit
Lund. Il testimone è sulla banchina numero tre e guarda il binario sei. Accanto alle rotaie lustre dall’usura c’è una bambola con la testa mozzata. Farsi investire da un treno è tutto sommato un modo relativamente comune di suicidarsi. Tra il 2001 e il 2015 duecentotrentadue danesi hanno scelto di porre fine alla propria vita sui binari. A Copenaghen, come pure sul versante svedese, esistono appositi gruppi di sostegno per assistere i macchinisti che hanno avuto la sfortuna di travolgere qualche poveraccio stanco della vita. È un’idea sensata. Chi ha bisogno di aiuto è chi deve andare avanti a vivere. «Il suicidio», ha scritto giustamente la sempre originale Bodil Malmsten, «è un crimine in cui il colpevole taglia la corda lasciando chi resta a scontare la pena.» Per chi è morto, dopotutto, il peggio è passato. O almeno si spera. Pensa un po’ se ci fosse davvero un’altra vita dopo questa e un Dio che punisce il peccatore – dato che ammazzarsi, se il testimone non si sbaglia, è peccato mortae – spedendolo all’inferno. Dalla padella alla brace: più di così! Ma la bambola? Quale gruppo di sostegno si occuperà di lei? E la bambina a cui apparteneva? Chi fosse incline alla superstizione più del testimone potrebbe forse vedere nella bambola un presagio, o meglio, un cattivo presagio. Non è il suo caso, anche se fa fatica a togliersela dalla testa sul treno che lo porterà, per l’ennesima di innumerevoli volte, a Helsingborg. Un giorno ormai lontano, si era divertito a calcolare quanto tempo avesse trascorso un suo amico francese facendo la spola avanti e indietro tra l’abitazione a Rambouillet e il lavoro a Parigi. Risultato: tre anni, ora più ora meno. Tre interi anni della sua unica vita passati, per lo più dormicchiando, su treni e metropolitane! Verrebbe voglia di impiccarsi per molto meno. O di gettarsi sotto un treno. Così Beckett, in Aspettando Godot, sintetizza la condizione umana: «Partoriscono a cavallo di una tomba, la luce splende un istante, ed è subito notte.» E Vargas Llosa, da qualche parte, scrive che la vita è un tornado di merda e l’arte è l’unico ombrello che abbiamo. Siamo davvero messi così male? Ci sarebbe ben poco da stare allegri, se questi signori avessero ragione. Si sono però dimenticati di mettere in conto che ogni tanto ci sono anche momenti in cui si può tirare il fiato, in cui la vita resta come sospesa nell’aria, in cui non si vuole essere né una cosa né l’altra, non si è costretti a correre a sgravarsi sopra una fossa né a cercar riparo sotto un ombrello perché dal cielo piovono escrementi. Il viaggio del pendolare è uno di quei momenti. Per più di quarant’anni, l’autoproclamato testimone del pendolarismo ha viaggiato avanti e indietro, andata e ritorno, in parte tra Danimarca e Svezia, sui più diversi mezzi di pubblico trasporto – traghetti lenti o veloci, piccoli o grandi, autobus, treni, sia diesel che elettrici – in parte tra le varie stazioni e fermate di autolinee nel Sudovest della Scania. I suoi viaggi tra Selandia e Scania sono finiti quando è tornato a vivere in Svezia nel 2010, convinto che ormai si sarebbe limitato a fare avanti e indietro tra Råå – poco più a sud di Helsingborg – e Lund: un autobus e un treno. Ma aveva chiuso i conti con se stesso un po’ troppo presto, senza calcolare che si sarebbe innamorato di un’italiana che vive a Sedriano, nell’hinterland milanese. E al momento in cui scrive è da più di dieci anni che il suo pendolarismo è tra Råå e Milano, più o meno una volta al mese, un viaggio di quasi duemila chilometri che, arrotondando, richiede nove ore da porta a porta. Il testimone si è rassegnato a pendolare per amore finché il suo corpo non reggerà più, o finché non arriverà l’ora dell’ultimo viaggio, di sola andata, quello senza destinazione finale, senza biglietto di ritorno né possibilità di cambiare prenotazione, neanche con il pagamento di una cospicua penale. Da persona previdente qual è, ha già fatto testamento: sia la vita sia i treni possono deragliare. O fare uno scontro frontale. Gli aerei possono precipitare. In compenso, non ha la minima intenzione di farsi mozzare la testa sui binari, come la bambola. E se anche il testimone nutrisse pensieri suicidi, cosa che gli è aliena, riterrebbe comunque deprecabile esporre un ignoto macchinista, che potrebbe avere una moglie o un marito e dei figli, magari perfino un cane, al trauma di vederlo trasformato in brandelli di carne

Björn Larsson, nato a Jönköping nel 1953, filologo, traduttore, scrittore e appassionato velista, ha insegnato a lungo letteratura francese all’Università di Lund ed è uno degli autori svedesi più noti anche in Italia. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Grinzane Biamonti, il Premio Elsa Morante, il Premio internazionale cultura del mare, il Premio Boccaccio Europa e il prestigioso Prix Médicis in Francia. È anche autore di saggi filosofici, come Essere o non essere umani (Raffaello Cortina 2024). Iperborea ha pubblicato tutti i suoi romanzi, tra cui La vera storia del pirata Long John Silver, Il porto dei sogni incrociati, Il Cerchio Celtico, La lettera di Gertrud e Nel nome del figlio.


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