lunedì 27 gennaio 2025

William T. Vollmann - TREDICI STORIE E TREDICI EPITAFFI - minimumfax

 
William T. Vollmann
TREDICI STORIE E TREDICI EPITAFFI
(titolo originale Thirteen Stories and Thirteen Epitaphs, Pantheon Books, NY, 1991)
traduzione di Chiara Belliti, Simona Vinci
minimumfax
gennaio 2025
pp. 356, € 19
ISBN 978-88-3389-605-2

Vicinissimo a essere un romanzo a brandelli, Tredici storie e tredici epitaffi è un dettagliato resoconto dal fronte della realtà, popolato dalla variegata galleria di personaggi che riconosciamo dalle opere precedenti di Vollmann – vagabondi, imbroglioni, prostitute, tossici, dottori-stregoni, gangster, skinhead, pornografi e sbandati – persone disperate, ossessionate, spacciate o smarrite che cercano di capire in che momento tutto è andato storto, immersi in una sorta di viaggio alla scoperta di se stessi, nella speranza che un’altra dose, un’altra notte di sesso, un altro viaggio dall’altro capo del mondo porterà la pace interiore tanto bramata.
Tredici storie che sfumano irrimediabilmente il confine tra l’invenzione e il reportage, la finzione e l’autobiografia, i mostri immaginati e quelli reali, e costituiscono uno dei più coraggiosi, approfonditi e sovversivi ritratti dell’America di oggi, un mosaico ardente sempre sospeso tra brutalità e romanticismo, in cui ogni storia si conclude con una piccola riflessione sulla morte, intesa come perdita irrecuperabile: piccoli epitaffi – per persone, animali, oggetti, il libro stesso – che non sono un punto di arrivo ma l’inizio di un nuovo modo di interpretare l’esistenza, per afferrare il senso di una vita in cui non c’è spazio per la paura perché tutto – il dolore, la violenza e il cinismo, la bellezza e l’amore – sono parte dello stesso percorso, voci che si sommano nello stesso grido di speranza.

Un estratto
Il tremolio dell’ago 
Ancora prima di andarmene avevo già cominciato a lucidare San Francisco come fosse un paio d’occhiali attraverso cui guardare, ripulendoli da ogni nuova particella di polvere e forfora; così il giorno della festa d’addio brillava, e curvava il mondo quel tanto che la mia miopia richiedeva: ricordo la brezza mentre ce ne stavamo sul ponte del traghetto; il sole caldo sui volti, le spalle e le ringhiere; i miei amici con le loro borse frigo e i cestini da picnic; e tutt’attorno la Baia, ogni cosa perfetta (vale a dire già lucidata), Margaret che sorrideva (era stata lei a organizzare, a sorpresa, questo evento sull’oceano), il verde intenso di Angel Island di fronte a noi con la gente che giocava a frisbee e gli aromi del barbecue che salivano dall’acqua; ero felice di essere lì coi miei amici, a chiedermi chi altri mi stesse aspettando a Angel Island, quali altre sorprese. Li guardavo negli occhi e ciascuno di loro mi appariva tanto caro e amabile – in parte, credo, perché si erano tutti spesi molto per me, il che significava che mi volevano bene; ma mi piace pensare che sarebbe stato lo stesso se fossi stato io a organizzare una festa per loro; li stavo già lucidando così delicatamente da provare affetto anche per i loro difetti. Accanto a me, sotto al sole, c’era Martin che strizzava gli occhi e si reggeva alla ringhiera con entrambe le mani. Troppe volte l’avevo giudicato un rammollito, insignificante, dalla scarsa intelligenza. Prestargli attenzione quando parlava era faticosissimo, perché balbettava e farfugliava. Ma quel giorno pareva remissivo come Cristo, di una puerilità timida, delicata, che necessitava di amore e protezione. Come potevo dimenticare i nostri viaggi assieme, le nottate passate a guidare verso casa attraverso la Central Valley, col clima mite e il cielo grigio-verdastro, i campi grigio-neri e l’odore dell’alfalfa che veniva su dai finestrini aperti del furgone? Vedevamo solo qualche automobile (pochissime e solo a tarda notte) e le strisce tratteggiate che scintillavano sull’autostrada, e ascoltavamo a ripetizione una vecchia cassetta piena di belle canzoni, e per ore e ore i nostri unici compagni erano i campi, la loro presenza umida. Ora, sul traghetto, Martin era silenzioso perché si sentiva a disagio se c’era troppa gente. Mi tornò in mente quella volta in cui, dieci anni prima, dopo aver risalito l’arida gola di una montagna con le labbra cosparse di granuli di sale e sangue rappreso, trovai finalmente Martin e gli chiesi dell’acqua, e lui si tolse pazientemente lo zaino e mi porse la sua borraccia, e la bontà e la dolcezza di quell’acqua. La grassa Monique stava seduta dietro di noi, col vento che le soffiava sotto la felpa, e rideva abbracciando la sua amante, Vera, il cui piccolo volto ossuto a volte non trasmetteva altro che noia, ma che oggi era sereno. Quant’ero stato superficiale a non vederla sempre in quel modo! Per quanto riguardava Monique, invece, aveva una risata che le apriva il volto in modo molto spontaneo, così capii d’improvviso che fino a quel momento avevo scambiato la sua sincerità per arroganza o egoismo. Mi resi conto che non conoscevo molto bene né Monique né Vera, ma mi ricordavo di quella volta in cui eravamo andati a cena fuori assieme, in un ristorante cinese vegetariano o qualcosa del genere, a Richmond, e mi erano piaciute entrambe, perché dall’antipasto al dolce si erano comportate come due pure e candide vergini, imboccandosi a vicenda con lo stesso cucchiaio, dissetandosi a vicenda con acqua Calistoga; poi avevo sentito una fitta acuta, come se mi sentissi tagliato fuori da qualcosa, e avevo desiderato vederle quando erano a casa, dove, tra i soffici cuscini del loro futon, o condensata sotto le foglie adombrate delle loro numerose piante da appartamento, doveva risiedere la loro tenerezza, rinvigorita da mille baci, sorvegliata e protetta dai crani cornuti degli arieti che tenevano appesi alle pareti; e anche se non ero mai riuscito a vedere niente di tutto ciò, il solo fatto di esserne a conoscenza mi riempì di una gratitudine inesprimibile; e la fitta che sentii, di solitudine o gelosia, non fu sgradevole, perché immaginai che le due donne e il loro amore mi sarebbero quantomeno stati accanto per sempre, e avrebbero continuato a crescere voluttuosamente come ogni altra cosa bella. Al momento, però, Monique diceva di non sentirsi bene, e aprì a stento la bocca quando Vera cercò di imboccarla col cucchiaio del dessert; rimase lì seduta con la testa ciondolante. Tesoro, hai dimenticato di nuovo di prendere le pillole?, disse Vera. L’altra donna annuì, sconsolata.


William T. Vollmann, all'anagrafe William Tanner Vollmann (Santa Monica, 28 luglio 1959), è uno scrittore, giornalista e saggista statunitense. William T. Vollmann è nato a Los Angeles e lì ha vissuto per cinque anni. Ha frequentato la scuola pubblica superiore a Bloomington, nello stato dell'Indiana, e ha vissuto anche nel New Hampshire, a New York e nella baia di San Francisco. Suo padre era Thomas E. Vollmann, professore di economia all'Università dell'Indiana. Quando aveva nove anni, la sorella di sei anni di Vollmann annegò in uno stagno mentre era sotto la sua supervisione, e lui si sentì responsabile della sua morte. Secondo lui, questa perdita ha influenzato gran parte del suo lavoro.
Vollmann ha studiato al Deep Springs College e alla Cornell University. Dopo l'università ha lavorato come segretario in una piccola compagnia di assicurazioni, a San Francisco, per otto mesi. Con i soldi ricavati da questo impiego, partì per l'Afghanistan durante l'invasione sovietica, scrivendo le sue esperienze in An Afghanistan Picture Show, or, How I Saved the World.
Al ritorno, mentre era intento a scrivere il suo primo romanzo, You Bright and Risen Angels, Vollmann lavorava come programmatore di computer nonostante, per sua stessa ammissione, non fosse un esperto.
Ha pubblicato scritti di viaggio per la rivista Spin e per il New Yorker, e spesso pubblica articoli nella New York Times Book Review. All'inizio del 2004, dopo molti rinvii, McSweeney's ha pubblicato Rising Up and Rising Down, un trattato sulla violenza in sette volumi di 3 300 pagine, che ha ricevuto una nomination per il National Book Critics Circle Award; una versione ridotta a un solo volume è stata pubblicata alla fine dell'anno da Ecco Press. Rappresenta oltre vent'anni di lavoro e tentativi di stabilire un computo morale che consenta di misurare le cause e gli effetti della violenza in tutto il mondo.
Le altre opere di Vollmann trattano spesso dell'insediamento degli europei nel Nordamerica, come nel ciclo di romanzi I sette sogni: un libro di paesaggi nordamericani, del quale in Italia sono stati pubblicati, tra il 2007 e il 2018, solo tre volumi (La camicia di ghiaccio, Venga il tuo regno e I Fucili), o storie di persone (spesso prostitute) ai margini della guerra, della povertà e della speranza. Il suo romanzo Europe Central, che tratta di un ampio gruppo di personaggi coinvolti nella guerra tra Germania e Unione Sovietica, ha vinto nel 2005 il National Book Award per la narrativa.
Nel 2008, Vollmann ricevette lo Strauss Living Award, una borsa quinquennale che gli fruttò 50 000 dollari all'anno, non tassati. Nel 2009, Vollmann pubblicò Imperial, un saggio sulla vita nella Contea di Imperial in California, vicino al confine col Messico.
Nel 2010, Vollmann pubblicò uno studio sul teatro Nō giapponese intitolato Kissing the Mask: Beauty, Understatement, and Femininity in Japanese Noh Theater.
Vollman sperimentò per la prima volta la pratica del crossdressing nel 2008 e, da allora, ha sviluppato un alter ego chiamato Dolores del quale scrisse in The Book of Dolores del 2013 («Dolores è una donna relativamente giovane intrappolata in questo grasso, senescente corpo maschile. Le ho comprato un po' di vestiti, ma non sembra averli apprezzati. Si libererebbe volentieri di me, se potesse.»)
Nella vita privata, Vollmann rifiuta la fama letteraria e l'utilizzo di dispositivi moderni quali cellulari e carte di credito e viene talvolta descritto come misantropo e schivo.
In un saggio per Harper's Magazine del 2013, intitolato Life as a Terrorist, Vollmann rivelò quanto il sentimento verso i temi di "anti-progresso, anti-industrializzazione" dei primi lavori abbia cambiato la sua vita. Utilizzando i file ufficiali, ottenuti attraverso il Freedom of Information Act, il saggio descrive l'investigazione che l'FBI condusse sullo stesso Vollmann nella metà negli anni novanta, ritenendolo sospettato nel caso Unabomber.
Minimum fax ha pubblicato finora: I fucili, La Camicia di Ghiaccio, Afghanistan Picture Show, I poveri, Storie della farfalla, Storie dell’arcobaleno, Come un’onda che sale e che scende, L’atlante e Puttane per Gloria



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