mercoledì 22 gennaio 2025

Daniele Cellamare (a cura di) - RUSSIA - Les Flaneurs edizioni

 
a cura di Daniele Cellamare
RUSSIA
dalla Federazione alla Democrazia Sovrana

nterventi di Franco Dagianti, Maurizio Moresi, Maria Cristina Di Pietro, Mariangela Mutti
Les Flaneurs edizioni
Quaderni di Geopolitica, vol. 8
febbraio 2025
pp. 103, euro 13


Con la sua vasta estensione territoriale tra Europa e Asia, la Fededrazione Russa è stata protagonista della storia dell’Europa fin dal secolo XVIII e ancora oggi rimane uno degli attori principali dell’intero sistema internazionale.
Dopo la privatizzazione del settore pubblico e l’apertura al libero mercato, le riforme intraprese in seguito alla dissoluzione sovietica, con la relativa crisi economica, negli anni Novanta la Russia ha dovuto affrontare conflitti armati nel Caucaso del nord e scontri etnici contro le insurrezioni degli islamisti separatisti.
Secondo la maggior parte degli osservatori, nell’ultimo decennio la politica russa ha subito una sostanziale involuzione autoritaria dettata da Vladimir Putin, l’uomo che il 24 febbraio 2022 ha ordinato l’invasione dell’Ucraina per garantire la pace e la sicurezza per le repubbliche secessioniste di Lugansk e Doneck.
Tra molte complessità, il Quaderno si propone di analizzare le principali caratteristiche sociali e politiche della Federazione e di indagare la figura del suo leader, alimentata da un vasto consenso popolare e dal controverso concetto di “democrazia sovrana”. 

L'incipit
Il sol dell’avvenire
La Federazione Russa
Maurizio Moresi
La Federazione Russa nasce ufficialmente nel 1991 dal processo di disgregazione dell’impero sovietico che coinvolse il sistema politico, economico e l’intera struttura sociale dell’Urss – in un periodo compreso tra il 19 gennaio 1990 e il 31 dicembre 1991 – che ha portato alla scomparsa dell’Unione Sovietica e all’indipendenza delle Repubbliche sovietiche e delle Repubbliche baltiche, favorendo così la nascita dei cosiddetti stati post-sovietici. Infatti, già nel 1985 con l’elezione di Michail Gorbačëv quale segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (Pcus) era iniziata una nuova fase nella storia dell’Urss. Gorbaciov comprese fin da subito l’urgenza di riformare radicalmente il sistema sovietico e cercò di democratizzare la vita economica e politica del paese. In un discorso tenuto al XXVII congresso del Pcus, nel mese di febbraio del 1986, presentò un’analisi impietosa del degrado politico, economico, tecnologico e morale del paese. Le sue riforme – sintetizzate nelle parole peresrtojka (ristrutturazione) e glasnost (trasparenza) – furono l’estremo tentativo di salvare lo Stato multinazionale sovietico che segnava il passo nei confronti dei concorrenti occidentali e al tempo stesso stava crollando sotto il peso dell’inefficienza. Il rinnovamento prevedeva la privatizzazione di molti settori economici statali, la libertà d’informazione, la riduzione del controllo militare e politico sui paesi satelliti e nuovi trattati con gli Stati Uniti per il disarmo dei missili. Il riformismo illuminato di Gorbaciov, però, non piacque né ai conservatori del partito, né ai progressisti radicali che volevano scrollarsi di dosso una volta per tutte il potere sovietico. “I suoi tentativi di riforma finirono per accelerare il collasso del sistema produttivo e per peggiorare la già grave situazione degli approvvigionamenti. Durante il suo governo, Gorbaciov ebbe il merito di contribuire alla fine della guerra fredda ed alla caduta del muro di Berlino acconsentendo alla riunificazione delle due Germanie, ottenendo in cambio dall’allora cancelliere tedesco Helmuth Kohl che le basi Nato non avrebbero avanzato neanche di un centimetro nei territori ex Urss6”.
Per il contributo dato, Gorbaciov nel 1990 ottenne il Nobel per la pace. I successi ottenuti in politica estera non andarono però di pari passo con i successi interni dell’Urss. Infatti, la sua politica di democratizzazione portò all’emersione di quei problemi economici dello Stato che fino ad allora erano stati tenuti nascosti. La fine della rigida politica di repressione interna, la recessione economica e l’ammissione della fragilità del sistema politico fecero emergere ben presto i contrasti socio politici, gli odi razziali e le spinte indipendentistiche dei numerosi popoli che erano stanziati nello sterminato territorio dello Stato sovietico, e che fino a quel momento erano stati tenuti sotto controllo dall’apparato centrale. La grave situazione economica e i crescenti disordini nelle varie repubbliche sovietiche portarono alle prime elezioni multipartitiche nella storia dell’Unione. La Lituania fu la prima repubblica sovietica a sfidare Mosca dichiarandosi indipendente, nel marzo del 1990. Il governo centrale reagì imponendo pesanti sanzioni economiche ma non riuscì a dissuadere il piccolo paese, che si sentiva da sempre culturalmente e politicamente estraneo all’Unione Sovietica. “Seguì una repressione militare dagli effetti chiaramente controproducenti, il massacro di Vilnius del 13 gennaio 1991, che vide l’esercito sovietico sparare sui manifestanti lituani causando morti e feriti, segnò l’inizio dell’involuzione autoritaria e il declino di Gorbaciov, ormai ostaggio delle forze più retrive del Partito comunista”. Mentre a Mosca una folla immensa protestava contro la repressione, in solidarietà con le vittime, anche Lettonia ed Estonia si dichiaravano indipendenti, seguendo l’esempio lituano. L’Unione Sovietica cominciava a perdere pezzi e nel tentativo di proteggerne l’integrità territoriale, Gorbaciov indisse un referendum sulla conservazione dell’Urss, che ebbe apparentemente successo (il “sì” vinse con circa il 78% dei voti). L’iniziativa fu però segnata dal boicottaggio di Armenia, Georgia, Moldavia e delle tre repubbliche baltiche, che si rifiutarono di partecipare al voto per sottolineare il loro desiderio di indipendenza. Per cercare di salvare l’Urss, e soddisfare al tempo stesso le aspirazioni autonomiste, si avviarono subito negoziati tra Mosca e le singole repubbliche. Ma nel frattempo anche il nazionalismo russo più radicale aveva trovato il suo leader indiscusso: Boris Eltsin. Nominato presidente del Soviet supremo della repubblica russa nel maggio del 1990, Eltsin si schierò per la sovranità russa, dimettendosi dal Pcus. L’anno dopo, il 12 giugno 1991, venne eletto presidente della repubblica nelle prime elezioni libere del paese. Lui e Gorbaciov diventarono i protagonisti del braccio di ferro tra le spinte indipendentiste e la conservazione di quel che rimaneva del sistema sovietico. Sentendosi venir meno il terreno sotto i piedi, il 19 agosto 1991 i comunisti conservatori, appoggiati da alcuni alti ufficiali, tentarono un colpo di stato per esautorare Gorbaciov e salvare l’Urss: in realtà ne accelerarono il collasso, favorendo l’ascesa di Eltsin.

Daniele Cellamare (1952) è stato docente presso la facoltà di Scienze Politiche della Sapienza di Roma e presso il Centro Alti Studi per la Difesa. È stato direttore dell’Istituto Studi Ricerche e Informazioni della Difesa. Ha collaborato con emittenti televisive nazionali e con diverse testate nazionali e straniere. Attualmente è consulente per le attività culturali dell’Agenzia Generale Treccani di Roma ed è responsabile del gruppo di analisti “Doctis Ardua” per la stesura di saggi di carattere geopolitico. Appassionato di studi sulla Storia Militare, ha pubblicato diversi romanzi storici: La Fortezza di Dio, La Carica di Balaklava, Gli Ussari Alati, Il drago di Sua Maestà, Gli artigli della Corona, Delitto a Dogali.

Nessun commento:

Posta un commento