Alexandre Vialatte
I FRUTTI DEL CONGO
(titolo originale Les fruits du Congo, Gallimard 1951)
traduzione: Gabriella Bosco
Prehistorica Editore
Collana Ombre Lunghe
pp. 400, Euro 20
ISBN 9788831234368
I Frutti del Congo, è innanzitutto un volantino pubblicitario di una magnifica donna nera che porta con sé dei limoni d’oro. Ma anche i sogni degli scolari di una cittadina della montagnosa Alvernia, per i quali questa illustrazione simboleggia l’impresa estrema, la poesia stessa dell’esistenza.
Cos’è del resto l’adolescenza? Proprio questa è la questione cui l’autore risponde, senza di fatto avere bisogno di rispondere, in questo romanzo. Vialatte infatti ci mostra l’adolescenza, con le sue stravaganze, le sue sublimi aspirazioni, i suoi amori febbrili; ci mostra al tempo stesso una città di provincia con le sue kermesse, il suo assassino, il suo dottore, il liceo e la piazza.
Ode alla poesia del quotidiano, alla creatività e all’evasione, ma anche dura critica della società di consumo, I Frutti del Congo si dà come “uno dei più grandi romanzi francesi del XX secolo” – secondo il critico Pierre Jourde –, il capolavoro dell’avventura immaginata. Si tratta di un’opera dall’ambizione altissima, fulgida metafora della Letteratura.
L'incipit
Se qualcuno diceva al dottor Peyrolles che comunque ci vuole una cintura per tener su i pantaloni, lui rispondeva che i selvaggi non ne portano e così non soffrono mai di varici. E se lo si rimproverava per aver messo come copricapo a suo nipote una bombetta, rispondeva che il cilindro fa troppo cerimonia per un bambino e che il cappello floscio tutti lo considerano eccessivamente sciatto. E ffiniva dicendo: «Cos’altro gli si può mettere?» Quando aveva saputo che era morta la sua povera sorella, già vedova di Monsieur Lamourette, direttore della banda musicale della fanteria d’ordinanza ucciso nel 1914, era in uno chalet sulle Alpi. Miss Cavendish stava dipingendo la Jungfrau dal suo lato più simmetrico, al tramonto e con dei #orellini in primo piano. Pur veloce, quando arrivò sul posto suo nipote era già lì. Lo trovò sotto la scala del vestibolo che sembrava un ombrello, grondante sulle piastrelle del corridoio. Il dottore non era abituato ai bambini e trattò suo nipote come una malattia. Gli girò intorno (sollevando i piedi per via delle pozzanghere) e lo auscultò. Trovò che era di costituzione eccellente. Gli fece mettere dei vestiti asciutti. Lo baciò, gli tolse ogni sorta di cintura, bretelle e altre giarrettiere che sono dannose per la circolazione del sangue, poi lo guardò dalla testa ai piedi, alla distanza da cui si valuta un quadro, e si chiese cosa mancasse ancora. Il berretto del piccolo, appeso all’attaccapanni, gocciolava sul pavimento. Il dottore decise di comprargli un copricapo asciutto. Portò il giovanotto da Piéprat, il miglior cappellaio della città, il cui figlio era una vittima celebre dell’aviazione, e chiese «un cappello asciutto per un bambino». Gli venne proposta una bombetta. Disse: «Va bene, ma che sia una bombetta molto asciutta. E gliene dia una di misura giusta per la sua età.» Fred uscì dunque dal negozio con il modello più costoso, foderato di seta bianca e con una scritta dorata all’interno che diceva «best quality». Monsieur Piéprat aveva assicurato che era un modello «che calzava molto bene». Ora che il nipote era asciutto e il vestibolo anche, il dottore non seppe più cosa fare. Mariette, la vecchia domestica di famiglia, trovò il bambino un po’ manierato. Rimproverò il padrone di avergli scelto un copricapo forse troppo da adulto. – Gli dona! assicurò il dottore. C’è sempre bisogno di qualcosa sulla testa. Con la sua statura, quel ragazzo può portare qualunque cappello. Cosicché Frédéric fu condannato alla bombetta. Quel copricapo gli fece grandemente onore per tutto l’anno in cui frequentò la terza. In un primo tempo lo portò con vergogna, poi ci si abituò come a una malattia cronica. Quanto al dottore, scrisse immediatamente a Miss Cavendish, sul retro di una cartolina che raffigurava l’Avenue de la Gare, per spiegarle che la vita comporta delle svolte decisive nelle quali a volte si scopre sotto la scala del vestibolo un nipote che bisognerà tenere asciutto per tutta la vita. Quell’uomo brusco credeva in Dio, e ciuffi di peli grigi gli uscivano dalle orecchie; in poche parole, era un tenero. Il risultato fu che Fred, che non aveva i fianchi, si avviò verso l’esame di maturità, con un cappello da caporeparto, e tenendosi su i pantaloni con entrambe le mani.
Divenuto celebre per aver fatto conoscere per primo ai francesi le opere di Kafka, e per avere tradotto autori del calibro di Nietzsche, Goethe, von Hoffmannsthal, Mann, Brecht, Alexandre Vialatte (1901 Magnac-Laval – 1971 Parigi) ha nel corso degli anni dato prova di un’immensa creatività artistica, che lo ha portato a spaziare dalla poesia alla cronaca letteraria, per arrivare al romanzo. Ha pubblicato presso alcune delle più prestigiose case editrici d’oltralpe, tra le quali Gallimard e Juillard. Oggi, è universalmente annoverato dalla Critica nella categoria dei grandi classici senza tempo.
Gabriella Bosco, la traduttrice di questo libro, insegna letteratura francese all'Università di Torino. Si occupa di teoria della letteratura, stadiando in particolare le neo-avanguardie e le scritture narrative in prima persona. Scrive di letteratura su varie testate italiane e francesi. Traduce romanzi e saggi. Tra gli autori tradotti Eugène Ionesco, Samuel Beckett, Philippe Forest.
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