sabato 26 ottobre 2024

Maria Teresa Cometto, Glauco Maggi - QUI NON E' NEW YORK - Neri Pozza

 
Maria Teresa Cometto, Glauco Maggi 
QUI NON E' NEW YORK
100 giorni nell'America profonda

Neri Pozza, Collana I Colibrì
ottobre 2024
pp. 272, Euro 20
ISBN 9788854531123

Due inviati speciali italiani, marito e moglie che da un quarto di secolo vivono a New York, raccontano gli Stati Uniti in due viaggi in auto coast-to-coast. Il primo è da New York a Portland (Oregon) e ritorno, su due diverse rotte lungo gli stati settentrionali. Il secondo, da New York a San Diego (California), scendendo prima in Georgia lungo l’Atlantico e attraversando poi gli stati meridionali. In tutto 32mila chilometri, 17 parchi nazionali e oasi naturali. È la scoperta dell’«Altra America», la più lontana dai luoghi battuti dai turisti italiani, ma la più vicina al cuore vero della grande nazione, ben diversa da quella che si legge o si vede abitualmente sui media mainstream. Ci sono tanti luoghi «innaturali», come le foreste del Washington State con i pini cresciuti sui tronchi degli alberi segati un secolo e mezzo fa per costruire la Ferrovia del Grande Nord. Siti storici leggendari, come The Lost Colony, la colonia inglese fondata nel 1585 sull’isola di Roanoke, North Carolina, e misteriosamente scomparsa. Curiosità architettoniche, come il campus della Università del Texas a El Paso, disegnato come i templi del Buthan. Paesaggi unici, come i crateri della Luna in Idaho. Laghi e monti che hanno ispirato grandi scrittori, come quelli del Michigan per Hemingway. Bellezze inattese, come il Crystal Bridges Museum immerso nei boschi di Bentonville, Arkansas, la capitale del gigante dei supermercati Walmart. Ma soprattutto ci sono tante situazioni, idee, umanità. Testimonianze del passato più buio dell’America, come il nuovo Museo del linciaggio a Montgomery, Alabama. Squarci di speranza come la storia di Opal Lee, la novantaseienne afroamericana che da Fort Worth, Texas, ha marciato fino a Washington per rendere festa nazionale il giorno della liberazione dalla schiavitù. E innumerevoli pezzi d’Italia, senza contare i tantissimi italiani di nuova immigrazione incontrati ovunque, come gli scienziati del nasa Jet Propulsion Laboratory a Pasadena, California, o gli insegnanti della nostra lingua, considerata cool nei campus universitari delle città più sperdute.

«No. L’America non è quella di Julia Roberts, di Meryl Streep, di George Clooney e men che meno quella di Woody Allen. L’America non è più, e forse non è mai stata, quella dell’assalto alla scalinata di Columbia, almeno come noi l’abbiamo interpretata. L’unico che forse l’ha capita è stato Pasolini».
Fabio Finotti, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di New York

Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi sono giornalisti e autori italiani, moglie e marito a New York dal 2000 e cittadini Usa dal 2018. Sono co-autori di Figli e Soldi (Sperling & Kupfer) ed entrambi vincitori del Premio Giornalistico Amerigo, assegnato ai reporter che raccontano gli Stati Uniti al pubblico italiano. Cometto scrive per il Corriere della Sera e ha pubblicato, fra gli altri, i libri Emma e l’Angelo di Central Park (Neri Pozza 2022), La Marchesa Colombi. Vita, romanzi e passioni della prima giornalista del Corriere della Sera (Solferino), 
Due montanari. Arturo e Oreste Squinobal, dalle Alpi all’Himalaya (Corbaccio). Maggi scrive di politica ed economia per La Stampa, Investire, Money.it e La Voce di New York. Ha pubblicato, fra l’altro, Il guerriero solitario. Trump e la Mission Impossible (Mind) e Obama dimezzato (Boroli).

Damon Galgut - LA PREDA - e/o

 
Damon Galgut
LA PREDA
(titolo originale The quarry,1995, 2004)
traduzione di Tiziana Lo Porto
edizioni e/o
collana Dal Mondo
ottobre 2024
pp. 160,  €17,00
ISBN 9788833578019



«Un piccolo capolavoro. La preda è raccontato in una prosa cristallina, ogni parola conta, la trama e i personaggi sono assolutamente avvincenti… Uno dei romanzi migliori che abbia letto negli ultimi tempi». Sunday Herald

«La preda ha la stessa qualità arida e selvaggia del Buon dottore… I temi della colpa, dell’ingiustizia e della redenzione conferiscono al romanzo un aspetto biblico. La scrittura risplende nella sua visione periferica, nei fondali e negli angoli dei suoi scenari». Los Angeles Times

In un tratto di strada solitario, un uomo senza nome commette un omicidio. La vittima è un parroco in viaggio verso una città vicina che sarà la sua nuova parrocchia. Quando l’assassino decide di rubare l’identità del prete, il suo primo incarico ufficiale è seppellirne il corpo, appena ritrovato in una cava dismessa. Ma il capo della polizia locale si interessa sempre più al lavoro del nuovo ministro: osserva, ascolta, gira lentamente intorno alla sua preda.
Nella Preda, Damon Galgut arricchisce del potere del mito la sua prosa accurata creando un dramma devastante e dal climax insostenibile.

Damon Galgut è nato a Pretoria. Nel 2013 è stato inserito nell’American Academy of Arts and Letters. Le Edizioni E/O hanno pubblicato In una stanza sconosciuta, selezionato per il Man Booker Prize, Estate artica, La promessa, vincitore del Booker Prize 2021, Il buon dottore, con il quale ha vinto il Commonwealth Writers Prize (per l’Africa) ed è stato selezionato per il Man Booker Prize, e L’impostore. Vive a Città del Capo, in Sudafrica.

venerdì 25 ottobre 2024

Paolo Cortesi - MEDIUM & GERARCHI - Manzoni


Paolo Cortesi
MEDIUM & GERARCHI
Metapsichica e spiritismo in Italia durante il Regime Fascista

Manzoni editore
2024
pp.200, euro 20
ISBN 979 1280635433

La metapsichica (oggi si preferisce il termine parapsicologia) fu un argomento frequente durante il regime fascista. Durante la dittatura, ci fu un nuovo grande interesse verso lo spiritismo; si organizzarono convegni ufficiali sulla radiestesia; uscirono libri con le sedicenti comunicazioni dall’al di là. Il legame tra regime e indagatori dell’occulto fu continuo e circolare: i metapsichisti dichiaravano la loro fede fascista, il regime riconosceva ufficialmente la realtà dei fenomeni e il valore delle ricerche. Nel ventennio, i metapsichisti italiani furono fascisti, nella colpevole illusione che lo spirito di cui essi parlavano fosse lo stesso di cui parlava Mussolini; ma non era così: alla pacifica umanità di fratelli, uguali e liberi nella ricerca dell’Assoluto, il fascismo opponeva una massa di docili esecutori sottoposti alla guerresca volontà del capo.
L’insanabile diversità giunse inevitabilmente alla crisi, e il regime non tardò a proibire certi volumi e a sciogliere certe associazioni; soprattutto dopo il 1938, l’anno delle leggi razziali, quando la metapsichica fu ritenuta, dai fascisti più feroci, una subdola creazione ebrea a danno degli ariani.
Questa ricerca, basata tutta ed esclusivamente su fonti documentarie di prima mano, ricostruisce vicende e figure di un momento significativo della storia culturale e politica del nostro paese.

Paolo Cortesi (1959) è scrittore e saggista. Si è occupato soprattutto di divulgazione storica (l’ultimo libro pubblicato è Cinquanta cose che non sai di Parigi, Intermedia edizioni, 2024); ma ha prodotto anche ricerche originali (L’officina di Nostradamus, Carocci editore, 2018). Il suo più recente romanzo è L’ultimo incubo di Kafka (Newton & Compton, 2021). Ha scritto i testi delle venti puntate delle due serie del programma Testimoni, trasmesso da Rai Storia.   




Louis Goldman - AMICI PER LA VITA - Giuntina

 

Louis Goldman
AMICI PER LA VITA
Traduzione di Anna Cursi Li Volsi
Prefazione di Sara Funaro
Postfazione di Vincenzo Russo
Giuntina, Collana Vite
ottobre 2024
pp. 384, € 18
ISBN 9791255690542


Diario, confessione, cronaca familiare, narrazione di anni drammatici, quelli della Seconda guerra mondiale e della persecuzione nazifascista. Il libro di Louis Goldman racconta l’adolescenza dell’autore, le peripezie e le fughe, il rifugio presso l’Opera della divina provvidenza Madonnina del Grappa a Firenze, le vicissitudini interiori di un ragazzo che vede la propria vita e quella della propria famiglia improvvisamente sconvolte.
Amici per la vita è l’avvincente resoconto di un tenace istinto di sopravvivenza, ma dalle sue pagine viene fuori un’Italia onorevole nei confronti degli ebrei, anche stranieri, negli anni tragici della Shoah. Nelle pagine del libro, infatti, emergono episodi di fraternità e di altruismo. Soprattutto si stagliano figure nobilissime di prelati: come il cardinale di Firenze Elia Dalla Costa, monsignor Facibeni, il coraggioso e combattivo monsignor Leto Casini vero fulcro della resistenza antifascista, tutti del clero toscano. E a qualche centinaio di chilometri di distanza l’opera non meno meritoria di don Angelo Dalla Torre e monsignor Giovanni Simioni in quella parte del racconto che si svolge nel trevigiano. Questo libro rappresenta un importante documento storico ed è un atto di profonda riconoscenza verso questi sacerdoti che l’autore considera – come dice il titolo – «amici per la vita».

Louis Goldman è nato in Germania da genitori polacchi ed è cresciuto a Parigi. Aveva diciotto anni nel 1943 quando la famiglia fuggì oltre le Alpi in Italia. Catturati in un raid delle S.S. naziste a Firenze, Louis e suo fratello Harry riuscirono coraggiosamente a fuggire. Il padre, Pinkus, fu deportato ad Auschwitz. Dopo la guerra Louis diventerà un affermato fotografo negli Stati Uniti.


Salvatore Giuffrida - MOLDOVA, TERRA DI FRONTIERA - Infinito edizioni

 
Salvatore Giuffrida
MOLDOVA, TERRA DI FRONTIERA
Un Paese al bivio tra Russia e Occidente

Prefazione di Paolo Bergamaschi
Infinito edizioni
2023
pp. 100, € 14,00 
ISBN 9788868616922

Sul tema dei rapporti tra Moldova e Ue ecco un passaggio tratto dal libro del giornalista Salvatore Giuffrida dal titolo Moldova, terra di frontiera. Un Paese al bivio tra Russia e Occidente, un testo importante per conoscere la storia di un Paese a lungo considerato terra di confine, in realtà il laboratorio dell’Europa, nemesi del Novecento e dei suoi tanti nodi ancora irrisolti.
“I dati parlano chiaro. La Moldova è al 65esimo posto tra i partner commerciali dell’Ue, con un fatturato totale di circa 7,2 miliardi di euro nel 2022, anno in cui le esportazioni dell’Unione verso la Moldova ammontavano a 4,7 miliardi di euro, con un aumento di circa il 23 per cento rispetto al 2021: un dato destinato a salire. L’Ue esporta sostanzialmente macchinari e prodotti dell’industria chimica e importa da Chisinau prodotti minerari e macchinari, ma un asset fondamentale per la Moldova è l’economia legata alla sua industria vinicola, già colpita pesantemente dai due embarghi imposti dalla Russia nel corso degli anni Duemila. Ebbene, è ancora presto per parlarne ma l’ingresso nell’Ue non sarà indolore per i piccoli produttori di vino, che dovranno rispettare quote di produzione e concorrenza nel mercato nazionale di altri Paesi con ben altre risorse come Francia, Italia, Spagna. Un settore nel quale la Moldova ha ampie prospettive di crescita è invece l’innovazione tecnologica. In un paper pubblicato di recente, la Commissione Europea spiega che al momento “la Moldova è al 56esimo posto nell’Indice globale dell’innovazione, otto posizioni in più rispetto all’anno precedente, e ha attivato diversi incentivi all’innovazione, come il Moldova Innovation and Technology Park. Il settore IT sta attualmente guidando la crescita e il Paese spera che i giovani e brillanti moldavi [laureati all’estero, N.d.a.] decidano di tornare a casa. Inoltre, sono state attuate diverse misure di investimento sostenibile, che attirano gli investitori grazie alla facilita di fare affari, agli accordi commerciali chiave e alle zone economiche libere”.

Salvatore Giuffrida (Roma, 1977), laureato in Scienze Politiche, giornalista, ha collaborato con alcune testate italiane e straniere, tra cui Radio Vaticana. Dal 2015 scrive per la Repubblica, dove si occupa di cronaca romana, inchieste e reportage. Nel 2019 ha ricevuto il premio Legalità dal Comune di Fiumicino e ha collaborato alla realizzazione del documentario Ostia Criminale per il canale Nove Tv e Discovery+. Per Infinito edizioni ha preso parte al libro I dimenticati curando la parte relativa a usura e precariato durante la pandemia e nel 2020 ha pubblicato La Mano nera. L’usura raccontata da chi è caduto nelle mani di strozzini e clan (con Luigi Ciatti).


Hans C. Hönes - UN GROVIGLIO DI SENTIERI - Johan & Levi

 
Hans C. Hönes
UN GROVIGLIO DI SENTIERI
Vita di Aby Warburg
(titolo originale Tangled Paths: A Life of Aby Warburg, 2024)
50 immagini in b/n
Johan & Levi
ottobre 2024
pp. 296, Euro 40
ISBN 9788860103635


«Ebreo di sangue, amburghese di cuore, d’anima fiorentino»: così amava definirsi Aby Warburg (1866-1929), con una formula che rende bene l’ossessiva ricerca di sé, coltivata attraverso l’autonarrazione, e gli importanti cambi di rotta che hanno segnato il suo percorso. Se oggi è riconosciuto come uno dei più influenti storici dell’arte e della cultura del XX secolo, lo è a dispetto di una salute mentale precaria e di una vita da “fuorilegge”, convinto che il vero acume appartenga solo a chi è pronto a deviare dalle aspettative ordinarie della società.
Dopo aver rinunciato al ruolo di primogenito nella famiglia di banchieri più facoltosa della Germania e aver rinnegato l’ortodossia ebraica, Aby insegue le proprie intuizioni e intraprende un vagabondaggio nel mondo dei simboli che lo porta dal selvaggio West fino nel cuore del Rinascimento, a Firenze. Studioso indipendente, libero pensatore, insofferente verso la struttura compartimentale dell’università ma in dialogo con gli intellettuali più evoluti del suo tempo, Warburg inaugura una metodologia olistica, che integra l’indagine storico-artistica con scienze quali l’antropologia, la medicina e la psicologia. Questo approccio interdisciplinare guida le sue ricerche sulla sopravvivenza dell’antico – condensate nella sua celebre opera incompiuta Atlante Mnemosyne – e la creazione della sua straordinaria biblioteca, oggi conservata presso il Warburg Institute di Londra, prezioso punto di riferimento per gli accademici di tutto il mondo.
Hans C. Hönes restituisce un ritratto dettagliato e intimo di un uomo che, nonostante le innumerevoli difficoltà umane e professionali, ha saputo anticipare i tempi gettando le basi della contemporanea storia dell’arte.
 
Hans C. Hönes, studioso esperto di arte e storiografia artistica del XVIII e del XIX secolo, si è interessato in particolare a temi quali la ricezione del classico, la ricerca delle “origini” dell’arte e il rapporto tra arte e climatologia. Professore di storia dell’arte presso l’università di Aberdeen, ha insegnato al Courtauld Institute e ricoperto ruoli di docente e ricercatore per il Warburg Institute e lo University College a Londra. È autore di saggi sull’antiquariato e di una monografia su Heinrich Wölfflin.


AES: «Auspicabile una revisione per l’acquisto libri». Gli editori chiedono alla Regione di modificare le soglie del finanziamento


Bene la volontà di valorizzare la cultura e l’editoria regionale in un momento difficile del comparto, ma con alcuni correttivi che rendano ancora più efficace un provvedimento positivo. Così l’AES - Associazione Editori Sardi commenta l’iniziativa della Giunta che ha stanziato 1,8 milioni per l’acquisto di libri destinato alle biblioteche di ente locale come sostegno delle librerie del territorio e dell’editoria sarda in particolare. La norma regionale, che riprende lo schema del cosiddetto Fondo Biblioteche istituito nel 2020 dall’allora ministro Franceschini, introduce l’obbligo di impiegare il 30% delle risorse per l’acquisto di libri editi in Sardegna, applicando così un vincolo di salvaguardia rispetto alla misura nazionale. Tuttavia, l’impegno a sostenere la filiera del libro avrebbe una maggiore incidenza se la percentuale fosse una clausola di garanzia e non un tetto massimo di spesa, come pare, in modo da consentire alle biblioteche la facoltà di superare anche tale soglia.
Inoltre, considerato che l’accesso delle biblioteche al fondo avverrà per mezzo di acquisti da effettuarsi interamente nelle librerie sarde, anziché sul 70% come accadeva per il decreto Franceschini, è un dato oggettivo che le risorse regionali destinate agli editori sardi saranno fortemente ridimensionate nella loro entità rispetto a quanto previsto dalla RAS. Tenuto infatti conto dei margini della distribuzione (55% sul prezzo di copertina), si arriva a una stima di circa 243mila euro, da dividersi tra una trentina di case editrici locali, nell’ipotesi che tutte le aziende - come non sarà - traggano uguale beneficio dall’applicazione della norma. La restante somma di 1,53 milioni andrebbe viceversa a beneficio della filiera (librerie sarde e distribuzione, regionale e nazionale) e dell’editoria nazionale, massimamente quella rappresentata dai grandi gruppi editoriali. In questo modo si riduce sensibilmente il sostegno a un comparto produttivo che, in una regione come la nostra, meriterebbe un impegno più forte e deciso, soprattutto in un momento di grande fragilità.
Pur riconoscendo che questa misura rappresenta un importante supporto per un settore in difficoltà e un’azione preziosa per il rilancio della cultura locale, i tempi stretti per l’impiego dei fondi che devono essere spesi entro l’anno rendono necessario un dialogo diretto con gli editori per un impiego oculato delle risorse e un loro soddisfacente utilizzo. In ogni caso, gli editori dell’AES si impegnano a promuovere l’offerta culturale dell’isola e a favorire un dialogo efficace con le biblioteche, sempre a sostegno del pluralismo.

giovedì 24 ottobre 2024

Giangiacomo Schiavi - UN GENIO ALL'OPERA - Francesco Brioschi

 
Giangiacomo Schiavi
UN GENIO ALL'OPERA
Luigi Illica, una cita da Bohème

Francesco Brioschi Editore
ottobre 2024
pp. 192, Euro 22
ISBN 9791255660170

Una vita da romanzo nella Milano scapigliata di fine Ottocento, il giornalismo d’assalto a Bologna insieme a Giosuè Carducci, un ruolo decisivo nella scrittura di Bohème, Tosca e Madama Butterfly, capolavori di Giacomo Puccini. Di Luigi Illica si conoscevano la storia avventurosa e l’estro del librettista, un po’ meno si sapeva delle battaglie sociali contro lo sfruttamento delle donne e il capitalismo rapace nell’Italia di fine secolo.
Prendendo spunto da documenti inediti, questo libro rivaluta un personaggio che ha attraversato il suo tempo portando idee moderne e innovative, capace di cambiare il linguaggio musicale e teatrale, superando la ritrosia di una critica non sempre benevola. In coppia con Giuseppe Giacosa, Illica ha rappresentato un modello nuovo per la musica destinato a fare scuola, e ha addirittura anticipato l’invenzione del cinegiornale.

Giangiacomo Schiavi, giornalista, è stato vicedirettore e capocronista del Corriere della Sera. Tra i suoi libri Meno Male (Sperling & Kupfer, 2018), Il mistero della notte (La nave di Teseo, 2020), Scoop (Antiga, 2022). Per un’inchiesta sulle periferie nel 2007 ha ricevuto l’Ambrogino d’oro dal Comune di Milano. Dirige la rivista Città e sul Corriere cura la rubrica di dialogo “Noi cittadini”.

Anna Szyszko-Grzywacz - LA MIA VITA NEL GULAG - Guerini e Associati

 
Anna Szyszko-Grzywacz
LA MIA VITA NEL GULAG
Memorie da Vorkuta 1945-1956

A cura di Luca Bernardini
In collaborazione con Memorial Italia
Guerini e Associati
ottobre 2024
pp. 192, € 21,50
ISBN 9788862508827


Una testimonianza al femminile sull’universo del Gulag e sugli orrori del totalitarismo sovietico.
Arrestata nel 1945 a 22 anni per la sua attività nell’AK (Armia Krajowa), l’organizzazione militare clandestina polacca, Anna Szyszko-Grzywacz viene internata nel lager di Vorkuta, nell’Estremo Nor della Siberia, dove trascorre 11 anni. Nella ricostruzione dell’esperienza concentrazionaria, attraverso una descrizione vivida ed empatica delle dinamiche interpersonali tra le recluse e della drammatica quotidianità da loro vissuta, narra con semplicità e immediatezza la realtà estrema e disumanizzante del Gulag. Una realtà dove dominano brutalità e sopraffazione e dove la sopravvivenza per le donne, esposte di continuo alla minaccia della violenza maschile, è particolarmente difficile. Nell’orrore quotidiano raccontato da Anna Szyszko-Grzywacz trovano però spazio anche storie di amicizia e solidarietà femminile, istanti di spensieratezza ed emozioni condivise in una narrazione in cui alla paura e alla dolorosa consapevolezza della detenzione si alternano le aspettative e gli slanci di una giovane donna che non rinuncia a sperare, malgrado tutto, nel futuro.

Anna Szyszko-Grzywacz nasce il 10 marzo 1923 nella parte orientale della Polonia, nella regione di Vilna (Vilnius). Entra nella resistenza nel settembre 1939 come staffetta di collegamento. Nel giugno 1941 subisce il primo arresto da parte dell’NKVD e viene rinchiusa nella prigione di Stara Wilejka. Nel luglio 1944 prende parte all’operazione «Burza» a Vilna come infermiera da campo. Dopo la presa di Vilna da parte dei sovietici i membri dell’AK, che rifiutano di arruolarsi nell’Armata Rossa, vengono arrestati e internati a Kaluga. Rilasciata, Anna Szyszko cambia identità, diventando Anna Norska, e si unisce a un’unità partigiana della foresta come tiratrice a cavallo in un gruppo di ricognizione. Arrestata dai servizi segreti sovietici nel febbraio 1945, viene reclusa dapprima a Vilna nel carcere di Łukiszki, e poi a Mosca alla Lubjanka e a Butyrka. In seguito alla condanna del tribunale militare a 20 anni di lavori forzati, trascorre 11 anni nei lager di Vorkuta. Fa ritorno in patria il 24 novembre 1956 e nel 1957 sposa Bernard Grzywacz, come lei membro della Resistenza polacca ed ex internato a Vorkuta, con cui aveva intrattenuto per anni all’interno del lager una corrispondenza clandestina. Muore a Varsavia il 2 agosto 2023, all’età di 100 anni.



mercoledì 23 ottobre 2024

Tillie Olsen - FAMMI UN INDOVINELLO - Marietti 1820

 
Tillie Olsen
FAMMI UN INDOVINELLO
(titolo originale Tell Me a Riddle, Philadelphia, Lippincott, 1961)
prefazione di Laurie Olsen
introduzione di Rebekah Edwards
traduzione di Giovanna Scocchera
Marietti 1820
Collana Gli Zefiri n.1203
ottobre 2024
pp. 164, euro 17,80
EAN  9788821175466


Pubblicati per la prima volta nel 1961, i racconti contenuti in Fammi un indovinello sono diventati un classico della letteratura nordamericana del Novecento. Un’opera snella ma potente, che per la prima volta esplorava temi vicini alle donne della working class, problemi comuni fin lì mai detti o rimasti inascoltati: la maternità delle madri single, il legame madre-figlia, il rapporto coniugale della vecchiaia, dentro un mondo narrativo che coglie senza indulgenza tutta la desolazione della realtà contemporanea, l’oppressione, la miseria, ma anche la forza positiva del ricordo, della ricerca del sé e della sua realizzazione. Con una scrittura sferzante e pungente, Tillie Olsen tratteggia con implacabile compassione e profonda pietà le storie di uomini e donne, vecchi e bambini, bianchi e neri colti nelle vicissitudini dell’esistenza. Sono storie di solitudine, pregiudizi, violenza, frustrazioni, ma anche amicizia, cura e solidarietà, scritte in una prosa densa, viva, e che spezza il cuore.

L'incipit
Sono qui che stiro, e quello che mi ha chiesto si muove tormentato avanti e indietro insieme al ferro.
«Sarebbe opportuno che trovasse il tempo di venire da me per parlare di sua figlia. Di certo può aiutarmi a capirla. È una ragazza che ha bisogno di aiuto e che è mio sincero interesse aiutare».
«Che ha bisogno di aiuto»… Se anche venissi, a cosa servirebbe? Pensa che solo perché sono sua madre io abbia una chiave, o che in qualche modo potrebbe usarmi come chiave? Vive da diciannove anni. C’è tutta una vita che si è svolta fuori di me, oltre me.
E quando mai c’è tempo per ricordare, vagliare, soppesare, valutare, tirare le somme? Se inizio, qualcosa di sicuro mi interrompe e devo rimettere tutto quanto insieme un’altra volta. Oppure vengo travolta da tutto quello che ho o non ho fatto, da ciò che doveva essere e ciò che non si può evitare.
Era una bambina bellissima. La prima e unica dei nostri cinque figli a essere nata bella. Non immagina neanche quanto sia nuovo e scomodo per lei abitare la graziosità di adesso. Non l’ha conosciuta in tutti quegli anni in cui era considerata bruttina, non l’ha vista studiare le fotografie di quando era piccola, costringendomi a ripeterle di continuo quanto fosse bella – e quanto lo sarebbe stata, le dicevo – e lo era anche adesso, a un occhio attento. Ma gli occhi attenti erano pochi o inesistenti. Compresi i miei.
L’ho allattata. Oggi la considerano una cosa importante. Ho allattato tutti i figli, ma con lei, con lo spietato rigore della prima maternità, facevo come dicevano allora i libri. Anche se i suoi pianti mi scuotevano fino a farmi tremare e i seni mi dolevano tanto erano gonfi, aspettavo finché l’orologio non decretava che era ora. Perché comincio da questo? Non so neanche se importi, o se spieghi qualcosa. Era una bambina bellissima. Soffiava scintillanti bolle di suono. Amava il movimento, amava la luce, amava i colori e la musica e la diversa consistenza delle cose. Se ne stava distesa con la sua tutina azzurra a battere in estasi mani e piedi sul pavimento finché quasi non si distinguevano più. Per me lei era un miracolo, ma a otto mesi fui costretta a lasciarla durante il giorno con la signora del piano di sotto, per la quale non era affatto un miracolo, perché io lavoravo, cercavo lavoro o cercavo il padre di Emily, che «non sopportava più» (così scrisse nel biglietto di addio) «di condividere con noi la miseria». Avevo diciannove anni. Era il mondo pre-sussidi e pre-assistenzialismo della Depressione. Scendevo di corsa dal tram, di corsa salivo le scale, l’odore di rancido in casa, e lei già sveglia o svegliandosi di soprassalto, quando mi vedeva scoppiava in un pianto ingolfato che non si riusciva a consolare, un pianto che sento ancora. Dopo un po’ trovai lavoro di notte in una tavola calda per poter stare con lei durante il giorno, e le cose andarono meglio. Ma arrivai a un punto che dovetti portarla dalla famiglia del padre e lasciarla. Ci volle molto tempo per racimolare i soldi del biglietto di ritorno. Poi prese la varicella e dovetti aspettare ancora. Quando alla fine arrivò, quasi non la riconoscevo, con quel modo svelto e nervoso di camminare come suo padre, e con l’aspetto di suo padre, magra, e vestita di un rosso insulso che le ingialliva la pelle e metteva in risalto i butteri. Tutta la bellezza di quand’era neonata scomparsa. Aveva due anni. Abbastanza grande per l’asilo, dissero, e allora non sapevo quello che so adesso – la fatica delle lunghe giornate, e le lacerazioni della vita di gruppo in quel genere di nidi che sono solo parcheggi per bambini. Peccato però che non avrebbe fatto nessuna differenza se anche l’avessi saputo. Era l’unico posto che c’era. Era l’unico modo per poter stare insieme, l’unico modo per mantenere un lavoro.

Tillie Lerner Olsen (1912-2007) è figlia di ebrei russi di militanza socialista, immigrati negli Stati Uniti agli inizi del Novecento. A vent’anni, già membro della Lega dei giovani comunisti, ha la prima figlia, che chiama Karla in onore di Karl Marx, da un uomo che l’abbandona subito dopo. È costretta, quindi, a lavorare senza sosta per il sostentamento della famiglia. Fa la cameriera, la lavandaia, l’operaia, la saldatrice. Partecipa al nascente movimento sindacale nella San Francisco degli anni Trenta, dove incontra il suo futuro marito, Jack Olsen, con cui ha altre tre figlie. Sono gli anni di un intenso attivismo che le costa, nel periodo maccartista, due arresti e la sorveglianza da parte dell’FBI. Solo nel 1955 grazie a una borsa di studio a Stanford, e con le figlie ormai cresciute, può dedicarsi alla scrittura, che aveva amato da sempre ma frequentato in modo solo frammentario. Nel 1961 esce Tell Me a Riddle che la consacra al successo. Nel 1974 pubblica Yonnondio, un romanzo cominciato quarant’anni prima, e nel 1978, infine, la raccolta di saggi Silences, in cui indaga la letteratura delle donne e della classe operaia. Con una produzione attenta ai temi del lavoro, della condizione femminile e della militanza politico-sociale, Tillie Olsen diventa una voce libera, potente e pluripremiata della letteratura nordamericana del XX secolo.


martedì 22 ottobre 2024

Franco Lo Piparo - SICILIA ISOLA CONTINENTALE - Sellerio

 
Franco Lo Piparo
SICILIA ISOLA CONTINENTALE
Psicoanalisi di una identità

Sellerio
Collana Il divano nr.344
ottobre 2024
pp. 336, euro 16
EAN 9788838947285

«Una volta Giufà si trovò a passare nei pressi di un pozzo e vide la luna riflessa nell’acqua. Gli parve che la poveretta fosse caduta nel pozzo. Riflettendo sul da farsi si disse: “Devo scendere a salvarla!”.
«È uno dei numerosi aneddoti di cui si è alimentata a lungo la saggezza popolare siciliana mediante la figura del filosofo Giufà, così stupido da raggiungere livelli eccelsi di intelligenza delle umane cose.
«L’identità siciliana è come la luna nel pozzo che l’astuto e generoso intellettuale salva dall’annegamento e, vedendola poi in cielo, rimane soddisfatto del proprio lavoro di salvataggio».
 
Due contrastanti versioni della Sicilia – «metafora del mondo», oppure pezzo, importante ma non autonomo, dell’Italia; la Sicilia del Gattopardo opposta a quella di Vittorini – sono analizzate con profondità da un osservatorio decisivo: la lingua. Storia della lingua siciliana (anzi, del siculoitaliano) e critica delle espressioni letterarie del sicilianismo; caratteri originari e raffronti con il nascente italiano (anzi, il toscoitaliano); la lingua come specchio di una mentalità. Da questi aspetti, emerge il paradosso del sicilianismo, ciò che la rivendicazione di un’identità separata rivela nascondendolo.

Franco Lo Piparo (1946) è linguista e filosofo. Tra le sue opere: Sicilia linguistica (1987), Aristotele e il linguaggio (2003), I due carceri di Gramsci (Premio Viareggio 2012), Il professor Gramsci e Wittgenstein (2014). Con questa casa editrice ha pubblicato Sicilia isola continentale. Psicoanalisi di una identità (2024).

Jinwoo Chong - FLUX - minimum fax

 
Jinwoo Chong
FLUX
(titolo originale Flux, 2023)
traduzione di Luca Briasco
minimum fax
ottobre 2024
pp. 349, euro 19
ISBN 978-88-3389-570-3


Poco prima di Natale Bo perde sua madre, investita da un autobus e dal flusso del tempo. Vent’anni dopo Brandon perde il lavoro, perché il giornale per cui scrive deve proteggere il flusso di cassa. Viene poi avvicinato da un uomo che, senza conoscerlo, gli offre un lavoro e un appartamento. La generosa azienda si chiama Flux, e giura di aver realizzato una batteria che non si scarica mai. Brandon accetta quasi distrattamente, pietrificato da una solitudine emotiva da cui riesce a liberarsi solo quando riguarda le puntate di una serie poliziesca degli anni Ottanta, l’unico ricordo felice della sua infanzia e del rapporto col padre.
Passano altri vent’anni e Blue, che può parlare solo con l’aiuto di un dispositivo elettronico, torna nella sede abbandonata di Flux per cercare risposte sul proprio passato. Magari la misteriosa compagnia non ha inventato una batteria infinita, ma di sicuro ha trovato il modo di infrangere il flusso del tempo come un specchio, nelle cui schegge, forse, c’è la madre di Bo, ancora viva.
Tra fantascienza e dramma, Jinwoo Chong scrive un’ambiziosa metafora sentimentale sull’unidirezionalità del tempo, che può incrinare anche il più sincero dei legami, facendo sorgere il desiderio di una scappatoia fantastica, di un flusso di energia senza fine da usare per tornare in un passato ideale in cui però non c’è più nessuno, se non un implacabile silenzio.

L'incipit
La tua frase era sempre: «Dammi un motivo». Sempre. E poco importa che fosse e che continui a essere il tormentone più scadente mai scritto per un episodio pilota, con quella voce roca da detective story. Era la tua caratteristica, eri l’uomo che voleva che tutti nel mondo ti dessero un motivo, il motivo, qualsiasi motivo, e per la maggior parte, diciamo pure per quasi tutti gli episodi del 1985 e del 1986, la gente lo faceva. Quando pronunciavi quella frase, tutto tornava al suo posto. I tuoi sceneggiatori sono stati geniali. Ci hanno tirati dentro – mi hanno tirato dentro – perché, soprattutto, ti amavamo troppo per vederti fallire. Ecco perché la serie ha funzionato. Dopo l’episodio pilota e le prime battute, avete trovato la vostra strada con l’episodio ambientato a Little China (stagione 1, episodio 14, «Fratture del cuore»), dopo il quale sei stato inarrestabile. Amavamo il tuo viso cesellato, la tua aura oscura e i tuoi occhi duri. Eri bello, astuto, giovane – uno dei più giovani detective della polizia – @minimumfax 12 e raccoglievi l’eredità di tua madre e di tuo padre, uccisi durante un’irruzione in casa quando eri ancora un bambino (come è stato ricostruito nella stagione 2, episodio 4, «Dove volete, quando volete», a partire da un incendio in casa accennato nell’episodio pilota). Hai ottenuto ciò che volevi, li inchiodavi ogni volta, eri un passo avanti, una spanna sopra tutti. Ti ho amato. Davvero, amico, ti ho amato. Non sopporto la sorte che ti è toccata, quello che dicono di te, che sei derivativo, che sei tossico, perché niente di tutto questo è colpa tua. Perché ogni giorno, dopo la scuola, ero il bambino che tirava fuori le videocassette e guardava le repliche ormai consumate degli anni Ottanta, finché non mi sgridavano. Ho ancora tutti gli episodi, digitalizzati e salvati su una chiavetta, che riproduco sul mio portatile per addormentarmi. A mia madre non è mai piaciuta la serie, diceva sempre che era troppo violenta. Non le piacevano le pistole, e a differenza mia non capiva che il vostro mondo funzionava così. Tu vuoi un motivo, Thomas Raider, un motivo, il motivo per il quale è successo tutto, e io te lo fornirò. Questo ti fa arrabbiare; vuoi delle risposte adesso, ne sono certo, e per questo ti dico: fa’ un favore a te stesso, gioca un po’ a far finta di niente, con me. Non dovrebbe riuscirti difficile. Non sei nemmeno reale. L’aspetto più stupido nel modo in cui ti stanno demolendo ultimamente è che tutti dimenticano che Raider ha definito un intero genere televisivo. Tre anni dopo Hill Street Blues, due dopo New York, New York, questa era una serie tv che giocava al buio. Sapete perché avete fatto solo due stagioni? I critici non erano pronti, non riuscivano a sopportare il sangue e i cadaveri, troppo dettagliati, troppo spaventosi per il formato 4:3. I conservatori contestavano la tua disinvoltura nel bere e nel fare sesso, il fatto che tu non abbia mai sorriso, nemmeno una volta, per qua- @minimumfax 13 rantasei episodi. I nerd di mezza età di oggi sarebbero impazziti per te, si sarebbero vestiti come te per il Comic-Con e avrebbero difeso le tue abiezioni da donnaiolo impenitente con le loro mogli e fidanzate. Facevi i conti con una crudezza che non può essere sottaciuta: gli spigoli duri dei vicoli, i tuoi vestiti sporchi, quella cazzo di giacca di pelle. Sai, sarei disposto a uccidere, per quella giacca. Eri un re quando la indossavi. Non dimenticare che Raider è stato uno dei pochi show che hanno portato gli asiatici in tv. Nella seconda stagione operavi quasi esclusivamente tra noi, tra i negozianti e gli immigrati. Ci spingevamo oltre le frasi in cantonese non sottotitolato, i maestri di kung fu o i sicari al soldo del drago. Ti hanno persino dato un figlio, quel monello di strada di sei anni, Moto (stagione 2, episodio 6, «Pietà per i dannati») che hai salvato da un giro di droga. Pensavo di assomigliare a quel bambino. Immaginavo di essere lui e che tu fossi il mio vero padre, venuto a portarmi via. È il mio episodio preferito. È il promo che mostrano ogni volta che in qualche speciale si parla di Raider. Tu, con un trench, in penombra, che tieni in braccio quel piccolo asiatico e fissi la pioggia scura che cade intorno a te e penetra nella mia anima.

Jinwoo Chong, nato nel1995, vive a New York, dove collabora con il New York Times. Laureato alla Columbia University, ha pubblicato racconti su Guernica, The Southern Review, The Rumpus, LitHub, Chicago Quarterly Review ed Electric Literature. Flux è il suo primo romanzo.



Zack Beauchamp - LO SPIRITO REAZIONARIO - minimum fax

  
Zack Beauchamp
LO SPIRITO REAZIONARIO
Come il lato oscuro della politica americana ha infettato tutto il mondo

(titolo originale The Reactionary Spirit. How America’s Most Insidious Political Tradition Swept the World. 2024)
traduzione di Luca Briasco
minimum fax
ottobre 2024
pp. 287, euro 18
ISBN  978-88-3389-571-0

 
C’è una contraddizione fondamentale al cuore della politica americana, che perdura sin dalla fondazione degli Stati Uniti: man mano che la democrazia progredisce e si consolida, ci sarà sempre una fazione reazionaria che si oppone al cambiamento e cerca di incrinarne le basi; man mano che gli ideali di libertà e uguaglianza si diffondono concretizzandosi in leggi e sentimenti più inclusivi, fenomeni come la xenofobia, la discriminazione e la divaricazione sociale vanno di pari passo.
Negli ultimi anni questa discrepanza si è tradotta in un populismo di destra aggressivo fino alla ferocia, che utilizza le armi e le regole della democrazia per minarne le fondamenta dall’interno. Questo nuovo reazionarismo – che non si propone di abbattere le istituzioni democratiche ma di piegarle ai propri scopi – è un fenomeno che ha cessato da tempo di essere squisitamente americano e che si è esteso, con modalità talvolta differenti ma con la medesima base ideologica e pragmatica, all’Asia e all’Europa, fino a bussare alle nostre porte. Attingendo a un’ampia esperienza personale, e alternando con sapienza la teoria politica e l’analisi degli ultimi sviluppi in paesi che vanno da Israele all’India, dalla Cina all’Ungheria, Beauchamp spiega con dovizia di dettagli come determinate contraddizioni siano intrinseche al progetto stesso della democrazia, e come lo spirito reazionario, che in passato aveva cercato di respingere e negare quel progetto, ora ne adotti il linguaggio per sovvertirlo, dimostrandosi, in questo, ancora più insidioso.

dall'Introduzione
Nel marzo 2013 mi sono recato al Gaylord National Resort and Convention Center, un’imponente struttura al coperto situata a sud di Washington dc, e ho assistito all’insorgere di una crisi democratica. Il Gaylord ospitava la Conservative Political Action Conference (cpac), il raduno di punta della destra politica americana. All’epoca, il Partito repubblicano era ancora plasmato da un’idea di Tea Party: i partecipanti alla cpac indossavano cappelli a tricorno e sventolavano bandiere di Gadsden alla maniera dei manifestanti anti-Obama che si erano sollevati quattro anni prima. Il mio compito principale alla conferenza era quello di documentare, come meglio potevo, l’estremismo che si stava radicando nel gop. Ero un piccolo reporter di un blog liberale, quindi i politici repubblicani non facevano esattamente la fila per parlare con me. Li inseguivo per i corridoi, urlando domande, ottenendo il più delle volte solo rapide fughe o un silenzio di tom- @minimumfax 10 ba. Un’altra strategia si è rivelata più fruttuosa: partecipare alle piccole sessioni collaterali della conferenza per vedere cosa dicevano i relatori e i partecipanti quando si trovavano in uno spazio sicuro. Io e un mio collega ci siamo presentati a una sessione intitolata «Trump the Race Card» («Giocare la carta della razza»). Mentre qualsiasi presentazione con questo titolo oggi sarebbe su Donald, questa non lo era (anche se Trump ha parlato alla conferenza). La sessione era coordinata da un uomo di nome K. Carl Smith, il fondatore dei Frederick Douglass Republicans, un gruppo che pretendeva di vendere idee conservatrici al pubblico nero. Dopo che Smith ha ultimato la sua presentazione, un uomo con i capelli a spazzola e una barba sottile si è alzato per fare una domanda. Si è identificato come Scott Terry, del North Carolina. «Mi sembra che lei si stia rivolgendo agli elettori – il metodo, il programma che ci sta offrendo – a spese dei giovani maschi bianchi del Sud come me», ha detto Terry. Sentendo questo, ho iniziato immediatamente a filmare il panel con il mio telefono. «Mi sembra che la mia gente, il mio gruppo demografico, sia stato escluso dal sistema», ha continuato Terry. «Perché non possiamo essere repubblicani seguendo l’impostazione di Booker T. Washington e della sua famosa dichiarazione: “Siamo uniti come la mano, ma separati come le dita”?» La frase deriva dal discorso di Washington a una fiera agricola e culturale ad Atlanta nel 1895, in cui il principale intellettuale nero offrì ai bianchi un compromesso: aiutare a migliorare lo stato economico della popolazione nera, che in cambio avrebbe tollerato la segregazione e l’esclusione dalla scena politica. Washington cercava di fare il possibile per una comunità profondamente vulnerabile. La Ricostruzione era terminata da @minimumfax 11 poco e i bianchi del Sud in ascesa erano impegnati nella realizzazione dell’ordine politico segregazionista, o Jim Crow. Scott Terry non vedeva la segregazione come qualcosa di inevitabile nel breve termine ma che alla fine avrebbe dovuto cessare, come Washington, ma come un ideale affermativo, una politica a cui il paese dovrebbe tornare oggi. Non era chiaro se Smith avesse capito subito cosa Terry stava realmente dicendo. Ha iniziato a spiegare perché aveva dato alla sua organizzazione il nome di Frederick Douglass piuttosto che quello di Washington, raccontando la storia del grande attivista antischiavista che scrisse una lettera nella quale perdonava il suo ex padrone. Terry, per tutta risposta, chiese perché il padrone avesse bisogno di essere perdonato. Perché avrebbe dovuto scusarsi «per aver dato [a Douglass] rifugio e cibo per tutti quegli anni?», chiese Terry. Smith cercò di replicare – «Lasciatemi rispondere alla prima domanda» – ma fu soffocato da un’eruzione del pubblico. Alcuni ridevano, come se pensassero che Terry stava scherzando. Altri applaudivano. Terry ha continuato, borbottando: «Perché non possiamo avere la segregazione?», senza rivolgersi a nessuno in particolare. Alla fine, un moderatore del cpac è intervenuto per ristabilire l’ordine.


Zack Beauchamp è nato e vive a Washington. Ha conseguito un dottorato in Relazioni internazionali alla London School of Economics. Nel corso della sua carriera di giornalista e reporter si è concentrato sullo studio delle idee che plasmano il panorama politico. Da anni è corrispondente per Vox, dove si occupa principalmente di populismo di destra e delle falle del sistema democratico negli Stati Uniti e all’estero, e sempre per Vox conduce Wordly, un podcast settimanale dedicato alla politica estera.

Annie Proulx - HO SEMPRE AMATO QUESTO POSTO - minimum fax

 
Annie Proulx
HO SEMPRE AMATO QUESTO POSTO
Storie del Wyoming / 3

(titolo originale Fine Just the Way It is, 2008)
traduzione di Silvia Pareschi
minimum fax
ottobre 2024
pp. 245, euro 16
ISBN 978-88-3389-572-7

«Nessuno è felice come due giovani innamorati nella casetta che hanno costruito con le proprie mani in un luogo fatto di bellezza e solitudine», scrive Annie Proulx a proposito di una coppia di sposini che cerca di mettere dimora nella brulla prateria spazzata dal vento: di tanto in tanto, come nota il New York Times, nel mondo di Annie Proulx – un mondo in cui la furia degli elementi è letale, e gli uomini non sono molto meglio – si intravede un fugace scorcio del giardino dell’Eden.
In questi nove racconti, spesso segnati da una tristezza ineluttabile, tutti i personaggi sono, in qualche modo, dei pionieri, che lottano disperatamente per conquistare un ritaglio di paradiso in una terra impietosa. Con la sua prosa composta e struggente, il suo sorprendente senso dell’umorismo e la sua incrollabile compassione, Proulx dipinge un panorama feroce e viscerale, brutale e magnifico, abitato da generazioni di americani che lottano disperatamente per sopravvivere in una terra difficile da amare, le cui vite, grazie al potere del mito, si trasformano in letteratura: vividi dettagli di vita rurale si mescolano a frammenti di folklore, la brutalità della cultura tradizionale si mescola ai tratti, appena addolciti, del West moderno e i piccoli eventi quotidiani si fondono in modo quasi operistico con il clima selvaggio.
Pubblicato a dieci anni dal primo volume delle Storie del Wyoming – quello che conteneva il celebre «Brokeback Mountain» – Ho sempre amato questo posto aggiunge un nuovo tassello al monumentale affresco con il quale il Premio Pulitzer Annie Proulx ha riscritto il mito del Far West.

L'incipit
La Mellowhorn Home era un edificio di tronchi a un piano e a pianta irregolare, arredato in stile western: mobili rivestiti di stoffa a motivi geometrici «indiani», paralumi con frange di pelle scamosciata. Alle pareti erano appese le teste di cervo mulo del signor Mellowhorn e una sega trasversale a doppio manico. Era il periodo dell’anno in cui Berenice Pann avvertiva l’ingresso della terra nell’oscurità, non un buon periodo, pensava, per cominciare un lavoro, soprattutto se deprimente come accudire anziane vedove di allevatori. Ma aveva preso quello che aveva trovato. Non c’erano molti uomini nella casa di riposo Mellowhorn, e quei pochi erano così assediati dalle donne che Berenice li compativa. Aveva sempre creduto che la pulsione sessuale si affievolisse in tarda età, ma quelle megere si contendevano i favori di vecchi paralitici dalle grosse braccia tremolanti. Gli uomini potevano scegliere tra un vasto assortimento di vestaglie informi e scheletri a fiori. @minimumfax 20 I tre cani della Mellowhorn, defunti e impagliati, montavano la guardia in punti strategici: accanto alla porta d’ingresso, alla base delle scale e di fianco al rustico mobile bar ricavato da vecchi pali di staccionata. Tre targhette pirografate ne ricordavano i nomi: Joker, Bugs e Henry. Se non altro, pensò Berenice accarezzando la testa di Henry, da lì si godeva di una bella vista sulle montagne circostanti. Aveva piovuto tutto il giorno, e adesso i ciuffi d’erba spuntavano dalle tenebre sempre più fitte come ciocche di capelli ossigenati. Lungo un vecchio canale d’irrigazione i salici formavano una linea frastagliata color rosso cupo, e il laghetto artificiale ai piedi della collina era piatto come una lastra di zinco. Berenice si avvicinò a un’altra finestra per vedere la perturbazione in arrivo. A nordovest un gelido spicchio di cielo lattiginoso spingeva avanti la pioggia. Un vecchio sedeva davanti alla finestra della sala comune a contemplare l’autunno grigio. Berenice conosceva il suo nome, conosceva il nome di tutti: Ray Forkenbrock. «Le porto qualcosa, signor Forkenbrock?» Ci teneva a chiamare i residenti con l’appellativo adeguato, a differenza degli altri membri del personale, prodighi di nomi propri come se lì dentro fossero tutti amici di vecchia data. Deb Slaver si prendeva fin troppa confidenza, e inframmezzava i vari «Sammy», «Rita» e «Delia» con una sfilza di «tesoro», «cara» e «bellezza». «Sì», disse il signor Forkenbrock. Parlava con lunghe pause tra una frase e l’altra, un lento succedersi di parole che le facevano venir voglia di suggerire il resto. «Portami via di qui», disse. «Portami un cavallo», disse. «Portami indietro di settant’anni», disse. «Questo non posso farlo, però posso portarle una bella tazza di tè. E fra dieci minuti comincia l’Ora Sociale», disse Berenice. @minimumfax 21 Non riuscì a guardarlo negli occhi. Aveva una presenza notevole, malgrado la faccia ordinaria, con la bocca sdentata e il collo scarno. Erano gli occhi. Li aveva molto grandi, spalancati e di un azzurro chiarissimo, come un blocco di ghiaccio rotto con il punteruolo: un celeste pallido con raggi cristallini. In fotografia sembravano bianchi come gli occhi delle statue romane, e solo il nero delle pupille gli evitava di sembrare cieco come una statua. Quando la guardava con quegli strani occhi bianchi, Berenice non capiva più niente di quello che le diceva. Il signor Forkenbrock non le piaceva, malgrado fingesse di trovarlo simpatico. Le donne dovevano fingere di apprezzare gli uomini, di avere i loro stessi interessi. Sua sorella aveva sposato un uomo appassionato di pietre, e adesso le toccava accompagnarlo in giro per deserti e montagne.

Annie Proulx è nata a Norwich, Connecticut, nel 1935. Ho sempre amato questo posto fa parte della trilogia del Wyoming, di cui minimum fax ha già pubblicato Distanza ravvicinata (2019) e Cattive strade (2022). Tra le sue opere ricordiamo Avviso ai naviganti (minimum fax 2018), vincitore del National Book Award e del Premio Pulitzer,  Cartoline (minimum fax 2023) e I crimini della fisarmonica.

Federico Garcìa Lorca - LIBRI ! LIBRI ! - Infinito

 
Federico Garcìa Lorca
LIBRI ! LIBRI !
Discorso al paese di Fuente Vaqueros
(titolo originale Alocución al pueblo de Fuente Vaqueros)
traduzione e cura di Luca Leone
introduzione di Silvio Ziliotto
con illustrazioni in b/n
Infinito edizioni
ottobre 2024
pp.58, Euro 9,00
ISBN 9788868617721

 
Pubblicato per la prima volta in Spagna nel 1986, il Discorso al paese di Fuente Vaqueros (Alocución al pueblo de Fuente Vaqueros) fu letto ad alta voce dal poeta, presumibilmente nei primi giorni di settembre del 1931, davanti ai suoi concittadini in occasione dell’inaugurazione della biblioteca comunale del paese natìo. Il discorso è una vera ode ai libri, una lettera d’amore, e allo stesso tempo una lezione magistrale di cultura senza tempo.
“Libri! Libri! Ecco una parola magica che equivale a dire: ‘Amore, amore’ e che tutti i popoli dovrebbero chiedere come chiedono il pane o come anelano la pioggia per i loro campi seminati”, si legge in uno dei più noti passaggi di questo straordinario testo.


Federico García Lorca, (Fuente Vaqueros, 5 giugno 1898-Viznar, 19 agosto 1936) è uno dei più importanti poeti e drammaturghi spagnoli del Novecento. Dichiarato sostenitore delle forze repubblicane, morì fucilato dai nazionalisti all’inizio della Guerra civile spagnola. Ideatore, regista e animatore del progetto di teatro popolare ambulante La Barraca, che promuoverà attivamente tra il 1931 e il 1936, ha pubblicato, tra le altre opere, la trilogia rurale Bodas de sangre, Yerma e La casa di Bernarda Alba. Ha pubblicato importanti opere di poesia e di prosa, tra cui il Poema del cante jondo e Romancero gitano.


sabato 19 ottobre 2024

Roberta Ferraris - LA VIA FRANCIGENA IN VALLE D'AOSTA E PIEMONTE - Terre di mezzo

 
Roberta Ferraris
LA VIA FRANCIGENA IN VALLE D'AOSTA E PIEMONTE
Terre di mezzo editore
2024
pp. 160, Euro 16
ISBN 9791259962683

I primi passi italiani della Francigena muovono da tre valichi – Gran San Bernardo, Monginevro e Moncenisio – per proseguire in Valle d’Aosta o in Valle di Susa, sui due versanti della Dora Riparia. Lungo antichi sentieri e strade romane si scende fino ai vasti orizzonti della pianura tra imponenti fortificazioni, da Bard a Exilles, e abbazie medievali come Novalesa e la Sacra di San Michele.
Un fascio di itinerari diversi tra cui scegliere, che si riuniscono a Vercelli, centro di diffusione della prima cristianità.
Una guida per esplorare le diverse vie storicamente documentate da cui partivano i pellegrini diretti a Roma, lungo uno dei percorsi più affascinanti e famosi d’Europa.  Il cammino ha inizio ai tre storici valichi alpini, prevale quindi il paesaggio montano, tra foreste, sentieri e antiche mulattiere. Le due direttrici della Valle d'Aosta e della Valle di Susa convergono poi in un ambiente del tutto diverso: la Pianura Padana dei grandi orizzonti.


Mille anni dopo...

Chi percorre oggi la Via Francigena, sulle orme dei pellegrini medievali, talvolta fa fatica a trovare tracce di quell’epopea quando si trova sulle strade consortili tra le risaie del Vercellese, vicino ai capannoni industriali di Rosta o Torino, o cammina fianco a fianco a vie di comunicazione internazionali lungo la valle del Gran San Bernardo o sotto gli altissimi viadotti dell’autostrada del Frejus in Valle di Susa. Mille anni di storia hanno modificato ambiente e paesaggio, e gli ultimi cinquant’anni hanno forse dato il colpo di grazia alle periferie delle nostre città d’arte.
Bisogna fare quindi uno sforzo d’immaginazione, e individuare quelle memorie (chiese, viabilità storica, centri urbani di impianto medievale) in grado di raccontarci una storia dimenticata per molti secoli. E le testimonianze non mancano. Il XII e il XIII secolo furono quelli più fertili: in epoca comunale, e con il rifiorire del commercio, le città italiane si arricchirono di grandiose opere pubbliche. Gli edifici sacri di epoca longobarda e carolingia - quelli che vide Sigerico, anche se non vi fa cenno nel suo Itinerarium - furono abbattuti, perché ormai troppo angusti, ma anche in seguito ai danni di un devastante terremoto che colpì la Pianura Padana da Pavia al Friuli nel 1117, e sostituiti da nuove architetture, più grandi e più riccamente decorate.
L’emozione del viaggio è anche questo, camminare sulle orme di chi è venuto prima di noi, affrontando senz’altro pericoli e disagi minori dei loro, ma con la stessa umana fatica.

Roberta Ferraris


Roberta Ferraris, dagli anni ‘90 è autrice, per vari editori, di guide turistiche, principalmente a piedi e in bici (Piemonte, Valli Occitane, Langhe, Monferrato, Valle d’Aosta, Sardegna), e di opere di cucina e manuali di sostenibilità ambientale (Una zucchina non fa primavera. Guida alla frutta e verdura (e non solo) di stagione, 2009; Vado a vivere in campagna, Dieci regole per passare dal sogno alla realtà, 2011; Verdura e frutta esotica. Se la conosci la cucini, 2012; Pasta madre, lievito vivo, 2014, tutti per Terre di Mezzo). Da oltre una decina d’anni, con un misto di incoscienza e sacro entusiasmo, vive in una solitaria cascina di Langa, dove ha convissuto e convive con animali di varia specie, dall’homo sapiens al pollo, passando per i generi ovicaprino ed equino. Recentemente ha aggiunto al suo percorso formativo la qualifica di guida escursionistica ambientale, grazie alla quale conduce piccoli gruppi alla scoperta della bellezza del mondo, rigorosamente a piedi.

Claudio Meldolesi - FRA TOTO' E GADDA - Cue Press

 
Claudio Meldolesi
FRA TOTO' E GADDA
Sei invenzioni sprecate dal teatro italiano

Prefazione di Laura Mariani
Cue Press
Collana I Saggi
settembre 2024
Euro 24,99

Lungo sei saggi di mirabile acutezza critica, Claudio Meldolesi racconta la storia di alcune idee che risultarono fin troppo all’avanguardia e che furono osteggiate e «scoraggiate dal teatro italiano negli anni Trenta-Cinquanta». Spaziando dalla versatilità comica di Totò alla regia d’avanguardia del giovane Strehler, dalla natura anomala di una stagione di Eduardo alla cultura attorica ricompresa da Apollonio, dalla trasmutabilità del teatro di Pirandello, fino alla drammaturgia al confine con il romanzo di Gadda, il volume ripercorre una stagione all’insegna del conflitto tra il conservatorismo di sistema e l’innovazione di singoli artisti. Il teatro emerge come disciplina «pienamente inserita nel tessuto delle scienze umane» che può ritrovare «con l’ausilio anche dell’antropologia e della sociologia, della letteratura e delle arti visive» nuova linfa vitale.

Claudio Meldolesi (nella foto di Rossella Vitti da Teatro e storia), nato nel 1942 e deceduto nel 2009, è stato professore di Drammaturgia e di Storia dell’attore presso l’Università di Bologna e socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
Allievo di Giovanni Macchia e attore diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, ha scritto saggi fondativi sull’attore, la regia, la drammaturgia, i rapporti tra teatro e scienze umane (in particolare la sociologia e la letteratura) e il teatro di interazioni sociali.
È stato tra i fondatori delle riviste Teatro e Storia e Prove di drammaturgia e del bolognese Centro la Soffitta (1988).
Si è occupato di Brecht anche in Il lavoro del dramaturg (con Renata M. Molinari, Ubulibri, 2007).


venerdì 18 ottobre 2024

Volponi e il romanzo italiano. Padova, 24-25 ottobre 2024

 

Le opere di Paolo Volponi, nella loro sfuggente incandescenza, sono forse il caso più significativo del Late modernism italiano: il primo oggetto di ra(igurazione in Memoriale è costituito dalla vita psichica; in Corporale la realtà è filtrata dallo sguardo allucinato del protagonista; nelle Mosche del capitale domina l’accumulo caotico di ripetizioni e assonanze. Al contempo, Volponi convoglia queste forme eversive all’interno di opere che rimangono a loro modo coerenti e organiche e che rappresentano porzioni decisive di realtà sociale: la mutazione industriale e postindustriale, la distruzione atomica. Il convegno si propone di sottrarre Volponi a categorie di corto respiro e di contribuire a ridiscutere la storia del romanzo italiano dagli anni Sessanta in poi.

Comitato scientifico: Emanuele Zinato, Alessandra Grandelis

Organizzazione amministrativa convegni: Luisa Sibilio, Nicolea Bisogno, Anna Zanoni

Per l’allestimento della mostra: Laura Pieropan, Licia Cavalet, Eliana Pasquali (Biblioteca Polo Beato Pellegrino) Elena Baldoni (Fondazione Carlo e Marise Bo) Emanuele Zinato, Alessandra Grandelis

Università degli Studi di Padova - Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari (DiSLL) COMPLESSO BEATO PELLEGRINO, via Suor Elisabetta Vendramini 13, 35137 Padova


Giovedì 24 ottobre - Meeting Room

15.00-15.10 Saluti del Direttore del DiSLL

15.10-15.30 Emanuele Zinato Introduzione

15.30-16.10 Massimiliano Tortora Modernismo, realismo, antirealismo nel Volponi degli anni Sessanta

16.10-16.50 Gloria Scarfone Di paranoici e monologanti: Memoriale e La macchina mondiale 

16.50-17.30 Paolo Zublena Lingua, stile e stilemi di Corporale

Discussione


Venerdì 25 ottobre - Meeting Room

9.30-10.10 Tiziano Toracca «Chissà come ti godi tutto e come ne so(ri». Ordine industriale e disordine psichico in Corporale

10.10-10.50 Massimo Raffaeli Un romanzo “tradizionale”: lettura de Il sipario ducale

Pausa caffè

11.30-12.10 Alessandra Grandelis «È un romanzo politico o meglio una invettiva». Gli oggetti nel Pianeta irritabile

12.10-12.50 Gabriele Fichera Volponi e il romanzo-saggio

Discussione

Samer Abu Hawwash - DAL FIUME AL MARE - emuse

 
Samer Abu Hawwash
DAL FIUME AL MARE
traduzione dall'arabo di Jolanda Guardi 
e Luisa Franzini
Emuse editore
ottobre 2024
pp. 104, Euro 15
ISBN 9788832007800


Dal fiume al mare si snoda attraverso una serie di considerazioni e pensieri del poeta sulla condizione umana a partire da quanto avviene nella Striscia di Gaza. Un genocidio cui assiste e assistiamo da lontano e che, nonostante l’immediatezza delle immagini, è spesso difficile da raccontare. Nel senso di vuoto che ne deriva, Abu Hawwash si interroga trovando nel testo poetico una possibilità, di fronte a questa perdita di senso:
«Avrei voluto dire maledizione,
esisti ancora, dopo oggi,
tu,
Dio?»

Il suo linguaggio ha la capacità di esprimere con vivida lucidità l’inenarrabile, cosicché la poesia diventa più forte delle immagini e, trovando le parole dove lo spettatore le ha perse, conduce in un baratro di orrore reale.
La sua poesia è un urlo, un mezzo di liberazione per lo spirito oppresso dal dolore e dall’impossibilità di incidere sul reale, una poesia di rivolta, non solamente contro uno stato di fatto intollerabile, ma anche contro i limiti della condizione umana.
E, soprattutto, contro il rischio di dimenticare.
«Da quel momento nessuno vide più l’urlo, mentre riempirono il volto della terra foglie gialle sulle quali erano incisi i nostri nomi.»

Samer Abu Hawwash è un poeta e scrittore palestinese.
Nato nel sud del Libano, ha cominciato a pubblicare poesie nel 1991. Oltre all’attività di scrittore e giornalista, esercita quella di traduttore dall’inglese all’arabo. Da questa lingua ha tradotto poeti come Bukowski, Robert Bly e la poeta Louise Glück e romanzieri come Paul Auster, Charles Bukowski, William Faulkner e Jack Kerouac. Ha pubblicato undici raccolte di poesia e tre opere di narrativa. Nel 2024 ha vinto il premio intitolato al poeta iracheno Sargon Bulus.
Attualmente vive a Barcellona dove lavora come Direttore della sezione Cultura e Società presso la rivista Almajalla. Le sue opere sono state tradotte in spagnolo, francese, inglese, tedesco e giapponese.
Dal fiume al mare è la prima raccolta completa tradotta in italiano.

Mahmud Darwish - VORREI CHE QUESTA POESIA NON FINISSE MAI - emuse

 
Mahmud Darwish
VORREI CHE QUESTA POESIA NON FINISSE MAI
traduzione dall'arabo di Sana Darghmouni
Emuse editore
ottobre 2024
pp. 96, Euro 16
ISBN 9788832007787 

Nei versi contenuti in questa opera, il grande cantore della Palestina offre al lettore un’eredità preziosa, intrecciando le sue esperienze personali con i temi universali della vita e della morte e contemplando con lucidità l’avvicinarsi della fine.
Il poeta accetta l’inevitabilità del destino, consapevole del giudizio finale che la natura stessa impone. Non si limita a descrivere la fine, ma cerca di comprenderla e superarla, attraverso un’esplorazione del reale che si spinge oltre la circonferenza della tragedia palestinese e riflette lo sviluppo della poetica di Darwish.
Elias Khoury, curatore dell’edizione postuma, descrisse la poesia che dà il nome alla raccolta, probabilmente l’ultima sua poesia in ordine cronologico, con queste parole: «Un’opera poetica straordinaria, di quasi statura epica, l’apice del lirismo costruito da Darwish. Si può dire che questa sia davvero l’ultima parola pronunciata dal poeta. Il suo genio poetico raggiunge qui il culmine; il poeta combina coerenza, lirismo e qualità epica in una straordinaria fusione del suo rapporto con se stesso, le sue storie e la sua morte. […] Quest’uomo non è solo un poeta; respira parole, rende il ritmo parte della circolazione del suo sangue».
Pubblicata nella sua versione completa per la prima volta in italiano, questa raccolta è considerata il testamento poetico di Darwish e rappresenta una lucida ricerca di sé nell’ultimo tratto della vita e un viaggio straordinario nella parola.

Mahmud Darwish (1941-2008) è nato a al-Birwa, nell’alta Galilea.
Durante la costituzione dello stato di Israele nel 1948, il suo villaggio fu distrutto e la sua famiglia fuggì in Libano, rientrando in patria segretamente l’anno successivo.
Da giovane, dovette affrontare gli arresti domiciliari e la reclusione per il suo attivismo politico e per aver letto pubblicamente le sue poesie.
Per ventisei anni, fino al 1996, anno del suo rientro in Palestina, visse in esilio tra Mosca, il Cairo, il Libano, la Tunisia e Parigi.
Considerato il poeta più eminente della Palestina, e uno dei più grandi poeti arabi contemporanei, Darwish ha pubblicato una trentina di raccolte di poesie e prose, tradotte in più di ventidue lingue.