Alessandro Giraudo
ORO, ARGENTO E SCINTILLANTI FOLLIE
Storie dei metalli dei re
traduzione di Sara Prencipe e Enrico Pandiani
add editore
ottobre 2024
pp. 228, € 20
ISBN 9788867834877
«Alessandro Giraudo prosegue la sua serie appassionante di libri eruditi e divulgativi sulla storia dell’economia, e in particolare su quella monetaria e delle materie prime. Come il suo maestro Carlo M. Cipolla, intreccia aspetti spesso trascurati che spiegano il nostro mondo, le sue passioni e le sue follie. In questo libro affronta con spirito acuto un tema fondamentale: i due metalli preziosi più celebri, l’oro e l’argento, cardini paradossali della storia umana, che rimandano all’assurdità del nostro destino. Perché gli uomini si sono tanto battuti per impossessarsi di metalli che per lungo tempo non hanno avuto un reale uso pratico, rendendoli divinità, speranza, ossessione, ricettacolo di tutte le passioni e di tutti i sogni?»
Jacques Attali
Senza l’oro della Nubia, non ci sarebbe stato l’Egitto dei faraoni; senza l’argento del Laurio, Atene non avrebbe vissuto lo splendore del V secolo; le vene dello Yunnan contribuirono alle sfolgoranti conquiste di Gengis Khan. Il Siglo de Oro spagnolo attinse alle miniere di Perù e Messico, i califfati crebbero con l’argento dell’Iran e dell’Afghanistan. Cinque tonnellate d’oro e undici d’argento fecero risplendere di luce Santa Sofia e quindici chilogrammi d’oro finanziarono il viaggio di Colombo. La Gold Rush della California permise la costruzione della ferrovia transcontinentale e i lingotti custoditi nei caveaux furono il carburante delle guerre mondiali. Oggi il nostro cellulare contiene almeno 0,35 grammi d’argento e 0,034 grammi d’oro e il metallo giallo «vola» nello spazio…
Dal più lontano passato al futuro che ci viene incontro, l’oro e l’argento accompagnano la storia dell’umanità, continuando a scatenare fragori d’armi e scintillanti follie di grandeur.
L'incipit
«L’oro è il tiranno e lo schiavo di chi lo possiede», scrive Orazio a Aristio Fusco nelle Epistole. Come le monete, l’oro e l’argento hanno due facce. Evocando potere e miseria, fortuna e sventura, sono stati fondamentali per far avanzare o retrocedere figure, pedine e pedoni sulla grande scacchiera della storia. Tutti i potenti del passato disponevano di un tesoro – che nell’etimologia richiama l’aurum latino – per proteggere sé stessi e (talvolta) il loro Paese: si va dal tesoro dei faraoni a quello del re persiano Dario, dalle risorse di Filippo II di Macedonia al fiscus personale degli imperatori romani, dalle infinite ricchezze del re del Mali Mansa Musa a quelle dei papi gestite dal camerlengo (il cardinale che deteneva le chiavi della camera thesauraria o camera apostolica e che, dopo il papa, era il prelato più importante della Chiesa), dal patrimonio di Luigi XIV a quello degli imperatori Ming. Ancora oggi gli Stati possiedono il loro tesoro che, di fatto, è rappresentato dalle riserve delle rispettive banche centrali: sotto la Federal Reserve Bank di New York c’è un enorme forziere dove sono stoccate 6331 tonnellate d’oro, essenzialmente sotto forma di barre da 400 once (12,5 chilogrammi), circa la metà di quanto conteneva nel 1973, quando le tonnellate stoccate erano quasi 13.000, appartenenti a settanta controparti (mentre l’oro degli Stati Uniti dal 1937 è stoccato a Fort Knox, nel Kentucky). Questo forziere, operativo dal 1914, venne ideato al fine di custodire l’oro inviato dalle banche internazionali durante la Prima guerra mondiale ed evitare che cadesse in mano nemica. È scavato nel granito di Manhattan, cinquanta piedi sotto il livello del mare che circonda la penisola, e dispone di sistemi di protezione fra i più sofisticati al mondo: l’entrata è un cilindro di novanta tonnellate che ruota su sé stesso e tutte le sere l’aria viene aspirata dal caveau per impedire la presenza di esseri umani e animali. Oltre a essere scintillanti parafulmini capaci di proteggere l’umanità dai pericoli, l’oro e l’argento sono metalli speciali che hanno un doppio valore, quello materiale e quello che attribuiamo loro nel nostro immaginario. Sono presenti in ogni cultura, religione e mitologia: si pensi a Mosè e il vitello d’oro dell’Esodo fuso da Aronne, dipinto da Nicolas Poussin intorno al 1630; Danae fecondata dalla pioggia d’oro di Zeus, soggetto di infinite opere (per esempio nei quadri di Rembrandt, Correggio, Artemisia Gentileschi, e messa in musica da Strauss), Apollo e l’arco d’argento, Giasone e il vello d’oro (la tragedia di Medea, da Euripide a Christa Wolf), l’oricalco di Atlantide citato da Platone, le statue di Buddha ricoperte d’oro presenti in tutta l’Asia, il sarcofago d’argento del faraone Psusenne I. Dante parla più volte dell’oro e dell’argento nella Divina Commedia, in special modo nel XIX canto dell’Inferno, quello di Malebolge; di «armi d’oro e d’argento», doni fatti «con speranza di mercede ai re, agli avari principi, ai patroni», scrive Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso. «Vale un Potosí», dice Miguel de Cervantes nel Don Chisciotte per indicare qualcosa di inestimabile valore, usando il nome della città in cui si trovava il più grande giacimento d’argento.
Alessandro Giraudo, economista, ha studiato a Torino, Genova, Salisburgo e Berkeley con Carlo M. Cipolla. Insegna Geopolitica delle materie prime e gestione dei rischi all’INSEEC di Parigi. Con add editore ha pubblicato Quando il ferro costava più dell’oro; Storie straordinarie delle materie prime; Altre storie straordinarie delle materie prime. (foto Comincini, 2023)
Nessun commento:
Posta un commento