venerdì 18 ottobre 2024

Henry Wise - HOLY CITY - Carbonio


Henry Wise
HOLY CITY
(titolo originale Holy City, 2024)
traduzione di Olimpia Ellero
Carbonio Editore
collana Cielo Stellato 63
ottobre 2024
pp. 352, € 19,50
ISBN 9791280794444


Will Seems è tornato a casa, nella contea di Euphoria, Southside della Virginia. Al padre, che ha cercato fino all’ultimo di dissuaderlo perché «là non c’è più niente», ha risposto: «C’è la mia storia». Così, dopo dieci anni, ha lasciato Richmond – “Holy City”, la “Città Santa” – ed è tornato a vivere nella fatiscente tenuta di famiglia per fare i conti con un passato a cui non può più a sfuggire. Di notte, mette in moto il suo pick-up e guida fino a sfiancarsi per sopportare il peso dell’inquietudine che lo assale; di giorno, ricopre la carica di vicesceriffo della contea. Suo capo è il navigato sceriffo Jefferson Mills, in scadenza di mandato e già al lavoro per la sua rielezione. Che la contea sia in balìa della criminalità è questione secondaria; l’importante è che si mantengano gli equilibri di potere, consentiti dal ‘giro di favori tra vecchi amici’, a qualsiasi prezzo, anche se ci scappa il morto. E il morto ci scappa: è Tom Janders, un giovane Nero trovato senza vita nel rogo della sua casa. È stato pugnalato alla schiena e rinvenuto coi pantaloni abbassati. Dalla scena del crimine è stato visto dileguarsi Zeke Hathom, un altro membro della comunità nera locale, incensurato e benvoluto da tutti, che da unico sospettato diventa ben presto presunto colpevole. Will è fermamente convinto dell’innocenza del signor Hathom, che conosce da sempre e che gli ricorda come non mai la tragica ragione del suo ritorno a Euphoria.
La legge odiosa della sopraffazione sembra averla vinta anche questa volta, ma Claudette Janders, la madre di Tom, non si rassegna a un copione già visto, reclama giustizia e per questo ingaggia Bennico Watts, una combattiva detective privata di Richmond. Lei e Will devono trovare insieme il vero assassino.
L’indagine conduce i due allo Snakefoot Swamp, il posto più dimenticato della contea dimenticata di Euphoria, un mondo sotterraneo e selvaggio che per secoli è stato il nascondiglio degli schiavi scappati dalle piantagioni e che adesso è il quartiere dove i loro discendenti convivono insieme a bianchi emarginati e allo sbando.
È lì che affonda la più tetra delle verità possibili.
Per il suo romanzo d’esordio, Henry Wise porta fino in fondo la sfida di fare dei Grandi Temi morali – colpa e perdono, coraggio e riconoscenza, responsabilità personale e dovere pubblico – materia narrativa, centrando l’obiettivo. Holy City è un thriller maestoso e rovente sull’America degli ultimi, che racconta sia come la giustizia individuale possa rivelarsi la più giusta, sia come invece possa sfociare in una vendetta sanguinosa e perversa.
L’autore mette a confronto la città – grande, pulsante e ‘sempre più giovane’ – e la periferia più sperduta del Sud più profondo degli Stati Uniti. A nemmeno due ore da Richmond, la piccola contea di Euphoria sembra un altro pianeta, dove la sconfitta della Guerra di Secessione brucia ancora e resta inscalfibile il ricordo degli schiavi che, per fuggire dai campi di tabacco, guadavano esausti le acque limacciose delle paludi. A dispetto del nome, Euphoria è un luogo remoto e immobile dove neri e bianchi continuano a mantenere le distanze, malgrado la segregazione razziale sia stata abolita da diversi decenni. Da una parte, la comunità nera è sostenuta da una spiritualità religiosa inattaccabile che coincide con una forza d’animo esemplare, specialmente nelle donne, ed è coesa e solidale – pollo fritto, uo­va alla diavola, cavolo nero passano di casa in casa. Dall’altra, un sottoproletariato bianco, inerte e rabbioso, vivacchia tra roulotte, case mobili, motel a ore, aree di servizio, catene di fast food.
Sullo sfondo spicca regale una vegetazione di spettacolare varietà – cipressi, frassini, tupeli, pini, piante di kudzu, fiori selvatici, glicini, noci pecan, edera, caprifoglio, ligustri –, un rigoglio di vita impermeabile a tutto, persino alla voce furiosa del predicatore che non smette mai di strepitare dalle radio accese.
Forte di una lingua cesellata, vivida, fiammeggiante e di uno stile poetico e ruvido, Henry Wise debutta nella narrativa senza timidezze. Il suo è un esordio maturo, dove la psicologia tormentata dei personaggi e l’estremo realismo degli ambienti rendono ancora più nitida la sua denuncia contro qualunque discriminazione.


L'incipit
Fu sognare il fuoco a devastarlo. Sedeva rigido come un gatto stecchito, cercando a tentoni l’impugnatura della pistola sotto al sedile, con calma. La triste notte lo raggiunse di nuovo, solo una delle tante, passata a guidare all’infinito, ad ascoltare la furiosa parola di Dio proveniente da una leggera interferenza in lontananza, una voce al tempo stesso austera e intima, che sembrava rivolgersi direttamente a lui con una sicurezza lacerante. E lui l’ascoltava perché là fuori non c’era altro – nessuna stazione radio – tra frazioni, paesi e incroci stradali, di cui qualcuna, a un certo punto, doveva essere stata con ogni probabilità una cittadina, e nulla da vedere nel mezzo, se non un paesaggio che ondeggiava in cerca di una sorta di equilibrio: un palpito che si riusciva a cogliere solo coprendone le distanze, sorprendente perché per il resto la campagna sembrava morta. Non era la soffice e verdeggiante vegetazione che ricordava una giungla, tipica di buona parte della Virginia, ma una terra dura, ispida, grezza. Le strade solitarie si snodavano come serpenti nella fitta macchia o in campi aperti o nei boschi completamente abbattuti per ricavarne legname, lasciando il terreno spoglio e strano come un orso scuoiato. E mentre superava le case che crollavano come crateri, coperte di kudzu o dove l’edera velenosa e il ligustro selvatico erano cresciuti in mezzo a pezzi di intonaco verniciato, da qualche parte là fuori in un’oscurità tappezzata di boschi giungeva quella voce tenebrosa, paterna, familiare, amichevole, che alludeva alla violenza, alla malizia; la voce pulita, austera, penetrante e carica di aspettative di un qualche famoso predicatore locale in mezzo a una campagna in cui il crimine dilagava in maniera sconcertante. Will Seems era tornato dopo dieci anni trascorsi a Richmond – ‘Holy City’, la ‘Città Santa’ – in una terra che, ogni giorno di quei dieci anni, aveva chiamato ‘casa’, una zona che – ora se ne rendeva conto – era popolata da una comunità eterogenea e smarrita. L’anno prima, un uomo aveva tagliato la gola alla moglie con un coltello a serramanico Buck, per poi spararsi subito dopo con una Walther ppk: un fallimento su entrambi i fronti. La moglie, prima di chiamare il 911, era riuscita a fermare l’emorragia tamponandosi il collo con un cuscino e l’uomo si era risvegliato in una stanza d’ospedale senza gran parte della mascella e con un paio di ceppi alle caviglie. Poi, pochi mesi fa, un tizio della contea di Halifax, fermato perché aveva il fanalino posteriore fulminato, aveva sparato a un poliziotto, uccidendolo, e si era allontanato in macchina indisturbato. A tutt’oggi non ce n’era traccia. Ma uno degli episodi più strani era avvenuto solo di recente. Qualcuno in città aveva presentato un reclamo perché da una certa casa proveniva un odore terribile. La donna sola e di mezza età che ci viveva aveva avvolto la madre – deceduta per cause naturali – in una serie di coperte, lasciando il cadavere in casa per più di due mesi. Will ricordava come si era svolta l’indagine: con indosso mascherine che mitigavano a stento il tanfo, e gli occhi che lacrimavano, erano arrivati a contare centosedici deodoranti per ambienti che vaporizzavano il loro profumo sulle trapunte. Lo sceriffo era stato ben contento di lasciare a Troy St. Pierre, il medico legale, il compito di rimuovere il cadavere, ma lui e Will erano rimasti accanto alla figlia della defunta. Quando glielo avevano chiesto, la donna non era riuscita a spiegare perché non avesse denunciato la scomparsa della madre, l’unica ragione per cui avevano motivo di arrestarla. Will vedeva in lei una mesta e infantile disperazione che non doveva essere un
caso isolato; l’aveva già vista sui volti della gente del luogo: un avvizzito, disperato, ottuso senso di sconfitta. Will ipotizzò che fosse talmente spaventata dall’idea di stare sola a questo mondo da arrivare a considerare persino una defunta come una gradita compagnia.


Henry Wise (1982) si è laureato al Virginia Military Institute e ha conseguito un Master of Fine Arts all’Università del Mississippi. Scrittore eclettico e appassionato di poesia e fotografia, i suoi lavori sono stati pubblicati su “Shenandoah”, “Nixes Mate Review”, “Radar Poetry”, “Clackamas” e altre importanti riviste, fra cui la pluripremiata “Southern Cultures”. Holy City è il suo esordio letterario. 


(foto di Lisa Damico)

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