Laura Pearson
LA LISTA DI MABEL
(titolo originale The Last List of Mabel Beaumont, Boldwood Books Ltd., 2023)
traduzione di Patrizia Spinato
Astoria
gennaio 2025
pp.336, euro 19
ISBN 978-88-3321-253-1
gennaio 2025
pp.336, euro 19
ISBN 978-88-3321-253-1
Non sono pentita delle scelte che ho fatto d'impulso. Adesso potrei imparare qualcosa, e alla mia età è un privilegio. Cambiare qualcosa, oppure scoprirlo. Per continuare a crescere.
Il marito di Mabel Beaumont, Arthur,
amava le liste: quelle della spesa, quelle dei pro e contro, quelle
delle cose da fare. Lasciarle in giro per casa era un piccolo rituale
quotidiano, ma ora Arthur è morto e, a ottantasei anni, Mabel deve
fare i conti con un’inattesa, temibile solitudine. Ma anche con
un’ultima lista, che contiene solo una voce: CERCARE D.
D. – Mabel ne è certa – è Dot, l’unica amica che lei abbia mai avuto, sparita da un giorno all’altro sessant’anni prima. Ritrovarla sembra impossibile… tuttavia questa ricerca potrebbe essere ciò di cui Mabel ha bisogno per uscire dal suo guscio, per trovare una ragione di vita nonostante tutto. E così decide di fare un tentativo, di iniziare a dire di sì dopo aver detto sempre di no. E non sarà solo la sua vita a cambiare di conseguenza, ma anche quella delle amiche che incontra lungo la strada: Erin, una giovane cassiera in rotta con la famiglia; Julie, la badante voluta da Arthur; Patty, una vivace insegnante di danza settantenne, e Kirsty, una neomamma che nasconde un segreto. Donne diversissime, per età, percorso di vita e sogni, eppure ognuna di loro diventa una voce della lista che Mabel ha iniziato a stilare per sé stessa: quella delle cose da fare (e delle persone da aiutare) prima di andarsene. Riuscirà a completarla in tempo, a esaudire l’ultimo desiderio di Arthur e a dire a Dot quello che non ha avuto il coraggio di dirle tanti anni prima?
L'incipit
Sono sessantadue anni che preparo il tè per me e per Arthur. Abbiamo cambiato due case, e Dio solo sa quanti bollitori, ma siamo sempre stati io, lui e la nostra tazza di tè per cominciare la giornata. Ora è seduto al tavolo della cucina con una penna, alle prese con il cruciverba. Ha aperto una finestra e sento gli uccellini cinguettare in giardino. Un merlo, credo, e un pettirosso. Si stanno dicendo tutta una serie di cose che non so interpretare. Quando mi metterò seduta, Arthur ripiegherà il giornale, poserà la penna, dirà: “Bene” e parleremo dei programmi per la giornata. Una passeggiata o un lavoretto, niente di che. Quando ancora non eravamo in pensione, queste decisioni riguardavano soltanto il fine settimana; adesso lo facciamo all’inizio di ogni giorno che ci si allunga davanti con tutte le sue ore, l’una dopo l’altra.
Immergo la bustina; nella mia tazza c’è già il latte, ma a lui lo aggiungo solo alla fine. Con mezzo cucchiaino di zucchero. Una volta erano due, poi uno solo. “Che senso ha farne a meno, all’età che abbiamo?” protestava lui, ma io ho ridotto comunque le dosi. Olly sta fiutando ai miei piedi, in cerca di briciole che potrebbero essermi cadute. Mi abbasso per dargli un buffetto sulla testa, ma lui si scosta per avvicinarsi ad Arthur, come sempre. Puzza di fiume, e mi riprometto di lavarlo quanto prima. Ci sono due fette nel tostapane, con burro e marmellata lì accanto, pronti. Vorrei dire qualcosa, parole che aspettano di uscire da secoli sulla vita che ci siamo costruiti, ma che rimangono incastrate in gola. Come sempre.
Porto le tazze in tavola, osservando il vapore che sale e si inclina, seguendo la direzione dei miei passi.
Arthur ripiega il giornale. “Bene. Che programmi abbiamo, per oggi?”
Scuoto la testa; le fette di pane escono con un debole scatto metallico.
“Io vado al funerale di Tommy Waites.”
C’è sempre un funerale al quale andare, alla nostra età. Quando ancora faceva il barbiere, Arthur tagliava i capelli a Tommy, e a volte bevevano qualcosa insieme al club del Partito conservatore. È andato alla cerimonia funebre di gente cui era molto meno legato. Non so mai se ci va perché ci tiene davvero o solo per uscire di casa. Tramezzini e patatine un po’ stantie; un paio di whisky prima di andarsene.
“Vai tu. Io lo conoscevo appena.”
“Sono sicuro che Moira sarebbe felice di vederti.”
“Appunto, non sapevo nemmeno come si chiamasse la moglie. Dubito che per lei faccia differenza, se ci sono o no.”
Alza appena le spalle, ma capisco che se l’è presa. So leggere alla perfezione il linguaggio del suo corpo, così come lui il mio. Non si vive insieme per oltre sessant’anni senza imparare qualche cosetta.
“E cosa farai, mentre sono via?”
Potrei leggere, lavorare un po’ a maglia o guardare le vecchie foto. Potrei anche rimanere seduta a pensare, abbandonandomi semplicemente ai ricordi, riflettendo sulla mia vita. Sulla nostra vita. Ma Arthur non ama queste cose, per lui sono debolezze. Bisogna sempre guardare avanti, questo è il suo motto. Uno dei tanti. Io sono più il tipo che si guarda indietro, soprattutto adesso, che la strada percorsa è tanta e quella davanti sempre più breve. Cosa c’è di male a trascorrere gli ultimi giorni meditando serenamente? È troppo tardi per cambiare il mondo, o no? È questo, il nostro problema: io sto scalando le marce, lui invece cerca ancora di andare a tavoletta.
Laura Pearson si è laureata in scrittura creativa all’università di Chichester e ha scritto per il Guardian e il Telegraph. È autrice di diversi romanzi, che spesso hanno al centro donne fuori dagli schemi. Vive nel Leicestershire con il marito e due figli.
D. – Mabel ne è certa – è Dot, l’unica amica che lei abbia mai avuto, sparita da un giorno all’altro sessant’anni prima. Ritrovarla sembra impossibile… tuttavia questa ricerca potrebbe essere ciò di cui Mabel ha bisogno per uscire dal suo guscio, per trovare una ragione di vita nonostante tutto. E così decide di fare un tentativo, di iniziare a dire di sì dopo aver detto sempre di no. E non sarà solo la sua vita a cambiare di conseguenza, ma anche quella delle amiche che incontra lungo la strada: Erin, una giovane cassiera in rotta con la famiglia; Julie, la badante voluta da Arthur; Patty, una vivace insegnante di danza settantenne, e Kirsty, una neomamma che nasconde un segreto. Donne diversissime, per età, percorso di vita e sogni, eppure ognuna di loro diventa una voce della lista che Mabel ha iniziato a stilare per sé stessa: quella delle cose da fare (e delle persone da aiutare) prima di andarsene. Riuscirà a completarla in tempo, a esaudire l’ultimo desiderio di Arthur e a dire a Dot quello che non ha avuto il coraggio di dirle tanti anni prima?
L'incipit
Sono sessantadue anni che preparo il tè per me e per Arthur. Abbiamo cambiato due case, e Dio solo sa quanti bollitori, ma siamo sempre stati io, lui e la nostra tazza di tè per cominciare la giornata. Ora è seduto al tavolo della cucina con una penna, alle prese con il cruciverba. Ha aperto una finestra e sento gli uccellini cinguettare in giardino. Un merlo, credo, e un pettirosso. Si stanno dicendo tutta una serie di cose che non so interpretare. Quando mi metterò seduta, Arthur ripiegherà il giornale, poserà la penna, dirà: “Bene” e parleremo dei programmi per la giornata. Una passeggiata o un lavoretto, niente di che. Quando ancora non eravamo in pensione, queste decisioni riguardavano soltanto il fine settimana; adesso lo facciamo all’inizio di ogni giorno che ci si allunga davanti con tutte le sue ore, l’una dopo l’altra.
Immergo la bustina; nella mia tazza c’è già il latte, ma a lui lo aggiungo solo alla fine. Con mezzo cucchiaino di zucchero. Una volta erano due, poi uno solo. “Che senso ha farne a meno, all’età che abbiamo?” protestava lui, ma io ho ridotto comunque le dosi. Olly sta fiutando ai miei piedi, in cerca di briciole che potrebbero essermi cadute. Mi abbasso per dargli un buffetto sulla testa, ma lui si scosta per avvicinarsi ad Arthur, come sempre. Puzza di fiume, e mi riprometto di lavarlo quanto prima. Ci sono due fette nel tostapane, con burro e marmellata lì accanto, pronti. Vorrei dire qualcosa, parole che aspettano di uscire da secoli sulla vita che ci siamo costruiti, ma che rimangono incastrate in gola. Come sempre.
Porto le tazze in tavola, osservando il vapore che sale e si inclina, seguendo la direzione dei miei passi.
Arthur ripiega il giornale. “Bene. Che programmi abbiamo, per oggi?”
Scuoto la testa; le fette di pane escono con un debole scatto metallico.
“Io vado al funerale di Tommy Waites.”
C’è sempre un funerale al quale andare, alla nostra età. Quando ancora faceva il barbiere, Arthur tagliava i capelli a Tommy, e a volte bevevano qualcosa insieme al club del Partito conservatore. È andato alla cerimonia funebre di gente cui era molto meno legato. Non so mai se ci va perché ci tiene davvero o solo per uscire di casa. Tramezzini e patatine un po’ stantie; un paio di whisky prima di andarsene.
“Vai tu. Io lo conoscevo appena.”
“Sono sicuro che Moira sarebbe felice di vederti.”
“Appunto, non sapevo nemmeno come si chiamasse la moglie. Dubito che per lei faccia differenza, se ci sono o no.”
Alza appena le spalle, ma capisco che se l’è presa. So leggere alla perfezione il linguaggio del suo corpo, così come lui il mio. Non si vive insieme per oltre sessant’anni senza imparare qualche cosetta.
“E cosa farai, mentre sono via?”
Potrei leggere, lavorare un po’ a maglia o guardare le vecchie foto. Potrei anche rimanere seduta a pensare, abbandonandomi semplicemente ai ricordi, riflettendo sulla mia vita. Sulla nostra vita. Ma Arthur non ama queste cose, per lui sono debolezze. Bisogna sempre guardare avanti, questo è il suo motto. Uno dei tanti. Io sono più il tipo che si guarda indietro, soprattutto adesso, che la strada percorsa è tanta e quella davanti sempre più breve. Cosa c’è di male a trascorrere gli ultimi giorni meditando serenamente? È troppo tardi per cambiare il mondo, o no? È questo, il nostro problema: io sto scalando le marce, lui invece cerca ancora di andare a tavoletta.
Laura Pearson si è laureata in scrittura creativa all’università di Chichester e ha scritto per il Guardian e il Telegraph. È autrice di diversi romanzi, che spesso hanno al centro donne fuori dagli schemi. Vive nel Leicestershire con il marito e due figli.
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