Raffaele Cataldi
MALESANGUE
Storia di un operaio dell'Ilva di Taranto
prefazione di Virginia Rondinelli
postfazione di Stefania Barca
Alegre
gennaio 202
pp. 144, euro 13
ISBN 9791255600367
Raffaele gioca a calcio, fa il portiere, ed è un tifoso accanito del Taranto, luogo in cui è nato. Crescendo diventa l’allenatore dei portieri della prima squadra della sua città nel campionato nazionale dilettanti, ma soprattutto diventa un operaio dell’Ilva.
L’ingresso nella più grande e inquinante acciaieria d’Europa gli fa vivere eventi traumatici legati al lavoro operaio, tra sfruttamento, mancanza di sicurezza e gravi effetti sulla salute. Nel 2012 i magistrati certificano che quella fabbrica è nociva per ambiente, operai e cittadini ma la produzione va avanti a colpi di decreti di diversi governi. Con i lavoratori divisi dal ricatto tra occupazione e ambiente, tra salario e salute.
Quando irrompe la lotta, di fronte alle contraddizioni del suo stesso sindacato, Raffaele, insieme a un pugno di operai, fonda il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, che propone una forma di ambientalismo working class e costruisce un nuovo senso di comunità e solidarietà. Dando vita, tra l’altro, all’Uno Maggio tarantino, evento di musica e lotta cresciuto sempre di più negli anni.
Una storia di rabbia e sangue amaro, in cui c’è chi si è ammalato, chi si è licenziato, chi ha avuto crisi familiari irreversibili e chi ha perso la vita. Una storia di amore e amicizia, di passione politica e calcistica, di speranze e delusioni, e di solitudine: quella non soltanto di un uomo, ma di un’intera classe operaia lasciata da sola ad affrontare enormi ingiustizie e a immaginare un futuro diverso.
“Seduto di fianco alla finestra, guardo adesso una manciata di foglietti sparsi sul tavolo. Anzi, sono loro a guardare me. Mi chiedono di prendere forma, di diventare racconto, il mio, il racconto di Raffaele. Ma anche il nostro, il racconto di una manciata di persone – soprattutto operai, ma anche cittadini di Taranto, uomini e donne – che da quando sono salite su un Apecar, in un giorno bollente d’agosto del 2012, non si sono più lasciate, nonostante tante volte si sia arrivati a un passo dal dire basta.”
dalla postfazione di Stefania Barca
La storia raccontata in questo libro si
svolge in una città operaia del sud Italia – anzi, è quella di
questa città, in un certo senso – e non potrebbe essere altrove. È
una storia di rabbia e sangue amaro, di amore e amicizia, di passione
politica e calcistica, di grandi speranze e grandi delusioni, e di
solitudine: quella non soltanto di un uomo, ma di un’intera classe
operaia lasciata a districarsi da sola con ingiustizie gigantesche,
vecchie e nuove – la più grande e invincibile delle quali sembra
essere quella del ricatto occupazionale, o anche l’ingiustizia
ambientale. Perché l’ingiustizia ambientale in una comunità
operaia del sud si presenta così, come una promessa meravigliosa –
l’occupazione, il reddito, i diritti… la normalità! – che
nasconde un costo umano spaventoso, così spaventoso che nessuno vuol
vederlo, che si può solo provare a esorcizzare, o alla peggio
anestetizzare. È una promessa che nasconde un grande ricatto e un
grande tradimento: il ricatto del lavoro (occupazione contro ambiente
e salute), e il tradimento della politica. Questa è stata, e
continua a ripetersi stancamente, la storia dello stabilimento Ilva
di Taranto dagli anni Sessanta a oggi: fin da quando il sacrificio
degli ulivi secolari, abbattuti per far posto al siderurgico più
grande d’Europa, presagiva quello del suolo e delle pecore,
contaminati da diossina, quello del mare e del cielo carichi di
veleni, quello dei bambini e di un’intera comunità, a cominciare
dagli operai che morirono per costruire il mostro e quelli che
quotidianamente, da allora, entrano tutti i giorni nelle sue fauci. (...)
Nessun commento:
Posta un commento