sabato 27 settembre 2025

Cameron Stewart - PERCHE' I CAVALLI CORRONO ? - Carbonio

 
Cameron Stewart
PERCHE' I CAVALLI CORRONO ?
(titolo originale Why do horses run ?, 2024)
traduzione di Barbara Ronca
Carbonio editore
collana Cielo stellato
pp. 304, euro 19,50


L’uomo cammina decine di chilometri al giorno su e giù per l’Australia orientale; dall’estremità nord, lambisce l’intera costa fino a raggiungere il Nuovo Galles del Sud. 
Si lascia alle spalle il Great Dividing Range; supera brughiere alpine e altopiani, mentre pro­montori frastagliati gli offrono la visuale di schegge di oceano; percorre vallate strette e scoscese, pianure alluvionali, luoghi da pascolo immensi, basse catene di colline verdeggianti; si addentra in boschi di eucalipti, in campi di canna da zucchero e di mirtilli; attraversa ponti ferroviari e città minerarie.  Preferisce sentieri isolati e vie secondarie, con la luce; si tiene ai bordi delle strade di scorrimento, con il buio.
L’importante è ridurre al minimo ogni contatto umano, fermarsi lo stretto necessario, poiché ogni sosta può trasformarsi in una trappola, basta un attimo per sprigionare i ricordi, per mandarli a briglia sciolta come i cavalli che corrono, poco importa se via da qualcosa o verso qualcosa.
L’uomo deve avere più di quarant’anni, il viso e il corpo sono quelli di uno sciupato dalle intemperie. Sotto gli occhi, ha rughe marcate, la barba e i capelli sono lunghi e bruciati dal sole, il fisico è scarno.
Annota i pensieri in un blocchetto sgualcito. Ha smesso di parlare da tre anni, da quando peregrinare è diventato il suo unico obiettivo e un pezzo d’ambra – il regalo di chi ha amato di più e ama ancora – l’unica cosa alla quale tiene.
Durante il cammino, incrocia cercatori d’oro imbroglioni, cacciatori di canguri sinistri, automobilisti bruschi ma i cui passaggi gli risparmiano i tragitti più faticosi.
Vive di ciò che la terra gli concede, talvolta raccogliendo frutta in fattorie gigantesche al fianco di nomadi, Pacific Islanders stagionali, la­voratori irregolari con il terrore di essere deportati. 
Un giorno, arrivato in una valle tropicale, l’uomo adocchia un capanno di banane in una vasta tenuta.
È esausto, dorme male da troppo tempo, ha bisogno di riposarsi.
Quando Hilda, l’anziana proprietaria, si avvicina guardinga insieme al suo cane, le passa dei foglietti strappati dal taccuino su cui scrive:
Posso dormire nel capanno in fondo alla collina?
Tre giorni. Le sarò debitore.
Se Ingvar non parla, Hilda parla senza sosta con Col, il marito defunto, al quale ha ancora diverse cose da dire e da puntualizzare.
A poco a poco, nella quotidianità scandita dalle incombenze della fattoria e dagli umori della natura, tra Ingvar e Hilda si instaura una vicinanza autentica e l’uno riesce a scorgere nell’altro il riflesso delle proprie ferite.
In questa solidarietà forte e istintiva, il dolore di entrambi trova un inatteso conforto e una possibilità di rinascita.
Cameron Stewart declina temi capitali come la perdita, la colpa, il caso, l’amicizia dentro un racconto possente in cui il protagonismo della natura smorza ogni rischio di retorica.
Perché i cavalli corrono? è un’istigazione al viaggio.
Viaggio alla ricerca di un altro sé, capace di perdonarsi e di godere di quello che ancora aspetta di essere vissuto.
Viaggio alla scoperta del mondo, che in queste pagine coincide con la wilderness australiana e i suoi contrasti vertiginosi. Accanto a paesaggi sconfinati segnati dall’incuria umana – tenute agricole fatiscenti, recinti abbandonati, carcasse di automobili, assi di legno marcio, serre in rovina, cancelli arrugginiti –, una fauna magnificente, dove spiccano marsupiali e volatili di ogni tipo, vive in una vegetazione altrettanto grandiosa tra boschi aperti, foreste pluviali, prati, giardini e una moltitudine di piante sconosciute all’occhio europeo.
Una natura fonte di paura e di meraviglia, che schiaccia e consola, mette alla prova e protegge.
Mi chiamo Ingvar.
Pur sconcertata – il capanno non ha elettricità e non è escluso sia diventato riparo dei serpenti –, la donna acconsente.
I tre giorni previsti passano, ma Ingvar non ha lasciato il capanno. Si è messo in testa di lastricare il vialetto d’accesso alla fattoria che si snoda per ben duecento metri dal fondo della vallata fino alla tenuta e che, quando piove, diventa un pericolo per Hilda tanto si fa scivoloso e impraticabile. 
Comincia una strana convivenza.

L'Inizio

PRIMA

Le chiome degli alberi ondeggiarono, innaffiando Ingvar di pioggia invernale. Lui non batté ciglio. Tirò fuori una lente di ingrandimento e si chinò in avanti per guardare meglio. Nascosto sotto il pacciame c’erano tre capolini scintillanti, ciascuno della dimensione di una grossa moneta. Ogni fiore presentava una serie di brattee color crema, chiazzate di viola e raggruppate assieme in una spirale rivolta verso l’interno. Le infiorescenze emanavano un profumo dolce che ricordava la vaniglia. Ingvar si passò il pollice sull’angolo dell’occhio sinistro, sporco di terriccio, e sbatté le palpebre. Il cuore gli batteva forte. Davanti a lui c’era una delle piante più rare al mondo: la Rhizanthella slateri, un’orchidea sotterranea in grado di germogliare, crescere e fiorire senza mai emergere dal terreno. Aiutandosi con una paletta da giardiniere, Ingvar grattò via altra terra. Al di sotto delle ceree teste di fiore si trovava un gambo carnoso e bianco, sviluppatosi da un rizoma orizzontale. Non c’erano radici. L’alterità assoluta di quella pianta colpì Ingvar. Gli tornò in mente un brano di un vecchio libro sul naturalismo, che raccontava di un ateo che era andato a visitare una mostra di orchidee e ne era uscito convinto che il diavolo esistesse. Una raff ica di vento freddo si insinuò tra gli alberi e Ingvar sollevò la testa. Un corvo lo teneva sott’occhio da un ramo umido. Aveva smesso di piovere, ma si stava facendo buio. Ingvar tornò a rivolgere la sua attenzione all’orchidea e sfilò di tasca il telefono per scattarle qualche fotografia. Poi si alzò in piedi e registrò le coordinate gps. Era ora di tornare in città. Di tornare a casa sua.

ADESSO – 1 strade secondarie

Adesso mangio gli animali uccisi dalle auto di passaggio. Quando la fame si fa disperata prendo le carcasse che trovo sulla strada. Conigli, canguri, goanna: purché non siano già rigidi, purché i muscoli si f lettano, sono ancora commestibili. Li eviscero e controllo che non ci siano parassiti. Arrostisco pezzetti di carne sulla punta del coltello o su rametti verdi che ho strappato da un arboscello. I corvi vengono meglio cotti sulle braci. Quando sono costretto ad andare in città per procurarmi delle provviste, vedo altre persone. Vedo persone che fanno spese o commissioni, mangiano nei bar o fanno la fila. Stanno in piedi, studiando il telefono o chiacchierando, oppure guidano tra le vie della città. Vedo persone che fanno jogging. Qualcuno porta il cane a passeggio o pedala in bicicletta. Quando mi fermo davanti alle scuole guardo i genitori prendere i figli e aiutarli con lo zaino. Li abbracciano, parlano con loro della giornata trascorsa o gli arruffano i capelli. Qualche volta li vedo ridere. Quelle sono le immagini che mi spaventano di più. Li vedo scivolar via in barca a remi, ridendo e facendo cenni di saluto, ignari del fatto che stanno remando verso una cascata letale. Ma non rimango mai a lungo in città, perché la gente mi rende nervoso. Percorro le strade di campagna. Le strade secondarie. Cammino finché sono troppo stanco per proseguire. Giorno o notte, poco importa. Non sono schizzinoso quando si tratta di dormire: sul terreno, nei fossi, sotto i ponti o nell’erba alta accanto a tronchi marci. Questi sono i miei letti, adesso. Osservo verdi nubi di parrocchetti trasformare il cielo in un caleidoscopio, poi cala la notte e la mia mente vaga in luoghi dove non voglio seguirla, perciò mi alzo e riprendo a camminare. Sento lo spostamento d’aria dei camion di passaggio. Quando passo davanti a un cippo commemorativo a bordo strada lo sfioro con la mano.

Ieri notte camminavo verso nord lungo una via secondaria, e mi sono venute in mente le placche tettoniche e le tigri della Tasmania. La luna emanava un bagliore intenso, l’aria era fresca e io avevo percorso forse trenta chilometri prima dell’alba. Riesco a camminare per ore adesso, senza pensare a granché. Certi giorni ho la mente completamente svuotata. Ma ieri notte ho pensato al fatto che stavo camminando diretto a nord su una terra che a sua volta si sposta verso nord. Quando il Gondwana si frammentò, la placca continentale australiana andò alla deriva verso nord a una velocità di circa sei centimetri all’anno per cinquanta milioni di anni. Dopo aver percorso più o meno tremila chilometri, alla fine si scontrò con la placca del Pacifico, costringendola a inabissarsi nel mantello terrestre. Le rocce si fusero e piegarono, la terra si impennò e si formarono le montagne. Quella collisione diede origine alle catene montuose della Papua Nuova Guinea ma anche alle acque del Torres Strait, che adesso la separa dall’Australia. Poi, circa trentamila anni fa, quando ebbe inizio l’Era Glaciale e il livello del mare si abbassò di oltre cento metri, emerse una massa continentale che si estendeva dalla Tasmania fino alla Papua Nuova Guinea, e le tigri della Tasmania, o tilacini, si diffusero in tutta la regione. Resti fossilizzati sono stati ritrovati in Nuova Guinea, nell’Australia continentale e in Tasmania. Ci sono anche delle pitture rupestri che li raffigurano fin nella remota regione del Kimberley nel Western Australia.

Attore, sceneggiatore e scrittore australiano, Cameron Stewart è cresciuto in una fattoria vicino alla cittadina di Mullumbimby, nel Nuovo Galles del Sud. I suoi genitori, la madre, botanica, e il padre, ornitologo, sono state figure fondamentali per la sua conoscenza della natura e del paesaggio australiani, maturata sin da piccolo. Ha vissuto ad Alice Springs, Canberra, Cairns, stabilendosi infine a Sydney, dove ha studiato Scrittura creativa e Discipline dello spettacolo e lavorato per diversi anni. Oggi vive in Corea del Sud, a Seul. Dopo essersi fatto notare con i suoi racconti, usciti su riviste e antologie – David Leavitt è stato tra i suoi editor –, nel 2024 ha pubblicato il suo primo romanzo Perché i cavalli corrono?, vincitore del MUD, tra i maggiori riconoscimenti letterari australiani, assegnato dall’omonimo Club Letterario durante l’Adelaide Writers’ Week, che si tiene ogni marzo da sessantacinque anni. Perché i cavalli corrono? è stato anche tra i finalisti – nella sezione ‘esordi’ – dei NSW Literary Awards, uno dei più ricchi e longevi premi letterari australiani. Stewart è attualmente impegnato nella stesura di Cosmonaut, il suo secondo romanzo.

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