giovedì 11 settembre 2025

Fernando Rennis - POP IS DEAD. La storia dei Radiohead - Nottetempo

 
Fernando Rennis
POP IS DEAD
La storia dei Radiohead

Nottetempo
agosto 2025
pp. 348, euro 18,90
ISBN 9791254801918

 
I Radiohead esordiscono nel 1992 con Creep, un singolo di grande successo commerciale che finiranno presto per odiare, e da lì in avanti sfidano le convenzioni del pop per diventare, nei decenni successivi, un gruppo imprevedibile e spiazzante, non solo dal punto di vista musicale: l’antitesi delle rockstar, gli interpreti irrequieti di un mondo distopico in radicale cambiamento, un poliedro pieno di contrasti. La loro storia è sorprendente, come la loro discografia, in cui convivono Ok Computer (1997), definito “l’ultimo grande album rock del xx secolo”, Kid A (2000), un disco che spinge sull’elettronica, e In Rainbows (2007), una sintesi sonora pubblicata in digitale sul sito del gruppo, con prezzo a scelta. Un decennio dopo, mentre venivano analizzati in ogni loro aspetto e conquistavano nuove generazioni di fan, i Radiohead si sarebbero eclissati, concentrandosi sui progetti solisti. A quarant’anni dai primi tentativi nelle sale di musica della scuola di Abingdon, la band è ormai circondata da un’aura mitologica e schiere di adepti, ma non cessa di essere “un disturbo, un’anomalia che rischia di incantarci”. Restano aspetti ancora poco conosciuti della storia e del “fenomeno Radiohead”, stereotipi da smontare, contraddizioni da approfondire, indizi da sondare: come ha fatto Fernando Rennis, che da anni è sulle tracce dei cinque di Oxford e ha parlato con i loro insegnanti e compagni di scuola, intervistato musicisti, registi, giornalisti e collaboratori che hanno incrociato le loro vicende. Attraverso una ricerca rigorosa e uno sguardo appassionato, questo libro ci guida in un viaggio documentato e coinvolgente nel cuore inquieto della musica contemporanea.  
  
Un estratto

E così, sono morto.
Tutto quell’affanno, quella pressione. Corri e non fermarti, mai. Ossessioni, rinunce, sacrifici: è tutto finito. Niente più compromessi, niente più crisi di panico. Vuoi vedere che l’ambizione ci rende davvero più brutti? Ne avevo tantissima, ma non sto così male, ora, in questa bara trasparente. Ho la testa poggiata su un cuscino color porpora che non si scompone quando sei ragazzi mi prendono in spalla e una fila serpeggia per la campagna inglese. C’è perfino il sole. Sono morto mentre il nostro disco d’esordio annega nei bassifondi delle classifiche in America e nel Regno Unito. Il pop sta peggio di me, ma non lo sa. S’è fatto più plastiche facciali di chi ha paura del tempo. È passato a miglior vita a suon di back catalogue. Quella, sì, è una morte atroce. Ora mandate avanti il nastro. Mi vedrete ricevere un Grammy per l’ultimo grande album rock del Ventesimo secolo. Ascoltare sfinito, accovacciato, in lacrime sul sedile posteriore di un’auto inghiottita nel buio dell’Oxfordshire il disco successivo, quello che sorprende tutti. Finire in copertina anni dopo per un album che ha quasi distrutto il mio gruppo e ha fatto venire un infarto all’industria musicale. Ma adesso sono qui, pallido e in giacca nera. Sono morto. Il pop è morto.

Quando i Radiohead pubblicano il singolo non proprio memorabile Pop Is Dead, nel maggio del 1993, avevano già esordito 9con l’album Pablo Honey, uscito a febbraio. Il video del brano alterna scene del presunto funerale del cantante Thom Yorke e della sua resurrezione da un sepolcro di pietra a quelle del quintetto: alla batteria siede Phil Selway, al basso c’è Colin Greenwood e, poi, ben tre chitarre, suonate da suo fratello Jonny, da Ed O’Brien e dalla voce della band. Il disco di debutto era stato anticipato nel settembre dell’anno prima da Creep, una canzone deprimente che ci metterà dodici mesi per diventare un successo enorme, commerciale, “facile”. Tutti pensano sia l’effimero, fortunato trionfo di un fenomeno passeggero, e i suoi stessi autori lo odiano al punto da soprannominarlo crap, merda. Invece, nei decenni successivi i cinque ragazzi di Oxford diventeranno un gruppo imprevedibile, non solo dal punto di vista musicale. A un certo punto tutti cercheranno di suonare come i Radiohead, tutti si ispireranno ai Radiohead. Tutti vorranno essere i Radiohead. Ancora oggi, per sottolineare il lavoro più sperimentale di una carriera artistica si ricorre molto spesso all’espressione “è il suo Kid A”, in riferimento al quarto disco in studio del quintetto, pubblicato nel 2000. Quando, durante un concerto, Michael Stipe degli r.e.m. confessa al pubblico: “I Radiohead sono così bravi che mi fanno paura”, non è ancora uscito Ok Computer. I cinque lo presentano una sera di fine primavera del 1997 all’Irving Plaza di New York, e devono persino aggiungere a penna alla lista degli ospiti alcuni personaggi famosi che vogliono partecipare. Il pubblico assiste a un concerto perfetto che Mike Mills degli r.e.m. indica a Mojo come il migliore dell’anno. Ma i Radiohead sono tanto avanguardisti quanto tradizionalisti: nella sala, Ed O’Brien fa scambiare il tavolo di Madonna con quello di sua madre, che può così guardarlo da un posto privilegiato.
La loro evoluzione è inversa rispetto alle parabole classiche del mondo della musica. Si sono allontanati dall’iniziale successo di facile assimilazione per inglobare nel loro sound musica elettronica, classica, sperimentale, atmosfere di vecchi brani riscoperti su vinili ingialliti del Ventesimo secolo. Messa alle spalle l’esperienza con una storica major, sono diventati “la più grande band al mondo senza un contratto discografico”, pubblicando i dischi da sé. I Radiohead hanno sempre avuto un atteggiamento entusiasta verso i nuovi suoni, unito a un’attenzione maniacale ai dettagli. La loro è una storia di continuo rinnovamento, una costante messa in discussione di quanto fatto in precedenza. (...)

Fernando Rennis scrive e parla di musica. I suoi articoli sono apparsi su testate italiane e internazionali. Conduce This Is Pop?, un programma radiofonico da cui sono nati anche un blog e un podcast. Ha pubblicato vari libri, tra cui Charming men. La storia degli Smiths (nottetempo, 2024), Un glorioso fallimento. L’eterno presente della Factory Records (Arcana, 2022) e Politics. La musica angloamericana nell’era di Trump e della Brexit (Arcana, 2018). 

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