Dan Hancox
MOLTITUDINI
Anatomia e politica delle folle
(titolo originale Multitudes: How Crowds Made the Modern World, Verso Boooks, ottobre 2024)
traduzione di Michele Piumini
Illustrazione di HaloHalo
add editore
settembre 2025
pp. 304, euro 20
ISBN 9788867835140
Moltitudini è un’indagine affascinante del ruolo della collettività nella formazione della società moderna. Hancox esplora il potere trasformativo delle masse, viste come ideale democratico, raccontandoci come abbiano influenzato eventi politici, culturali e sociali e come siano state a loro volta plasmate da governi, media e spazi urbani. Contrapponendo la sua visione a quella di Gustave Le Bon, che vedeva le folle come entità distruttive da controllare, Hancox evidenzia il potenziale dell’aggregazione umana, spaziando dalle rivoluzioni di Parigi fino ai festival musicali, alle folle calcistiche e al carnevale di Notting Hill. Analizzando la moderna e crescente tendenza a limitare gli spazi pubblici e il diritto di riunione, mentre governi e aziende cercano di controllare o privatizzare le aggregazioni spontanee, Moltitudini è un antidoto all’isolamento promosso dal consumismo moderno e dalla tecnologia, e sottolinea l’importanza delle esperienze collettive nella costruzione di una società più equa. Ci invita a riconquistare le strade e le piazze come luoghi di espressione collettiva e di libertà.
Un estratto dalla Prefazione
EL CARNAVAL DE CÁDIZ
Da ogni punto di vista, Cadice è un’anomalia nella Spagna moderna. È una spettacolare città antica, la più vecchia del mondo occidentale. Un tempo era un’isola, e oggi si trova sulla punta di una sottile lingua di terra sabbiosa protesa nell’oceano Atlantico sulla costa sudoccidentale spagnola, un labirinto di strade acciottolate delicatamente indorate da secoli di spruzzi salmastri e sherry secco. Raffiche di vento sferzano le mura cinquecentesche della città, mentre il cielo di febbraio è così limpido che ti abbaglia, una vasta e scintillante pozza azzurra. Cose che altrove sarebbero separate da confini netti si fondono l’una nell’altra: mare e cielo, marciapiede e strada, esterni e interni.
Le merlature, i forti, i cannoni, le torri di guardia sparse sul promontorio a forma di rastrello richiamano alla memoria i tanti eserciti, armate, avanguardie e guarnigioni che un tempo combattevano per la città, dai cartaginesi ai mori, dai bizantini ai visigoti. Oggi, i discendenti di queste folle armate di spada si presentano e si comportano in maniera leggermente diversa. Un gruppo di uomini di mezza età entra in scena. Sfoggiano costumi da Minions azzurri e gialli a buon mercato e ridono fragorosamente mentre si scolano enormi bottiglie di birra Cruzcampo.
Spazio pubblico qui significa strade e piazze in lento movimento sotto balconcini stile Giulietta, niente affatto consoni alla truce gerarchia della città moderna tutta incentrata sulle auto private. A un certo punto, durante i quattro giorni che trascorro nel famoso carnevale prequaresimale di Cadice, assisto a una collisione perfetta tra la vita del XXI secolo e il venerabile Casco Antiguo, il centro storico della città: un furgoncino pubblicitario del Monster Energy Drink costretto a fare trenta manovre per girare un angolo, tra le risate e le acclamazioni di una folla di carnavaleros alticci.
Le strade sono pericolosamente strette, come sentieri per le capre, e per undici giorni ogni febbraio sono decorate con un festoso assortimento di coriandoli, piume, stelle f ilanti e birra rovesciata. Ce ne sono di così strette che, se mai dovesse venirmi voglia, potrei stendermi di traverso con la faccia tra i ciottoli e coprirne l’intera larghezza. Bastano quindici minuti per attraversare la città vecchia da una costa all’altra, eppure Cadice ospita uno dei carnevali più grandi d’Europa, capace di attrarre centinaia di migliaia di visitatori.
Il carnevale del 2023 è il primo da tre anni, il primo dopo la pandemia, la ripresa di un evento così fondamentale per la cultura anti establishment di Cadice che nemmeno il generale Franco era riuscito a distruggere. Nella grande Plaza de San Juan de Dios, l’ingresso della città vecchia, la gente si prepara a mescolarsi alla calca, cerca gli amici, mangia bocadillos de jamón avvolti in carta stagnola, osserva i costumi e le buste piene di alcolici degli altri. È come una festa all’aria aperta tra le palme. Intorno a un sound system portatile si è formata una sorta di discoteca virtuale: una trentina di giovani radunati a ballare il reggaeton come un gregge guidato da un cane pastore invisibile.
Altrove sono in programma esibizioni di gruppi dal vivo e dj, ma a parte questo non ci sono molti spettacoli: la gente viene qui per incontrarsi. Nella parte settentrionale del labirinto, carnavaleros di ogni età strascicano i piedi, avanzando a passettini lungo le strade laterali verso Plaza de las Flores, tutti di buonumore, con pazienza, qualcuno tiene zaini e bambini sopra la testa per sgusciare più facilmente. Cercano di arrangiarsi e di fare spazio agli altri, infilandosi negli androni per lasciar passare carrozzine e sedie a rotelle, senza segnaletica e senza ricevere indicazioni: la folla si è divisa spontaneamente in due flussi separati, uno diretto a nord e uno a sud.
A rendere il carnevale di Cadice un’esperienza così fisica e multisensoriale è il fatto che, come ogni altra festa popolare, ti costringe a camminare fino allo stremo. Lo spirito del carnevale lo sento nel profondo dell’anima, ma anche nei polpacci, nei quadricipiti e nelle piante dei piedi in preda a un formicolio micidiale. L’inquietante funzione Timeline del mio Google Maps, quella che ricostruisce i movimenti, sembra il tracciato di uno di quegli esperimenti in cui danno l’lsd ai ragni.
In Plaza de la Catedral, la più imponente di Cadice, le palme giganti ondeggiano melodrammatiche al vento come arpie sotto le cupole della grande chiesa barocca, e la folla di bevitori (duemila? tremila?) vibra di colori e risuona di fischi e risate. In piedi sui gradini della cattedrale, vedo sparsi nella piazza gremita led scintillanti, creste arcobaleno, caschi da pompiere e persone travestite da velociraptor, vichinghi, gamberetti, galeotti, arbitri, pirati, centurioni, Barbie, Super Mario, Minnie, Batman, una Volkswagen, un orologio Casio e uno sciame di api.
Durante il primo e l’ultimo weekend, così come per gran parte della settimana che li separa, la gente canta, balla e beve senza sosta notte e giorno. Con mia grande sorpresa, passano dieci ore prima che veda comparire qui e là qualche agente di polizia.
All’una di notte del primo venerdì del carnevale, gli anziani sono ancora a passeggio lungo l’Atlantico con berretti flosci e cerate mentre mangiano il gelato e sorridono affettuosi a bambini e ragazzi con i loro costumi assurdi. Un gruppo di giovanotti in tonache rosa da suora saluta un gruppo di Power Rangers, come se fossero plotoni dello stesso esercito, mentre una geisha aspetta il suo Zorro fuori dal pisciatoio. Dietro l’angolo, due gruppi di ragazze si incrociano e si fermano a cantare il nuovo singolo di Shakira che si diffonde da una finestra. Gemendo platealmente, alzano le braccia nel freddo cielo di febbraio.
Calma e spensierata, la folla carnevalesca sembra seguire sé stessa, spinta dalla fomo e dall’istinto di trovare la piazza più vivace in ogni momento della lunga settimana di festa: non mancano tranquille stradine laterali per riprendere fiato, ma chi ne ha voglia? Qui si viene per mescolarsi alla folla. E poi è rassicurante stare al centro dell’azione, accalcati sotto calde nubi di fiato etilico, dove la densità umana e le mura macchiate della città offrono un provvidenziale riparo dalle violente raffiche provenienti dall’Atlantico. (...)
Dan Hancox è un giornalista e scrittore londinese noto per i suoi approfondimenti su musica, politica, cultura urbana e società. Ha collaborato con testate prestigiose come «The Guardian», «Independent», «The New York Times», «Vice» e «The Wire». Un suo pezzo è uscito su «The Passenger», e Moltitudini è il suo secondo libro pubblicato in Italia.
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