lunedì 23 giugno 2025

Monica Cristina Gallo - 18 + 1. DICIOTTO ANNI E UN GIORNO - Effatà


Monica Cristina Gallo
18 + 1. DICIOTTO ANNI E UN GIORNO
Il perimetro del vuoto e della solitudine: giovani perduti nelle carceri per adulti

prefazione di Gherardo Colombo
postfazione di Antonella Saracco
Effatà Editrice
giugno 2025
pp, 112, € 14,00
ISBN 9791256750542


Ogni giovane che entra in un carcere per adulti è un giovane che perdiamo. È una vita che, da quel momento, viene intrappolata in un sistema che non è più in grado di offrire speranza, ma solo una continua ripetizione di errori, generando cinismo e disillusione. Il carcere può essere la fine di tutto, ma può anche diventare un punto di svolta.
In Italia, all’inizio del 2025, sono 5067 i giovani detenuti under 25 nelle carceri per adulti: mentre al 30 giugno 2023 erano 3274, oggi si registra un incremento di quasi 1800 unità. A ottobre 2024 un detenuto su otto appartiene a questa fascia di età, dimostrando una crescita del 35% rispetto all’anno precedente.
Ogni giovane che entra in un carcere per adulti è un giovane che perdiamo. È una vita che, da quel momento, viene intrappolata in un sistema che non è più in grado di offrire speranza, ma solo una continua ripetizione di errori. Ogni ragazzo che varca quella soglia entra in un mondo dove la rieducazione è solo una parola vuota e le opportunità di riscatto si riducono a briciole.
I ragazzi imparano a stare dentro quel mondo con cinismo e disillusione, perdendo quasi ogni possibilità di vedere una via d’uscita. E, mentre il loro spirito inizialmente era segnato dalla difficoltà, col passare del tempo esso si rinforza nella delusione e nella rassegnazione, e divengono assuefatti alla realtà che li circonda. Bisogna intervenire prima che questo accada.

Monica Cristina Gallo, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Torino per due mandati quinquennali (2015-2025), si occupa costantemente di incentivare l'esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone detenute, promuovendo altresì iniziative e momenti di sensibilizzazione pubblica relativi ai diritti umani dei carcerati e all’umanizzazione della pena detentiva. Negli ultimi anni ha dedicato la massima attenzione al tema della dignità dei giovani detenuti, in particolare di quelli reclusi nelle carceri destinate agli adulti. È coautrice della ricerca «Giovani dentro e fuori: un’indagine per conoscere la popolazione giovanile nella Casa Circondariale di Torino», realizzata in collaborazione con la Clinica Legale Carcere e Diritti I del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino.

Silvia Bergamini - LA RETE E L'ARZIGOGOLO - Franco Cesati

 
Silvia Bergamini
LA RETE E L'ARZIGOGOLO
Sintassi e poetica di Sciascia e Bufalino a confronto

Franco Cesati Editore
collana Linguistica e critica letteraria / 39
2025
pp. 176, euro 17
ISBN 9791254962411

 
Sciascia e Bufalino: una dicotomia siciliana. Perché paragonare due scrittori così diversi? Questo libro intende fornire un innovativo metodo d’analisi comparativo incentrato sui settori tradizionalmente meno indagati in rapporto ai due autori: la sintassi e la poetica. Da un’analisi sintattico-stilistica di tipo quantitativo e qualitativo condotta su un corpus di romanzi degli anni 1981-1991 scaturisce una nuova interpretazione, più articolata, dei due scrittori, basata sul raffronto tra la “rete” di Sciascia e l’“arzigogolo” di Bufalino. Queste immagini simboleggiano le rispettive ricerche linguistico-stilistiche, per cui tanto Sciascia dissimula la complessità attraverso un’indagine conoscitiva alla ricerca di verità e giustizia quanto Bufalino esibisce tale complessità per una visione introspettiva e immaginifica sull’indecifrabilità del reale. Da questa comparazione emerge una mappa composita, formata da zone d’intersezione tra i due autori e irriducibili differenze.
 
Sono entrata a far parte della Bangor University come docente di Studi Italiani e responsabile del dipartimento di Italiano nel settembre 2018. In precedenza, sono stata Teaching Fellow di Italiano presso l'Università di Leeds (2017-18). I miei interessi di ricerca riguardano la storia della lingua italiana; la linguistica, lo stile e la sintassi italiana; la letteratura del XX secolo (in particolare la letteratura siciliana) e la storia culturale. Applicando una combinazione di approcci quantitativi e qualitativi ai testi letterari, la mia ricerca esplora come le caratteristiche stilistiche e linguistiche facciano luce sulla poetica e sui temi degli autori. La mia ricerca indaga anche le interconnessioni tra la lingua italiana e il suo contesto socio-culturale (identità regionale e varietà linguistica).
Ho conseguito un dottorato di ricerca in Italianistica presso l'Università di Leeds (2016), con una tesi su Sintassi a confronto: la narrativa di Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino, 1981-91 . La mia ricerca di dottorato, interamente finanziata dalla borsa di ricerca dell'Università, si è concentrata sul rapporto tra sintassi, stile e poetica nella narrativa di Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino.
Dopo aver completato il dottorato, ho ottenuto una borsa di studio post-dottorato presso il Leeds Humanities Research Institute. Ho conseguito la laurea magistrale in Linguistica e Civiltà Letteraria Italiana presso l'Università di Bologna (con lode, 2010), con una tesi su La lingua interdetta nella 'Trilogia del Gallismo' di Vitaliano Brancati . Ho anche conseguito una laurea triennale in Lettere, sempre presso l'Università di Bologna (2007), con una tesi dal titolo Mappe, labirinti, fortezze: 'Il Conte di Montecristo' di Italo Calvino .
Ho presentato le mie ricerche a convegni nazionali e internazionali, tra cui la conferenza internazionale AATI (Cagliari, 2018), la conferenza biennale della Society for Italian Studies (Hull, Regno Unito, 2017); Sicilia: lingua, arte e cultura (Filadelfia, 2016).
Il mio articolo su 'Una complessità controllata: la sintassi in Porte aperte di Leonardo Sciascia' è stato pubblicato su The Italianist nel 2018. Ho anche pubblicato un articolo di blog su 'Collaborative Artistic Theory and Practice: Wu Ming and Scrittura Industriale Collettiva' per il progetto Interdisciplinary Italy , un progetto di ricerca finanziato dall'AHRC che esplora la pratica interartistica e intermediale nell'Italia moderna e contemporanea, coordinato dall'Università di Birmingham. - Silvia Bergamini

Antoine De Baecque - LA CINEFILIA - Cue Press

 
Antoine De Baecque
LA CINEFILIA
Invenzione di uno sguardo, storia di una cultura 1944-68

(titolo originale La cinéphilie: Invention d'un regard, histoire d'une culture (1944-1968), Hachette Pluriel Editions, maggio 2013)
a cura di Emiliano Morreale
traduzione do Giovanni Maria Rossi
contributi di Emiliano Morreale
Cue Press
collana I saggi
giugno 2025
pp. 320, euro 32,99
ISBN 9788855103695


La cinefilia era una passione francese. Guardare film, ma anche discuterne, scriverne, incontrarne i registi, fondare riviste, dare vita a cineclub, riunirsi, litigare: è così che i grandi cineasti del XX secolo sono diventati famosi a Parigi tra la Liberazione e il 1968. 
Antoine de Baecque dipinge qui i ritratti di questi giovani ‘appassionati del cinema’ che sono diventati critici, cineasti, scrittori e giornalisti: André Bazin, Eric Rohmer, Henri Langlois, François Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Claude Chabrol e Serge Daney, tra gli altri.
Questi cinefili hanno offerto una prospettiva diversa sulle idee, sulle arti e sui grandi dibattiti degli anni Cinquanta e Sessanta. 
Sulla base di un esame di archivi privati, tesori cinematografici e riviste, questo saggio ricostruisce la profondità dei contesti intellettuali e politici e offre la prima panoramica della cinefilia francese nel suo periodo d’oro. 

Antoine de Baecque è uno storico e critico del cinema.
È stato caporedattore dei «Cahiers du cinéma», ha progettato un museo del cinema per la Cinémathèque française e ha diretto le pagine culturali di «Libération».
Ha pubblicato una storia dei «Cahiers du cinéma» (1991), dei saggi su Andréi Tarkovski (1989), Manoel de Oliveira (1996), La Nouvelle Vague (1998), e una biografia di François Truffaut (1996, con Serge Toubiana). È inoltre uno storico specializzato nell’Illuminismo e nella Rivoluzione francese.


Silvia Lelli - ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI - Seipersei edizioni

 
Silvia Lelli
ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI
testo italiano/inglese
a cura di S.Venturi
traduzionr di T.Marchelli
Seipersei edizioni
maggio 2025
176 pagine su GardaPatt 13 da 150gr, stampa 4/4 colori; Confezione, rilegatura svizzera con dorso scoperto
€40.00
ISBN 9791281174283


È il 2004 quando, sotto l’impulso e la volontà di Riccardo Muti, nasce l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini. Una compagine riservata ai migliori giovani musicisti usciti dai conservatori italiani, rigorosamente sotto i trent’anni, ai quali il Maestro sente il dovere di trasmettere quel bagaglio di saperi e di consapevolezza del “mestiere” maturato nel corso della sua straordinaria esperienza artistica.
Sono passati venti anni: circa un migliaio i giovani che finora vi hanno preso parte (ognuno per un periodo di non oltre tre anni) e, visto che molti di loro sono entrati nelle file delle più importanti orchestre italiane ed europee, l’obiettivo può dirsi decisamente raggiunto.
Ed è per questo che, per celebrare l’evoluzione di questo organismo musicale continuamente cangiante, eppure in costante crescita – come testimoniano i riconoscimenti ricevuti in tutto il mondo – che si ritiene necessario dar conto del percorso fin qui compiuto.

Il libro raccoglie gli scatti di una fotografa del talento e della fama internazionale come Silvia Lelli, e si apre con uno scritto del maestro Riccardo Muti, per poi dipanarsi attraverso un itinerario che tocca i punti salienti della vicenda dell’orchestra: dai primi concerti tenuti nelle due città in cui l’orchestra continua a risiedere, Piacenza e Ravenna, ai successi ottenuti al Festival di Pentecoste di Salisburgo, dove per cinque anni è stata protagonista del progetto di recupero di preziose opere dimenticate della cosiddetta Scuola napoletana, fino alle esibizioni alla Sala d’oro del Musikverein di Vienna. Con pagine dedicate sia alla fitta attività concertistica, in Italia e all’estero, che a quella regolare “in buca”, al servizio dell’opera lirica, ma anche con focus particolari riservati a esperienze quali le diverse edizioni dell’Italian Opera Academy o quelle delle Vie dell’amicizia di Ravenna festival.
Naturalmente, il percorso fotografico non tralascia di cogliere lo “spirito” che anima l’orchestra, attraverso immagini “rubate” nel dietro le quinte o nei più intensi momenti di prova, così come di raccontare il rapporto profondo che il maestro Muti ha instaurato con i “ragazzi” cui continua a offrire i frutti della propria esperienza e del proprio talento.
Ogni tratto, poi, di questo singolare percorso artistico sarà illustrato da testi esplicativi di Susanna Venturi, redatti in italiano e inglese, così da rendere giustizia alla dimensione internazionale in cui l’orchestra si muove fin dai primi passi.
Insomma, un libro di grande qualità, celebrativo sì, ma al tempo stesso fondamentale nel testimoniare la storia di un’esperienza musicale e formativa unica e importante ben al di là dei confini nazionali.

Silvia Lelli è nata a Ravenna e termina gli studi a Firenze. Si trasferisce a Milano nel 1974, e da allora opera esplorando le performing arts e le musiche soprattutto, producendo fotografie e organizzandole in esposizioni, installazioni e pubblicazioni. Assieme a Roberto Masotti ha sviluppato un’attitudine per la scena, e lì si sono espressi in più occasioni anche tramite il video verso il multidisciplinare. Hanno inoltre dedicato lavori alla natura, al paesaggio e ai teatri in Italia, ai direttori d’orchestra, a John Cage, al pianoforte. Il loro vasto archivio è fonte inesauribile per l’editoria e la produzione discografica.  Loro opere sono presenti in collezioni pubbliche e private. Collaborazioni con: Orchestra Filarmonica della Scala, dalla fondazione nel 1982, Festival del Quartetto e Premio Borciani di Reggio Emilia, Festival MITO/Milano,Teatro dell’Opera di Roma, Ravenna Festival, Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, Festival di Salisburgo


domenica 22 giugno 2025

Alessandro Curti - IL FUTURO DEGLI ARCHIVI FOTOGRAFICI E LA MEMORIA DIGITALE - seipersei edizioni

 
Alessandro Curti
IL FUTURO DEGLI ARCHIVI FOTOGRAFICI E LA MEMORIA DIGITALE
seipersei edizioni
Serie [approfondimenti] #1
aprile 2025, terza ristampa
Copertina, su Fedrigoni Woodstock Azzurro da 260gr con alette da 10cm, stampa 1/0 colore nero; Interni, 96 pagine su usomano avoriata da 140gr, stampa 1/1 colore nero; Confezione, brossura filo refe.
ISBN 9788894653304
 

Un’indagine e una raccolta di diversi casi studio relativi ai più importanti archivi italiani oltre che una riflessione sulla valorizzazione del patrimonio fotografico. Tra i vari casi citati e gli archivi visitati dall’autore troviamo l’Archivio Riccardo Moncalvo, Lelli e Masotti Archivio e l’Archivio storico Intesa Sanpaolo e Publifoto. Il saggio prosegue con il tema della digitalizzazione e dell’obsolescenza tecnologica oltre all’importanza dell’approccio critico/curatoriale attraverso approfondimenti a Giuseppe Iannello, Alan Maglio, Luca Santese, Francesco Vezzoli e Stefano Vigni.

Alessandro Curti, nato a Milano nel 1991, laureato in Lettere e con un Master in Digital Marketing, è giornalista e socio di STILL dal 2014. Insegna Storia della Fotografia e Visual Communication nei corsi di Fashion Design e Fashion Stylist and Communication allo IED di Milano e tra il 2018 e il 2022 ha collaborato con Raffles Milano – Istituto di Moda e Design. Collaboratore e redattore per le riviste mensili IL FOTOGRAFO e N Photography (Sprea Editori) dal 2015 al 2019 e già collaboratore per Rolling Stone Italia, Lampoon, ArtsLife, Artuu e Maremosso. Nel 2021 ha scritto il saggio “Il futuro degli archivi fotografici e la memoria digitale”, edito da Seipersei e con la stessa casa editrice ha pubblicato, nel 2024, “Intelligenza Artificiale e Fotografia”. Oggi è caporedattore per Black Camera, web magazine dedicato al mondo della cultura fotografica.

Jack Halberstam - L'ARTE QUEER DEL FALLIMENTO - minimumfax

 
Jack Halberstam
L'ARTE QUEER DEL FALLIMENTO
(titolo originale  The Queer Art of Failure. Durham: Duke University Press, 2011
traduzione di Goffredo Polizzi
minimum fax
marzo 2022
pp. 332, euro 19
ISBN 9788833893280

 
Ci avevano promesso che saremmo stati dei vincenti. Ci avevano indicato gli obiettivi- i soldi, la famiglia, il potere, l'eccellenza - e la strada, fatta di determinazione, sudore della fronte e pensiero positivo: se cadi rialzati, prova ancora e ancora; ci siamo rialzati e abbiamo visto che a cadere era il mondo intorno a noi. Mai come in questi anni è diventato chiaro che l'idea di successo che avevamo in mente è una condanna e che tra volere e potere c'è di mezzo il capitalismo, con tutte le disuguaglianze (e le catastrofi) che si porta dietro. Dobbiamo dunque ridisegnare quell'idea? Dare al termine successo significati nuovi?
Jack Halberstam, tra i più noti e originali teorici queer in circolazione, propone una via più radicale e ci guida nell'affollato mondo dei perdenti: lì dove smarrire la strada, non sapere, dimenticare ed essere dimenticati, essere sconvenienti e indecorosi, indisciplinati e improduttivi (tutte cose che le persone queer hanno sempre fatto particolarmente bene) si rivelano strategie possibili per stare al mondo. Correndo il rischio - anzi inseguendolo- di non essere preso sul serio, Halberstam si muove tra teoria alta e bassa, si concede virate controintuitive e disgressioni, si addentra negli «archivi di cose stupide» ricercando forme di conoscenza lontane dal rigore delle discipline. Accade così che in queste pagine vivano insieme Gramsci e SpongeBob, Jamaica Kincaid e il pesciolino Nemo, Saidiya Hartman, Tom of Finland, Valerie Solanas e un'armata di galline in fuga dal pollaio: con loro, Halberstam ci invita a pensare altrimenti, a sperimentare nuove alleanze, a preferire l'ombra alla luce piena, l'illeggibilità al riconoscimento. A desiderare un mondo in cui nessuno ce la fa da solo e nessuno viene lasciato indietro. 

Jack Halberstam (1961) è direttore dell'Institute for Research on Women, Gender e Sexuality della Columbia University, dove insegna anche Letteratura inglese e comparata. Tra le sue pubblicazioni sono apparse in Italia la raccolta Maschilità senza uomini (ETS 2010) e Gaga Feminism (Asterisco Edizioni 2021). Minimum fax ha già pubblicato L’arte queer del fallimento (2022).

Omar El Akkad - UN GIORNO TUTTI DIRANNO DI ESSERE STATI CONTRO - Feltrinelli Gramma

 
Omar El Akkad
UN GIORNO TUTTI DIRANNO DI ESSERE STATI CONTRO
(titolo originale One Day, Everyone Will Have Always Been Against This - 2025, New York, Alfred A. Knopf)
traduzione di Gioia Guerzoni
Feltrinelli
collana Gramma
giugno 2025
pp. 192, euro 18
ISBN 9791256240371

 
Il 25 ottobre 2023, dopo tre settimane di devastanti bombardamenti su Gaza, Omar El Akkad pubblica in rete queste parole: “Un giorno, quando sarà sicuro, quando non ci sarà alcun rischio personale nel chiamare le cose con il loro nome, quando sarà troppo tardi per ritenere qualcuno responsabile, tutti diranno di essere stati contro”. Il post viene visualizzato più di dieci milioni di volte. La sua veemente denuncia dell’ipocrisia dell’Occidente dinanzi al genocidio di Gaza, del tradimento della sua promessa di libertà e giustizia per tutti, suscita un’eco enorme. Un giorno tutti diranno di essere stati contro, il libro che El Akkad decide poi di scrivere dopo la morte di migliaia di donne e bambini nella Striscia, è la cronaca di quella promessa tradita, il resoconto della fine dell’idea che regole e principi, le “verità manifeste” della democrazia occidentale, servano davvero a combattere il male e non a preservare il potere. Se il male, infatti, non è semplicemente muovere guerra contro un nemico, ma annientare un popolo intero riducendolo a nuda vita priva di ogni dignità e pietà umane, Gaza è oggi uno dei nomi per designare il suo irrompere nel mondo, il nome di un genocidio imperdonabile sotto ogni riguardo. Disgusto o rabbia dinanzi a un simile evento non hanno senso in questo libro crudo, doloroso e vulnerabile, nutrito dalla certezza che vi saranno sempre esseri umani ritenuti non degni della promessa di libertà, non soltanto arabi o musulmani o immigrati, ma chiunque non rientri nella terra del privilegio chiamata Occidente. Nelle sue pagine, l’unica possibile risposta sta in una rottura totale con il credo dell’Occidente. La stessa rottura che risuona in ogni parte del pianeta, nelle strade delle grandi città, nei campus universitari, nelle scuole. E che, nella scrittura lucida di El Akkad, capace di mescolare racconti toccanti con spietate considerazioni sul linguaggio dei media, trova la sua più formidabile eco.

Un libro sorprendente, scioccante, bellissimo ed essenziale. Mi ha sconvolto.” Brian Eno 
Un giorno tutti diranno di essere stati contro è il libro più vero e necessario che potreste mai leggere.” Junot Díaz
Un urlo dal cuore della nostra epoca; fatico a trovare parole più precise che possano catturare la furia feroce e lacerante di questo libro, nel suo tentativo di descrivere l’indescrivibile e di dare coerenza a un mondo sempre più incoerente.” Richard Flanagan
Pagine sconvolgenti per la loro onestà, scritte da un grande autore che non riesce a dare senso a tanto orrore, ma che – a nome di tutti noi, e con tutta la sua anima – sta cercando ostinatamente di farlo.” Max Porter

Omar El Akkad è nato al Cairo, in Egitto, ed è cresciuto a Doha, in Qatar, prima di trasferirsi in Canada e poi negli Stati Uniti. Come giornalista si è occupato di terrorismo internazionale ed è stato inviato in prima linea in Afghanistan, ha curato reportage sui processi nel carcere militare di Guantánamo, sulla rivoluzione della Primavera araba in Egitto e sul movimento Black Lives Matter a Ferguson, Missouri. Autore dei romanzi What Strange Paradise e American War, che ha vinto il Pacific Northwest Book Award, l’Oregon Book Award ed è stato selezionato dalla Bbc nella prestigiosa lista “Novels That Shaped Our World”, oggi vive con la moglie e le figlie vicino a Portland, Oregon.

Byung-Chul Han - TOPOLOGIA DELLA VIOLENZA - Nottetempo

 
Byung-Chul Han 
TOPOLOGIA DELLA VIOLENZA
nuova edizione
(titolo originale Topologie der Gewalt © 2011Matthes & Seitz Berlin Verlagsgesellshaft)
traduzione di Simone Aglan-Buttazzi
Nottetempo
collana Saggi/Figure
giugno 2025
pp. 180, euro 15,90
ISBN 791254802120

 
Il punto di partenza dell’analisi che Byung-Chul Han sviluppa in questo saggio è la natura proteiforme della violenza: cambia aspetto, si adatta alla logica e alle modalità del contesto socio-politico in cui si sviluppa e, soprattutto, agisce anche laddove sembra essere sparita. L’esame parte dalla violenza nelle sue manifestazioni macrofisiche: quella del sangue e del sacrificio, del sovrano sul sottoposto, quella senza sangue delle camere a gas, quella del linguaggio offensivo. In questo senso essa è espressione di un “eccesso di negatività”: è infatti possibile esclusivamente dove c’è antitesi, tensione bipolare tra un Ego e un Alter, un Interno e un Esterno. Nell’epoca odierna, con la progressiva “positivizzazione della società” − ovvero lo smantellamento della negatività e della contrapposizione e l’appiattimento delle differenze − anche la violenza sembra svanire, almeno nelle sue forme tangibili, corporee. Ma quello a cui assistiamo, sostiene il filosofo, è in realtà un suo trasferimento sul piano psichico, all’interno del soggetto. È, quella odierna, una violenza microfisica, un pericoloso “eccesso di positività” che si manifesta “in termini di sovrapprestazione, sovrapproduzione e sovracomunicazione, iperattenzione e iperattività”, fondendosi e confondendosi con la sua controparte: la libertà. Nella società della prestazione il soggetto, formalmente libero, è vittima di se stesso e delle pulsioni che ha introiettato. “La storia della violenza giunge a compimento in questa coincidenza tra carnefice e vittima, tra signore e servo, tra libertà e violenza”.
 
Introduzione
Ci sono cose che non scompaiono. Tra di esse vi è anche la violenza (Gewalt). L’avversione alla violenza non contraddistingue la modernità1. La violenza è semplicemente proteiforme. A seconda della conformazione sociale cambiano i modi in cui si manifesta. Oggi si trasferisce dal visibile all’invisibile, dal frontale al virale, dal corporeo al mediale, dal reale al virtuale, dalla dimensione fisica a quella psichica, dal negativo al positivo e si ritira in spazi sottocutanei, subcomunicativi, capillari e neuronali, cosí da dare l’impressione – fallace – di scomparire. La violenza diventa del tutto invisibile nel momento in cui si fonde con la sua controparte, vale a dire la libertà. La violenza marziale cede attualmente il passo a una violenza anonima, desoggettivata, sistemica, che cosí com’è si cela poiché collima con la società. La topologia della violenza si rivolge quindi prima di tutto a quelle manifestazioni macrofisiche della violenza che appaiono in forme negative, per esempio rapporti bipolari di tensione tra Ego e Alter, tra l’Interno e l’Esterno, tra l’amico e il nemico. Di solito si esprimono in maniera netta, esplosiva, massiccia e marziale. Tra queste rientrano anche la violenza arcaica del sacrificio e del sangue, la violenza mitica delle divinità gelose e vendicative, la violenza assassina del sovrano, la violenza della tortura, la violenza senza sangue della camera a gas o la violenza virale del terrorismo. La violenza macrofisica può tuttavia assumere anche una forma piú sottile ed esprimersi, per esempio, come violenza verbale. La violenza della lingua che ferisce prende sempre le mosse, come quella fisica, dalla negatività, in quanto essa dif-fama, dis-credita, de-grada, disconosce. In quanto violenza della negatività si differenzia da quella violenza della positività che scaturisce dalla spammizzazione della lingua, dalla sovracomunicazione e la sovrainformazione, dalla massificazione della lingua, della comunicazione e dell’informazione. La società odierna si sbarazza sempre piú della negatività dell’Altro o dell’Estraneo. È proprio la globalizzazione ad accelerare la scomparsa dei confini (Entgrenzung) e delle differenze. Lo smantellamento della negatività non può tuttavia essere equiparato alla scomparsa della violenza, poiché accanto alla violenza della negatività vi è anche la violenza della positività che si esercita senza alcun antagonismo né dominio. La violenza non è solo eccesso di negatività, ma anche eccesso di positività, un’autentica massificazione del positivo che si manifesta in termini di sovrapprestazione, sovrapproduzione e sovracomunicazione, iperattenzione e iperattività. La violenza della positività è forse persino piú fatale della sua versione negativa, in quanto manca di visibilità e apertura; oltretutto, sfugge alla difesa immunologica per via della sua positività. L’infezione, l’invasione e l’infiltrazione – tipiche della violenza della negatività – cedono ora il posto agli infarti. Il soggetto di prestazione tardo-moderno resta in tal modo libero, poiché non viene sottoposto ad alcuna repressione da parte di un dominio esterno. Ma in realtà non è libero – proprio come il soggetto d’obbedienza. Se la repressione esterna viene superata, nasce una pressione interna. Cosí facendo il soggetto di prestazione sviluppa depressione e la violenza prosegue immutata, spostandosi solo all’interno. La decapitazione nella società del dominio, la deformazione nella società della disciplina e la depressione nella società della prestazione sono stadi del cambiamento topologico della violenza. Essa non fa che interiorizzarsi e psichicizzarsi rendendosi, in tal modo, invisibile: si sbarazza sempre piú della negatività dell’Altro o del nemico e diviene autoreferenziale.

Byung-Chul Han è uno dei filosofi contemporanei piú interessanti e piú seguiti a livello internazionale. Ha pubblicato con nottetempo La società della stanchezza (2012, 2020), Eros in agonia (2013, 2019), La società della trasparenza (2014), Nello sciame (2015, 2023), Psicopolitica (2016, 2024), L’espulsione dell’Altro (2017, 2024), Filosofia del buddhismo zen (2018, 2022), La salvezza del bello (2019, 2025), Che cos’è il potere? (2019), Topologia della violenza (2020, 2025), La scomparsa dei riti (2021), Sano intrattenimento (2021), Elogio della terra (2022), Perché oggi non è possibile una rivoluzione (2022), Iperculturalità (2023), Vita contemplativa (2023) e Del vuoto (2024).   

Ezra Pound - A LUME SPENTO - Lindau

 
Ezra Pound
A LUME SPENTO
traduzione e cura di Pietro Comba
prefazione di John Gery
Lindau
collana Senza frontiere
maggio 2025
pp. 524, euro 38
ISBN 9791255842224

 
A Lume Spento, prima raccolta poetica di Ezra Pound, fu pubblicata a Venezia nel 1908 in tiratura limitatissima a spese dell’autore, allora ventitreenne. Per lungo tempo rimasta ai margini della sua produzione, anche e soprattutto a causa delle severe critiche che lo stesso poeta le rivolse in più occasioni, è in realtà un edificio poetico eclettico e complesso, che merita di essere riscoperto non solo per approfondire la conoscenza degli esordi di un autore tanto discusso, ma anche per gettare un nuovo sguardo sui lavori più maturi, in particolare sui Cantos. A Lume Spento testimonia infatti già quell’abilità po(i)etica che, sviluppata a un più alto grado di consapevolezza, avrebbe reso Pound uno degli autori fondamentali della letteratura mondiale.
 
Ezra Pound (1885-1972), poeta, saggista e traduttore statunitense, è considerato un punto di riferimento fondamentale nella storia letteraria del ’900. La sua opera è vasta, multiforme e complessa, e trova la sua massima espressione nei Cantos.
 
Pietro Comba, Dottore magistrale in Filosofia con esperienza di mediatore educativo in ambito museale, traduttore, correttore di bozze, consulente di scrittura tesi e lettore professionale di opere letterarie. Attualmente recruiter.
 
John Gery è poeta, critico e traduttore, oltre che Research Professor of English all’Università di New Orleans. Nell’ambito degli studi poundiani, ha co-curato diverse opere, tra le quali: In Venice and in the Veneto with Ezra Pound (Supernova, Venezia 2007); Ezra Pound, Ends and Beginnings: Essays and Poems from the Ezra Pound International Conference, Venice, 2007 (AMS Press, New York 2011); e le più recenti Cross-Cultural Ezra Pound (Clemson UP, Clemson 2021) ed Ezra Pound and the Spanish World (Clemson UP, Clemson 2024). Gery ha fondato e dirige l’Ezra Pound Center for Literature (con sede a Brunnenburg, Tirolo di Merano), ed è segretario della Commissione per l’Ezra Pound International Conference. **Ezra Pound, 1908: «forgiare» o «librarsi»? A differenza del testo prefatorio, il titolo è stato mantenuto in inglese sia per rendere più facilmente comprensibile il riferimento conclusivo del prof. Gery a una poesia giovanile di Pound sia in quanto il verbo to hover ha, in realtà, un significato ambiguo – «librarsi, volteggiare», ma anche «esitare» – sul quale Pound con tutta evidenza gioca.

Daniel Schreiber - IL TEMPO DELLA PERDITA - add

 
Daniel Schreiber
IL TEMPO DELLA PERDITA
(titolo originale Die Zeit der Verluste. Hanser Berlin, Berlin 2023)
traduzione di Barbara Ivančić
add editore
giugno 2025
pp. 128, euro 16
ISBN 9788867835331
 

Prima o poi, nel corso della vita, siamo tutti costretti a sperimentare e a confrontarci con dolori che non sappiamo accettare e spiegare: lutti, addii, distacchi. Accade con i nostri cari, ma anche con la perdita di certezze che stiamo vivendo in questi anni. I meccanismi che mettiamo in atto per superare lo sconforto sono allo stesso tempo personali e molto simili, perché c’è qualcosa che accomuna ogni esperienza di dolore. Il libro di Daniel Schreiber nasce e si costruisce nel solco di queste tracce.
Muovendosi in una Venezia vigile e silenziosa, l’autore affronta la perdita del padre, e lo fa alla luce dell’esperienza globale dello smarrimento di un intero pianeta che si sta trasformando e di cui la città lagunare è da sempre simbolo letterario e concreto. Il tempo della perdita è un testo che scava nel senso del distacco e lo fa grazie alla bellezza sfuggente di una città, alla ricerca di un approdo e alla riflessione sul senso dell’esistenza.

Un estratto
Il dolce mormorio delle onde che si infrangono sugli scogli. Grida di gabbiani in lontananza. Rombo di motori che prima aumenta e poi si affievolisce. Quando apro gli occhi, la luce che arriva dalla finestra è soffusa. Vorrei continuare a dormire. Sprofondare ancora nel letto che mi riporta al profumo di bucato dell’infanzia. Sprofondare ancora nell’oblio. Ma, mezzo sveglio come sono, temo di non riuscirci. Eppure, quando torno ad aprire gli occhi, l’alba ha già ceduto il posto alla luce del giorno. Il fruscio dell’acqua si è intensificato, e così le grida dei gabbiani, i rumori dei vaporetti, dei taxi e delle barche che approvvigionano i supermercati e portano via la spazzatura. Singole voci qua e là si dicono qualcosa in italiano. Cerco di non muovermi, quasi potessi fermare il tempo per qualche attimo. Avverto una certa gratitudine dentro di me. Non devo chiedermi in quale città e in quale albergo mi trovo. Sento di essermi riposato. La notte precedente, il rumore dei motori mi aveva tenuto sveglio, nulla di strano, visto che nel movimentato anno e mezzo che mi stavo lasciando alle spalle anche il sonno era venuto meno. Quel sonno affidabile che si dà per scontato fino a quando, appunto, viene a mancare.
Facevo molta fatica ad addormentarmi e spesso mi risvegliavo nel cuore della notte. Anche quando riuscivo a dormire un po’ più a lungo, al risveglio provavo un senso di pesante stanchezza. Cerco di ricordarmi da quanto tempo non mi sentivo così rilassato, e inorridisco nel rendermi conto che è da tanto che mi sveglio sempre con lo stesso pensiero. Se non altro, dovrebbe essere un buon segno che, quel pensiero, oggi sia arrivato più tardi del solito. Mentre mi guardo attorno nella stanza della foresteria del Palazzo, mi accorgo di quanto mi sia familiare, nonostante ci abiti da appena qualche giorno. Le lenzuola a scacchi, i tendaggi vecchio stile, la finestra ovale che ricorda l’occhio di un toro, la scrivania scura con la lampada in vetro di Murano color verde tormalina – tutto è immerso in un’atmosfera rassicurante. Può darsi dipenda dall’odore di pulito che aleggia nell’aria o dagli inconfondibili rumori della città. Forse anche dal fatto che questo soggiorno segna, come spero, la f ine di un lungo periodo di inquietudine. Per un anno e mezzo ho dato fondo a tutte le energie. Ero stato in viaggio quasi ogni settimana per letture e incontri pubblici, trascurando molte delle cose che so essere importanti per il mio equilibrio. Avevo smesso di incontrare le persone a me vicine e di rispondere ai messaggi personali, anche quando a cercarmi erano amiche, amici o i miei familiari. Non badavo più a quello che mangiavo, salvo poi accusarmi di autocommiserazione nei momenti di debolezza, nel tentativo di rafforzare così il mio senso di disciplina. Mi sentivo sempre più estraneo a me stesso, alle emozioni, ai pensieri. La spossatezza era diventata una condizione perenne e nei suo culmine. Perciò avevo cancellato tutti gli appuntamenti e mi ero ritirato, dando solo qualche sporadico segnale di vita. Il soggiorno veneziano doveva rappresentare l’inizio di una nuova fase. Lo smarrimento è la sensazione che più mi appartiene in questo periodo. Mi sembra di vivere in un mondo che mi è noto e che continua a funzionare in base a regole che conosco piuttosto bene, solo che ora mi si presenta con un volto nuovo. Se tento di descriverlo, anche le parole mi sfuggono. Questo mondo non è alla mia portata. Sulle prime mi fa cenni incoraggianti, ma poi mi volge le spalle, scuotendo tristemente la testa. mesi precedenti questa fase aveva raggiunto il suo culmine. Perciò avevo cancellato tutti gli appuntamenti e mi ero ritirato, dando solo qualche sporadico segnale di vita. Il soggiorno veneziano doveva rappresentare l’inizio di una nuova fase. Lo smarrimento è la sensazione che più mi appartiene in questo periodo. Mi sembra di vivere in un mondo che mi è noto e che continua a funzionare in base a regole che conosco piuttosto bene, solo che ora mi si presenta con un volto nuovo. Se tento di descriverlo, anche le parole mi sfuggono. Questo mondo non è alla mia portata. Sulle prime mi fa cenni incoraggianti, ma poi mi volge le spalle, scuotendo tristemente la testa.

Daniel Schreiber vive a Berlino e lavora come critico d’arte per diverse testate internazionali. È autore di una biografia di Susan Sontag (2007) e di due saggi acclamati dalla critica, Sober (2014) e Home (2017). Con add editore ha pubblicato Soli, uscito nel 2023, tradotto anche negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Olanda e in Corea del Sud.

B.Traven - ROSA BLANCA - WoM

 
B.Traven
ROSA BLANCA
(titolo originale Die Weisse Rose, 1929)
WoM
collana Neri
giugno 2025
pp. 270, euro 20
ISBN 9791281016927

 
Nelle pianure assolate del Messico pre-rivoluzionario, l’hacienda Rosa Bianca rappresenta un’oasi di tradizione e armonia con la terra. Quando una potente compagnia petrolifera statunitense mira ad appropriarsi di queste terre fertili, gli abitanti si trovano a fronteggiare una minaccia che mette a repentaglio il loro stile di vita e la loro eredità culturale.
Uno scontro senza tempo tra giustizia e sfruttamento: Rosa Blanca esplora le tensioni tra progresso e tradizione, avidità e giustizia, svelando con ferocia narrativa i meccanismi del colonialismo economico, dipingendo un ritratto vivido della lotta per la dignità e l’autodeterminazione e soprattutto anticipando le battaglie di oggi su terra, risorse e potere.
La traduzione della presente edizione si basa sulla versione in lingua tedesca del 1929 pubblicata presso i tipi della Verlag der Buchergilde Gutenberg, a Berlino. A questa è stata affiancata quella del 1978 sempre presso lo stesso editore, la quale presentava differenze anche sostanziali che sono state integrate.
Secondo alcune testimonianze, Hans Scholl, uno dei fondatori del gruppo di resistenza Weiße Rose, conosceva e apprezzava il romanzo di Traven. Durante gli interrogatori della Gestapo, Scholl dichiarò che il nome del gruppo era stato scelto casualmente. Tuttavia, questa affermazione potrebbe essere stata un tentativo di proteggere altri membri del gruppo o di evitare ulteriori persecuzioni. Alcune fonti indicano infatti che Rosa Blanca potrebbe aver influenzato la scelta del nome del gruppo di resistenza.


Nel 1972, il regista messicano Roberto Gavaldón, già noto per l’adattamento di Macario, porta Rosa Blanca sul grande schermo. Le riprese iniziarono nel gennaio del 1961, ma il governo messicano ne proibì la proiezione nei cinema, in quanto la trama del film, ambientata negli anni precedenti l’espropriazione petrolifera del 1938 – venne considerata troppo dura dagli Stati Uniti, motivo per cui l’uscita del film fu posticipata al 1972.

Così, nel 1926, in una lettera inviata al proprio editore americano, B. Traven avvertiva: «Quando si cerca un lavoro da guardiano notturno o da lampionaio, viene richiesto un curriculum vitae. Ma questo non è qualcosa da pretendere da un lavoratore che crea opere intellettuali. È poco educato ed è un invito alla menzogna…». Utilizzando tutte le tecniche di mimetizzazione per sovvertire le trappole dell’identità, quest’eterno clandestino, resterà fedele al suo adagio: «L’uomo creativo non deve avere altra biografia, al di fuori delle sue opere». Da qui l’assoluto mistero che lo circonda. Chi è B. Traven? Il fotografo ed esploratore Berick Traven Torsvan? Il contrabbandiere e agente cinematografico Hal Croves? L’attore e rivoluzionario in esilio Red Marut e contemporaneamente il rifugiato politico Otto Feige? Jack London sotto mentite spoglie? Tutte le ipotesi, comprese le più strambe, sono state tentate, per un totale di una trentina di pseudonimi, più o meno altrettanti luoghi e date di nascita e quattro o cinque nazionalità diverse.

«Faccia il favore, tolga di mezzo quel dannato “misterioso” se cita il mio nome o il mio lavoro. Non c’è nessun mistero in me, sul serio, non un briciolo di mistero. Tutto il mio mistero è che odio i columnist, gli scrittori a soggetto, i giornalisti strappalacrime e i recensori che non sanno nulla del libro di cui parlano. Non c’è gioia e soddisfazione maggiore per me che essere sconosciuto come scrittore quando incontro una persona o vado in un posto. Soltanto in questo modo posso essere me stesso e non essere costretto a recitare».

nella foto, Ret Marut (secondo alcune teorie alter ego di B. Traven) fotografato nel 1923


Domenico Marrone - PRETI UMANI, TROPPO UMANI ? - EDB

 
Domenico Marrone
PRETI UMANI, TROPPO UMANI ?
Sfide e contraddizioni del ministero ordinato

prefazione di Enzo Bianchi
EDB
collana Cammini di Chiesa
aprile 2025
pp. 160, euro 16
ISBN 9788810124550


Le fragilità del sacerdote vanno tenute in considerazione non per giustificare i suoi errori, ma per prevenirli, così che possano anche essere d’aiuto nella sua formazione personale. Partendo dal tema della vanità, intesa come il rischio di perdere l’essenza del proprio servizio, l’autore arriva a esplorare la sfida dell’affettività, considerando che una formazione eccessivamente rigida può generare distacco e freddezza nei rapporti con la propria comunità. Lungo il cammino, si affronta anche il pericolo dell’ipocrisia, una maschera che può celare la vera identità del presbitero, minando la sua autenticità e indebolendo l’efficacia di ogni azione evangelica. Attraverso le pagine si illuminano aspetti nascosti del ministero ordinato, delineando un itinerario di crescita interiore che invita all’umiltà, alla trasparenza e a una rinnovata autenticità.

Domenico Marrone è presbitero dell’arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie dal 1986. Già direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Nicola il Pellegrino di Trani, è parroco della chiesa madre in San Ferdinando di Puglia (BT) e docente di Teologia morale presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Metropolitano San Sabino in Bari. È apprezzato e chiamato per ritiri, corsi di esercizi spirituali e conferenze. Ha all’attivo diverse pubblicazioni, tra cui Presbiteri uomini riusciti (2023).


sabato 21 giugno 2025

Kanoko Okamoto - LA GRU, LO STAGNO, IL KIMONO - Lindau

 
Kanoko Okamoto
LA GRU, LO STAGNO, IL KIMONO
traduzione di Marcello Rotondo
prefazione di Marcello Rotondo
Lindau
collana Senza Frontiere
giugno 2025
pp. 112, euro 16
ISBN 9791255842422


«Sono sempre le donne ad avere un ruolo dominante nelle storie
di questa scrittrice, donne con un fuoco nel corpo e nell’anima
». (Dacia Maraini)

Nei tre racconti che compongono questo volume – La gru inferma, Sogno di una notte di mezza estate, Storia di una vecchia geisha – Okamoto Kanoko, una delle più significative scrittrici giapponesi del ’900, esplora le vite di tre donne degli anni ’20 e ’30, tra passioni, illusioni e rinascite. Yōko rievoca il suo legame con un celebre scrittore, sospesa tra ammirazione e disincanto; Saiko, promessa sposa, sfiora l’amore proibito in un’estate di libertà; Kosono, geisha ormai anziana, trasmette a un giovane inventore il coraggio di cambiare.
Nel suo stile raffinato e visionario, Okamoto ritrae con straordinaria intensità l’anima femminile, tra memorie struggenti, desideri proibiti e ricerca di sé, rivelando il potere del desiderio e la forza silenziosa della trasformazione.

Prefazione di Marcello Rotondo

Ricordo che la mattina di alcuni anni fa in cui portai a termine la traduzione inglese di Letture di vita buddista uscii di casa senza una meta precisa. Per alcuni mesi, la traduzione di questo saggio di Okamoto Kanoko (1889-1939), appartenente alla sua produzione filosofico-religiosa, era stata per me un esercizio quotidiano. Sentivo il bisogno di staccare prima di cimentarmi in qualcosa di nuovo. Decisi così di andare a visitare il Museo di Arte Popolare Giapponese a nord di Osaka. Il mio interesse per la sua opera era stato richiamato inizialmente dalla sua capacità di incarnare un’approfondita conoscenza teorica e storica del buddismo con l’esperienza concreta del quotidiano, rendendo così entrambe accessibili a qualsiasi lettore. L’opera mi appariva ricca di intuizioni profondamente originali, ma con mia sorpresa, quando menzionavo il suo nome ad amici giapponesi, solo pochi – generalmente i più anziani – ne avevano sentito parlare. Anche loro, tuttavia, non conoscevano la Okamoto Kanoko che avevo conosciuto io. Al suo nome rispondevano: «Ah sì, non fu la madre di Okamoto Tarō, l’artista?». Mi parve curioso che una figura così originale, capace di guadagnare con merito la stima e l’ammirazione del mondo letterario a lei contemporaneo, fosse ormai ricordata debolmente, e prima di tutto per essere madre di un altro artista. Al tempo stesso, considerando la sacralizzazione operata da Okamoto della figura materna, da lei glorificata come la più alta incarnazione terrena di Kannon (il bodhisattva della compassione che ascolta i gemiti del mondo), pensai che lei stessa vi avrebbe forse visto proprio una celebrazione del suo ideale e, lungi dal considerarla come una sua riduzione a un’ombra del figlio, ne sarebbe stata onorata. Giunto al parco in cui si trovava il museo, vidi un’immane scultura di cui ignoravo la fama, la cosiddetta «Torre del Sole». L’autore, naturalmente, era proprio Okamoto Tarō. La sorprendente sincronicità dell’evento mi fece promettere di ritornare prima o poi a lavorare su Okamoto Kanoko per una nuova traduzione, e sono felice di averne avuta qui la possibilità. La raccolta Frotte di pesci rossi (Lindau, 2018), opera meritoria di aver reso finalmente accessibile anche al pubblico italiano la penna di Okamoto, contiene in appendice un saggio della traduttrice Fujimoto Yūko che ritengo un capolavoro di erudizione. Traccia molto puntualmente la parabola della vita privata e letteraria di Okamoto, fornendo della donna e dell’autrice un quadro dettagliato che invito caldamente il lettore a consultare. In queste poche righe, non posso sperare né voglio tentare, di ripetere o espandere quanto già detto in quell’occasione. Sarei invece soddisfatto appena di inquadrare i tre racconti qui tradotti alla luce di alcuni elementi caratteristici di Okamoto. I tre racconti appartengono agli ultimi tre anni di vita dell’autrice, anni caratterizzati da una serrata produzione di racconti rimasti per lo più oscuri anche alla fama patria, e per la maggior parte pubblicati postumi dal marito Ippei. Sebbene in essi non si faccia riferimento esplicito alla dottrina buddista (se non per un uso appena accennato di qualche termine dal doppio significato laico e religioso, che ho tuttavia preferito non marcare nella traduzione), si tratta di testi evidentemente pregni degli sforzi compiuti dall’autrice negli anni immediatamente precedenti alla sua prematura morte per chiarire sé stessa e affrontare finalmente alla radice, senza più evasioni, la travagliata sofferenza che puntellò di drammi familiari la sua storia personale. Dei tre racconti, La gru inferma (1936) si distingue per la sua rilevanza storica. Fulgido esordio di Okamoto come novellista, si tratta di un «racconto in chiave» in cui l’autrice descrive il suo incontro ravvicinato con Akutagawa Ryūnosuke (1892-1927), considerato il padre del moderno racconto breve giapponese; un incontro avvenuto durante un soggiorno estivo con tutta la famiglia Okamoto a Kamakura nel 1923. Il testo, pur riflettendo ancora quella certa vanità quasi infantile e quel dovizioso naturalismo psicologico spesso a lei rimproverati dai critici dell’epoca, possiede un’innegabile potenza introspettiva. Nel successivo Sogno di una notte di mezza estate (1937), Okamoto sembra tornare a rielaborare uno dei dilemmi centrali della sua vita, il conflitto tra reale e ideale nel rapporto sentimentale: una giovane donna, la cui realtà è quella di essere stata promessa come sposa dal fratello a un amico di lui, in una serie di evasioni notturne ha modo di divincolarsi dalle aspettative sociali verso un mondo di sogno in cui conosce il fascino misterioso dell’ideale nella figura di un eccentrico vicino, anch’egli amico di gioventù del fratello. Infine, in Storia di una vecchia geisha (1938) assistiamo all’iniziazione alla vita adulta del giovane Yuki, aspirante inventore, da parte di Kosono, una geisha ormai giunta a fine carriera ma che non smette di reinventare sé stessa per stare al passo coi tempi. Kosono cerca di aiutare il giovane Yuki nel travagliato passaggio a una vita indipendente che possa far fiorire il suo vero potenziale sia nella sfera sociale che in quella emotiva. A una lettura non ponderata, i tre racconti potrebbero mostrare solo la propria eterogeneità. Senza volerne forzare la lettura, il lettore potrà tuttavia scorgere un filo conduttore che lega le tre figure femminili di Yōko la letterata, Saiko la promessa sposa e Kosono la vecchia geisha. Esse forniscono l’ordito, per così dire, di una trama data da corrispettive figure maschili: Asagawa il genio letterario, Makise lo studioso d’architettura e Yuki l’inventore. I loro intessuti danno corpo a tre racconti d’amore, in cui possiamo ravvisare, intrecciate tra loro, le tre forme classiche di philia, eros e agape. È l’ideale a cui essi richiamano i protagonisti a far emergere i conflitti che ciascuno di essi è chiamato a risolvere. Ricorre il topos della vita e dell’opera di Okamoto: il dolore che sferza la vita a realizzare il proprio significato e a sbocciare di passione. Okamoto Kanoko è stata letta soprattutto sotto la luce della lampada del femminismo, specialmente a partire dagli anni ‘60. E questo con buone ragioni: temi ricorrenti sia nella sua produzione letteraria (si pensi all’esaltazione sacrale della figura materna, la donna che con caparbietà rigetta le aspettative imposte da una società patriarcale che non riconosce le sue più genuine e inalienabili passioni) che nella sua vita (le relazioni poliamorose e la rivendicata libertà di parti extramatrimoniali, l’ideale familiare di un «paradiso matriarcale», gli stretti contatti con autrici che divennero poi astri della prima avanguardia femminista giapponese) certamente ben riflettono la luce di quella lampada. Essa, tuttavia, non è la sola luce che il suo corpo fu capace di riflettere, e limitarsi a essa soltanto (escludendo dalla propria lettura ad esempio certi suoi commenti nei confronti del genere femminile o un certo uso del linguaggio) genererebbe soltanto ombra laddove altra luce sarebbe riflessa. Ci renderebbe una Okamoto più facile da comprendere, ma meno completa; si perderebbe l’interezza di un’autrice che, quando dette, davvero dette tutta sé stessa, senza farsi voce di alcuna ideologia, fosse essa femminista, socialista o buddista, pur predicando valori che riconosceva in ciascuna. Ciò è specialmente vero per la produzione degli ultimissimi anni, quella cioè rappresentata in questi tre scritti; anni nei quali Okamoto parve d’aver raggiunto un punto della sua vita in cui, quasi presagendo la fine, sentì di potersi finalmente voltare sui suoi passi e raccontarsi non in divenire, ma in quanto compiuta. È con questa speranza di interezza, di una luce bianca che rischiara tutto dall’interno, che desidero offrire questa seconda traduzione di Okamoto alla vostra lettura.

Okamoto Kanoko (1 marzo 1889 - 18 febbraio 1939), nata in un’agiata famiglia di notabili e possidenti, cominciò molto presto a dedicarsi alla scrittura, stimolata anche dalla frequentazione con autori emergenti del livello di Tanizaki Jun’ichirō. Collaborò con le più importanti riviste letterarie giapponesi e trascorse lunghi periodi in Europa e negli Stati Uniti. Esordì come prosatrice con il racconto Tsuru wa Yamiki («L’airone infermo», 1936), ispirato agli ultimi giorni dello scrittore Akutagawa Ryūnosuke, cui fecero seguito in rapida successione alcune delle novelle più celebri della moderna narrativa nipponica: Boshi Jojō («Idillio materno», 1937), Kingyo Ryōran («Frotte di pesci rossi», 1937), Rōgishō («Ritratto di vecchia geisha», 1938), Kawa Akari («Fiume di luce», 1938), oltre all’ambizioso romanzo psicologico Shōjō Ruten («La ruota della vita», postumo, 1939).


Andrea Romano - SANGUE - Ubagu Press

 
Andrea Romano
SANGUE 
Storia di Anna
Ubagu Press
giugno 2025
ISBN 979-12-82079-04-4

Tarquinia, 18 maggio 1976. Anna e Stefano viaggiano insieme a bordo di una 127 verde. Non si conoscono e non hanno mai scambiato una parola. A farli sedere uno accanto all’altra ci ha pensato un colpo del destino. Lei è un’elegante signora, moglie di un diplomatico. Lui un quindicenne difficile, condannato a portare sulle spalle un inestinguibile complesso di inferiorità. Si trova su quella 127 solo perché suo nonno gli ha chiesto di aiutare la signora in un piccolo trasloco. Appena lasciate le valigie in casa, Stefano si avvicina ad Anna e tenta di baciarla. La donna rifiuta, il ragazzino impacciato si trasforma in un assassino. Stefano si scopre feroce, famelico, spietato. E dopo aver ucciso Anna con raggelante brutalità, le ruba i soldi e la macchina per lanciarsi in una grottesca fuga.
È un femminicidio consumato pochi mesi dopo il “Delitto del Circeo”, sempre nel Lazio, ma non ha certo la stessa eco sui giornali. Presto anzi, la storia di Anna viene attivamente dimenticata. Male conseguenze di quell’assassinio saranno dolorose e incredibili. Stefano, minorenne giudicato «immaturo», se la caverà con una pena molto lieve. E dalla morte di Anna originerà pure la vita dell’autore, Andrea Romano, figlio del diplomatico che si risposerà dopo la perdita della prima moglie. Ora, a quasi cinquant’anni di distanza, Romano prova a riannodare i fili di un delitto che ha stravolto per sempre una famiglia, e ne ha generata una nuova, tenuta insieme da un tabù.

Un estratto
PROLOGO 
UNA VECCHIA FOTOGRAFIA SOPRA IL PIANOFORTE 

Sono legato a lei da un filo che nessun altro è in grado di vedere. Perché è dalla sua morte che ha avuto origine la mia vita. L’ho scoperto solo molto tempo dopo, quando il passare degli anni aveva ormai sbiadito i contorni della sua esistenza, quando gli altri avevano smesso di pronunciare il suo nome per non dover rivivere di nuovo quell’orrore. Avevano stretto un patto. Tutti quanti insieme. Non avrebbero mai parlato di lei davanti a me. Pensavano che fossi troppo piccolo per capire. O che forse avrei finito per guardarli con occhi diversi. Non più familiari ma estranei, persone che si erano ritrovate a dover vivere insieme per cause di forza maggiore. Giorno dopo giorno dopo giorno, quel pensiero rudimentale era diventato il loro modo di proteggermi. Ma soprattutto di proteggere loro stessi. Perché tutte le lacrime che avevano versato non erano ancora riuscite a spegnere il loro dolore. La bolla di silenzio scoppiò all’improvviso, dopo un com mento solo apparentemente ingenuo. In una mattina come tante di un giorno come tanti Vanda, la nostra tata, posò il ferro sull’asse da stiro e mi squadrò per qualche secondo. «Forse tu e i tuoi fratelli siete così diversi perché avete avuto madri diverse,» disse. Sul momento non capii. Alzai le spalle e continuai a fis sare lo schermo del nostro decrepito televisore. Al centro ell’inquadratura il Generale Lee stava planando sopra un tap peto di foglie secche. E mentre Bo Duke guardava la sagoma dello sceriffo Rosco P. Coltrane diventare sempre più piccola nello specchietto retrovisore, le sue mani muovevano lo sterzo in continuazione. Prima verso destra. Poi verso sinistra. Poi di nuovo verso destra. Infine ancora verso sinistra. L’effetto era ipnotico. Sembrava quasi che l’unico modo per tenere dritta quella macchina arancione con gli sportelli salda ti fosse farla curvare il più possibile. Mi ripetevo che da gran de avrei dovuto guidare anche io in quel modo. Io che in quel periodo avevo paura di tutto fantasticavo di ostentare la stessa spavalderia, di entrare in auto saltando attraverso il finestrino abbassato, di seguire solo le mie regole. In pratica sognavo di diventare l’esatto contrario di ciò che ero davvero. Avevo otto anni. Non andavo a scuola da giorni per via di una febbriciattola che puntualmente si alzava nel primo pomeriggio facendomi sentire stanco e spossato. Niente più lezioni. Niente più partitelle in cortile con le scatoline di succo di frutta al posto del pallone. Non facevo altro che guardare la televisione, sfogliare qualche fumetto, giocare con i miei Lego. Per tutto il giorno. Il momento che aspettavo con più impazienza arrivava però verso metà mattina. Prendevo il telecomando e mi appol laiavo su una delle sedie di legno della cucina. Poi sgranavo gli occhi davanti alle avventure del Batman povero e leggermente imbolsito degli anni Sessanta, quello con una drammatica calzamaglia e nuvolette con scritte cose tipo Pow, Zok!!, Qunckkk! e Biff! che comparivano sullo schermo durante i combattimenti. Poco più tardi iniziava Hazzard. Ed era tutta un’altra storia. Quel telefilm modellava la mia estetica, mi proiettava in un mondo lontano e nebuloso fatto di sceriffi, contee, ballate. Non era una storia di campagnoli delle nostre parti, era country. E per questo non era ridicola, ma affascinante. 

Andrea Romano è nato a Roma nel 1982. Giornalista professionista, scrive per Il Foglio, Il Fatto Quotidiano, Panorama, Tempi, Esquire,  Ultimo Uomo.

Il festival letterario 'Mediterranea. Culture. Scambi. Passaggi' torna ad Alghero dal 10 al 14 luglio tra libri, musica e percorsi aromatici. Tra gli ospiti Luca Misculin del Post e Jadd Hilal, vincitore del Grand Prix du Roman Métis


Cinque serate, sedici eventi, una Summer School in collaborazione con la UCLA di Los Angeles: dal 10 al 14 luglio Alghero ospita il festival letterario “Mediterranea. Culture, scambi, passaggi”, ideato e organizzato da AES - Associazione Editori Sardi ad Alghero, con la direzione artistica di Simonetta Castia. Il tema di questa quinta edizione è “Abissi. Storie dal mare”, che invita a scoprire le profondità inesplorate dello scibile umano, a scandagliare gli abissi per placare la sete di sapere ed entrare in contatto con le storie. Ancora una volta sarà un festival diffuso, tra l’ex Mercato civico, il Nuraghe Palmavera, Villa Mosca e la Libreria Cyrano, sulle onde e i profumi di un Mediterraneo inclusivo e sostenibile, denso di intrecci, culture, memorie e in futuro da interrogare e costruire insieme. In programma quest’anno non solo libri e presentazioni con gli autori, ma anche musica e un intrigante percorso olfattivo e aromatico. Il Festival è organizzato con il sostegno di Regione Sardegna, Fondazione di Sardegna, Camera di commercio di Sassari attraverso il programma Salude&Trigu, Comune di Alghero e Fondazione Alghero, con il patrocinio e in partenariato con l'Azienda Speciale Parco Naturale Regionale di Porto Conte e un ampio parterre di istituzioni e privati.
Il viaggio parte giovedì 10 luglio dalle 19 all’ex Mercato con la presentazione di Adesso sì, di Roberto Delogu (Il Maestrale), avvocato e scrittore alla sua quarta opera letteraria, affiancato da Raffaele Sari. Segue il giornalista e analista geopolitico Matteo Giusti con il suo Africani brava gente (Paesionline), storia dell’Africa dal 1960 ad oggi (qui il link https://labibliotecadisergioalbertini.blogspot.com/2025/06/matteo-giusti-africani-brava-gente.html). Il responsabile di ANSAmed Patrizio Nissirio presenta quindi Lava (Arkadia), romanzo sulla memoria perduta all’ombra del Vesuvio, con il prorettore dell’Università L’Orientale di Napoli Augusto Guarino. La prima serata si chiude con il concerto “Musiche della diaspora del Mediterraneo” di Gabriele Coen (clarinetto) e Francesco Poeti (chitarra). 
Venerdì 11
dalle 19,15, ancora all’ex Mercato, si parla di inclusione con il romanzo Brutale (66thand2nd) di Giovanni Falzone, giovane autore e formatore LGBTQ+ presentato da Minerva Uzzau (qui il link https://labibliotecadisergioalbertini.blogspot.com/2025/04/salvatore-falzone-brutale-66thand2nd.html), e poi di sport con la collana “Lo sport si racconta” di Carlo Delfino Editore, insieme agli autori Mario Fadda e Umberto Oppus, in dialogo con il giornalista Andrea Sini e Renato Copparoni. Segue la presentazione di Uguale per tutti, terzo romanzo della giornalista Maria Francesca Chiappe (Castelvecchi) che dialoga con Raffaele Sari, in partenariato con Florinas in giallo. 
Sabato 12
 dalle 19,15 ci si sposta al Nuraghe Palmavera, con l’incontro “Storie fantastiche di isole vere. Omaggio a Ernesto Franco”, in ricordo dello scrittore e direttore editoriale di Einaudi scomparso di recente, con Simonetta Castia, la studiosa e saggista Roberta Morosini, il saggista e traduttore Giorgio Ieranò e lo storico Egidio Ivetic. A seguire, la presentazione del libro Una terra per restare (Astarte) romanzo d’esordio dello scrittore di origini libano-palestinesi Jadd Hilal, vincitore del Grand Prix du Roman Métis, del Prix du Roman Métis des lycéens, del Festival du Premier Roman de Chambéry, e del Prix de la Première Oeuvre Littéraire Francophone de l’ADELF-AMOPA. Lo storico britannico Iain Chambers, autore di Mediterraneo Blues (Tamu), dialoga quindi con Gianluca Dessì attorno a suoni e musica del Mediterraneo sud del mondo, e in mn collaborazione con Ilisso e i principali vivaisti dell’Isola attorno alle piante aromatichusica si conclude la serata con la performance del giornalista Stefane della Sardegna a cuo Liberti, autore di Tropico mediterraneo. Viaggio in un mare che cambia (Laterza) accompagnato da Pasquale Filastò al violoncello e Alessio Potestà alla fisarmonica. 

Domenica 13
a Villa Mosca dalle 19 sarà la sostenibilità storica, umana e ambientale il focus della serata. Dopo il Dopo il viaggio olfattivo in collaborazione con Ilisso e i principali vivaisti dell’Isola attorno alle piante aromatiche della Sardegna del biologo Mauro Ballero, il giornalista Francesco Bellu dialoga con Divina Centore, egittologa del Museo Egizio di Torino e autrice di Faraoni e fiori. La meraviglia dei giardini dell’antico Egitto (Il Mulino). Il viaggio prosegue con il biologo marino Egidio Trainito alla scoperta di giardini dei fondali marini, che precede l’incontro tra il giornalista Costantino Cossu e Luca Misculin, prestigiosa firma del Post e autore di Mare aperto. Storia umana del Mediterraneo centrale (Einaudi), in partenariato con Dall’altra parte del mare. La serata si chiude con una degustazione di piante aromatiche della Sardegna a cura di Villa Mosca. 
L’ultimo appuntamento del festival è in programma alla Libreria Cyrano lunedì 14 alle 19 con la presentazione di La legge di donna Matilde (Arkadia) di e con Giampaolo Cassitta, in dialogo con Elias Vacca, in partenariato con Genera.

La Summer School

Torna anche quest’anno, ospitata a Villa Maria Pia, la Summer School “Leggere Mediterranea”, organizzata da AES in collaborazione con l’Università “L’Orientale” di Napoli e il Dipartimento di European Languages and Transcultural Studies (ELTS) della UCLA, con la direzione scientifica della docente Roberta Morosini (UCLA - Los Angeles). In collaborazione con il Mediterranean Seminar e l’Istituto di Cultura di San Francisco, la Summer School si rivolge a dottorandi, insegnanti e a tutte le persone impegnate a ripensare il Mediterraneo come spazio critico e condiviso. Gli ospiti di quest’anno, dal 10 al 12 luglio, saranno i docenti Akash Kumar (UCLA - Berkeley, nella foto a sinistra), John Dagenais (UCLA - Los Angeles), Augusto Guarino, Iain Chambers (L’Orientale), Augusto Navone (Fondazione International Marine Centre), Giorgio Ieranò (Università di Trento), Giulio Ferroni (La Sapienza), Egidio Ivetic (Università di Padova).


venerdì 20 giugno 2025

Oleksii Kovalenko - SIAMO NELLE VOSTRE ZAMPE - Beisler

 
Oleksii Kovalenko
SIAMO NELLE VOSTRE ZAMPE
Come gli animali salvano il pianeta

illustrazioni di Daria Filippova
traduzione di Olga Trukhanova
Beisler
collana Trasversale
giugno 2025
pp. 64, euro 18,50
ISBN 9788874591381
Età: 9+


Un sorprendente libro che racconta come ciascun animale si adoperi per rendere più giusto e sostenibile il nostro tempo sulla Terra. Dall’alligatore giardiniere all’elefante scavatore di pozzi, alle api che nutrono il mondo. Un invito alla collaborazione fra noi e gli animali, per un’alleanza basata sul reciproco rispetto e sulla pratica attiva.
Il pianeta Terra, la nostra Casa Comune, vanta un’organizzazione che oltre a renderla così diversamente bellissima, stupisce per la sua perfezione. La vita infatti dipende da tutte le creature che la abitano: dalla piccola ape alla balena gigante, noi compresi, tutti giocano un ruolo indispensabile.
In questa nostra Era dove il Pianeta è malato e le nostre cure non sono sufficienti a guarirlo, gli animali si dimostrano i veri ambientalisti, lavorando incessantemente per rendere la Casa Comune un posto migliore in cui vivere.
SE LA NATURA SIAMO NOI, QUESTO LIBRO È PER TUTTI!

Oleksii Kovalenko è biologo. Attualmente collabora con il Museo Nazionale di Storia Naturale dell’Accademia Nazionale delle Scienze dell’Ucraina, dove si occupa di ricerca scientifica, conferenze e programmi educativi interattivi.

Daria Filippova è nata a Odessa, dove cielo e mare si scambiano i colori e accendono la fantasia. Ha lavorato presso l’Odessa Fine Arts Museum e attualmente disegna manifesti e locandine per l’Odessa Green Theater. Illustra libri per editori ucraini e stranieri, decora negozi ed espone le sue opere in numerose gallerie.


Olga Trukhanova è CEL (Collaboratore ed Esperto Linguistico) nel Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali presso l’Università La Sapienza di Roma. È membro di vari comitati editoriali di riviste e collane scientifiche. Oltre a numerosi studi nei campi di sua pertinenza, Trukhanova è autrice de il volume Il Vate, il Poeta, l’Esule. Brodskij rilegge Dante, uscito nel 2019 per Editore Universitalia.