sabato 21 giugno 2025

Andrea Romano - SANGUE - Ubagu Press

 
Andrea Romano
SANGUE 
Storia di Anna
Ubagu Press
giugno 2025
ISBN 979-12-82079-04-4

Tarquinia, 18 maggio 1976. Anna e Stefano viaggiano insieme a bordo di una 127 verde. Non si conoscono e non hanno mai scambiato una parola. A farli sedere uno accanto all’altra ci ha pensato un colpo del destino. Lei è un’elegante signora, moglie di un diplomatico. Lui un quindicenne difficile, condannato a portare sulle spalle un inestinguibile complesso di inferiorità. Si trova su quella 127 solo perché suo nonno gli ha chiesto di aiutare la signora in un piccolo trasloco. Appena lasciate le valigie in casa, Stefano si avvicina ad Anna e tenta di baciarla. La donna rifiuta, il ragazzino impacciato si trasforma in un assassino. Stefano si scopre feroce, famelico, spietato. E dopo aver ucciso Anna con raggelante brutalità, le ruba i soldi e la macchina per lanciarsi in una grottesca fuga.
È un femminicidio consumato pochi mesi dopo il “Delitto del Circeo”, sempre nel Lazio, ma non ha certo la stessa eco sui giornali. Presto anzi, la storia di Anna viene attivamente dimenticata. Male conseguenze di quell’assassinio saranno dolorose e incredibili. Stefano, minorenne giudicato «immaturo», se la caverà con una pena molto lieve. E dalla morte di Anna originerà pure la vita dell’autore, Andrea Romano, figlio del diplomatico che si risposerà dopo la perdita della prima moglie. Ora, a quasi cinquant’anni di distanza, Romano prova a riannodare i fili di un delitto che ha stravolto per sempre una famiglia, e ne ha generata una nuova, tenuta insieme da un tabù.

Un estratto
PROLOGO 
UNA VECCHIA FOTOGRAFIA SOPRA IL PIANOFORTE 

Sono legato a lei da un filo che nessun altro è in grado di vedere. Perché è dalla sua morte che ha avuto origine la mia vita. L’ho scoperto solo molto tempo dopo, quando il passare degli anni aveva ormai sbiadito i contorni della sua esistenza, quando gli altri avevano smesso di pronunciare il suo nome per non dover rivivere di nuovo quell’orrore. Avevano stretto un patto. Tutti quanti insieme. Non avrebbero mai parlato di lei davanti a me. Pensavano che fossi troppo piccolo per capire. O che forse avrei finito per guardarli con occhi diversi. Non più familiari ma estranei, persone che si erano ritrovate a dover vivere insieme per cause di forza maggiore. Giorno dopo giorno dopo giorno, quel pensiero rudimentale era diventato il loro modo di proteggermi. Ma soprattutto di proteggere loro stessi. Perché tutte le lacrime che avevano versato non erano ancora riuscite a spegnere il loro dolore. La bolla di silenzio scoppiò all’improvviso, dopo un com mento solo apparentemente ingenuo. In una mattina come tante di un giorno come tanti Vanda, la nostra tata, posò il ferro sull’asse da stiro e mi squadrò per qualche secondo. «Forse tu e i tuoi fratelli siete così diversi perché avete avuto madri diverse,» disse. Sul momento non capii. Alzai le spalle e continuai a fis sare lo schermo del nostro decrepito televisore. Al centro ell’inquadratura il Generale Lee stava planando sopra un tap peto di foglie secche. E mentre Bo Duke guardava la sagoma dello sceriffo Rosco P. Coltrane diventare sempre più piccola nello specchietto retrovisore, le sue mani muovevano lo sterzo in continuazione. Prima verso destra. Poi verso sinistra. Poi di nuovo verso destra. Infine ancora verso sinistra. L’effetto era ipnotico. Sembrava quasi che l’unico modo per tenere dritta quella macchina arancione con gli sportelli salda ti fosse farla curvare il più possibile. Mi ripetevo che da gran de avrei dovuto guidare anche io in quel modo. Io che in quel periodo avevo paura di tutto fantasticavo di ostentare la stessa spavalderia, di entrare in auto saltando attraverso il finestrino abbassato, di seguire solo le mie regole. In pratica sognavo di diventare l’esatto contrario di ciò che ero davvero. Avevo otto anni. Non andavo a scuola da giorni per via di una febbriciattola che puntualmente si alzava nel primo pomeriggio facendomi sentire stanco e spossato. Niente più lezioni. Niente più partitelle in cortile con le scatoline di succo di frutta al posto del pallone. Non facevo altro che guardare la televisione, sfogliare qualche fumetto, giocare con i miei Lego. Per tutto il giorno. Il momento che aspettavo con più impazienza arrivava però verso metà mattina. Prendevo il telecomando e mi appol laiavo su una delle sedie di legno della cucina. Poi sgranavo gli occhi davanti alle avventure del Batman povero e leggermente imbolsito degli anni Sessanta, quello con una drammatica calzamaglia e nuvolette con scritte cose tipo Pow, Zok!!, Qunckkk! e Biff! che comparivano sullo schermo durante i combattimenti. Poco più tardi iniziava Hazzard. Ed era tutta un’altra storia. Quel telefilm modellava la mia estetica, mi proiettava in un mondo lontano e nebuloso fatto di sceriffi, contee, ballate. Non era una storia di campagnoli delle nostre parti, era country. E per questo non era ridicola, ma affascinante. 

Andrea Romano è nato a Roma nel 1982. Giornalista professionista, scrive per Il Foglio, Il Fatto Quotidiano, Panorama, Tempi, Esquire,  Ultimo Uomo.

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