Boris Vian
(L’Automne à
Pekìn)
Traduzione di Doriana Cornelati
Sellerio
collana La Memoria 437
pp.340, 1999, brossura con alette
attualmente fuori catalogo
L’incipit
“Svogliato Amadis Dudu
camminava lungo la viuzza, la più lunga delle scorciatoie che portavano alla
fermata dell'autobus 975. Ogni giorno, poiché scendeva prima della sua fermata
mentre la vettura era in moto, doveva pagare tre scontrini e mezzo; tastò la
tasca del gilè per sentire se ne aveva ancora. Sì. Sopra un mucchio di
immondizie vide un uccello che, beccando tre scatole di latta vuote, ne cavava
le note dei Battellieri del Volga; di fermò, ma l'uccello, dopo una nota
falsa, schizzò via, indispettito, brontolando nel becco parolacce da uccello.
Amadis riprese a camminare cantando il seguito, ma anche a lui sfuggì una
stecca e buttò là una bestemmia.”
Il libro
Può un autobus che percorre
una mattina le strade di una città francese trasportare il suo unico passeggero
in un mondo parallelo? Certamente, se il conducente si chiama Boris Vian, che
in tal modo ci introduce in un'altra dimensione, dove si trova l'Exopotamia,
paese misterioso e desertico, in cui strani personaggi ruotano attorno a
un'assurda impresa ingegneristica - la costruzione di una ferrovia che non
conduce in nessun posto - fin dall'inizio votata al fallimento. L'automne à
Pékin, in cui (è bene dirlo) non si accenna minimamente nè alla stagione
autunnale né alla Cina, fu giudicato arduo alla sua comparsa perfino dagli
amici di Vian, ma riletto oggi, a distanza di mezzo secolo, ci appare come uno
degli esempi più limpidi e originali del suo stile. Il viaggio in Exopotamia si
snoda come una ricerca, una quête spirituale o alchemica, in fondo alla quale
tuttavia non c'è la verità ma la catastrofe. Contiene forse un amaro
riferimento autobiografico - Vian era ingegnere metallurgico - o, più in
generale, il riflesso di un senso di disperazione e di inutilità che egli
sotterraneamente percepiva e celava sotto una vernice grottesca direttamente
derivante dalla lezione di Alfred Jarry.
(Angelo Barbato, risvolto di
copertina)
L’autore
Durante la sua breve vita,
consumata febbrilmente nella Parigi notturna del secondo dopoguerra prima che
un attacco cardiaco lo stroncasse, Boris Vian (1920-1959) ha svolto un’attività
multiforme. É stato ingegnere, trombettista jazz, compositore, chansonnier,
critico musicale, commediografo, attore, giallista, traduttore, autore di
fantascienza e altro ancora. La sua opera, complessa e volutamente dispersa in
mille filoni, attende ancora una sistematizzazione che le renda piena
giustizia. In traduzione italiana ricordiamo una scelta del Teatro (Torino,
1978, con una penetrante introduzione di Guido Davico Bonino) e i romanzi, tra
cui L’écume des jours del 1947 (La schiuma dei giorni, Milano, 1992) e L’arrache-coeur del
1953 (Lo strappacuore, Milano, 1993).
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