SULLA ZATTERA
(Aus dem Floss, Residenz Verlag 1987)
Traduzione di Lydia Magliano
L'Editore
pp.664, novembre 1990, Euro non indicati, brossura
.
L’incipit
“Per quanto dissimili, e per quanto fosse invalicabile l’abisso
che li separava, ciò che sentivano reciprocamente si sarebbe potuto definire
senz’altro una sorta di ammirazione profonda e strana, roganica, per così dire.”.
Il libro
SULLA ZATTERA ALLA DERIVA
di Italo Alighiero Chiusano
da La Repubblica del 28 febbraio 1991
Nei molti anni in cui è stata sparsa in Italia, la
seminazione asburgica è venuta su come una foresta. La fase più consapevole
della rivalutazione critica di quel mondo culturale con vistosi prodromi già
prima della guerra inizia col libro di Claudio Magris sul Mito asburgico
(1963); poi corre lungo i volumi di alcune case editrici particolarmente
sensibili, in particolare Adelphi ed Einaudi. I risultati furono subito così
impressionanti per genialità di proposta (si pensi alla scoperta di un Musil) o
per successo anche commerciale (Joseph Roth) da invogliare sempre nuove
scoperte (Karl Kraus, Altenberg, Horvàth, Lernet-Holenia) o da spingere a più
approfonditi e raffinati riesami di autori già noti (Kafka, Rilke, Trakl,
Hofmannsthal, Schnitzler). Preso atto che tra Vienna e Praga, lungo Danubio e
Moldava, nel corso del secondo Ottocento e del primo Novecento era fiorita una
civiltà letteraria di così autunnale maturità ma anche tutta percorsa da
brividi mattutini, venne spontaneo stabilire i collegamenti con altre creazioni
forti, di quella civiltà, che solo letterarie non fossero: ed ecco i relais con
la psicanalisi, con la filosofia del circolo di Vienna, con l' austro-marxismo,
con la dodecafonia, con la Sezession o l' espressionismo, con l' architettura e
l' urbanistica d' avanguardia di Loos o della Vienna Rossa. Molti smisero di
guardare, come si faceva prima, verso Parigi o New York o Berlino-Weimar, e
giurarono che le cose più importanti e avveniristiche, in Europa e nel mondo
fino agli anni Venti-Trenta, erano avvenute lì, nella Mitteleuropa asburgica o
ex-asburgica, generando conseguenze ancora vitali ai giorni nostri. Tra gli
autori del mito asburgico al tramonto (o già calato nella notte) stranamente
mancava, al grande appello di Claudio Magris, uno scrittore austriaco come
George Saiko, che più tardi però Magris avrebbe pienamente ammesso tra i
cavalieri della sua Tavola Rotonda. Infatti in Saiko una lucida ma anche
straziata visione di un intero mondo plurisecolare che sprofonda nella
disgregazione entro brevissimo tempo assume forme di una memorabile solennità,
facendosi epicentro della sua ispirazione. Nato nella Boemia settentrionale nel
1892, Saiko fu tutt' altro che uno scrittore precoce. Badò a farsi una cultura
vasta e ben radicata, studiando storia dell' arte e archeologia, psicologia e
filosofia, e laureandosi in lettere. Ma non restarono solo frequentazioni
intellettuali di sia pur sublime dilettantismo. La sua competenza nelle arti
figurative fu anzi tale che dal 1939 Saiko lavorò presso una delle più
importanti collezioni grafiche del mondo, la famosa Albertina di Vienna, di cui
dal 1945 al 1950 fu il direttore. Erano molti anni, intanto, che quest' altro
annalista interiore del travaglio asburgico aveva deciso di affidare il
complesso delle sue allucinazioni meditative a un romanzo, uno dei grandi
romanzi-summa, nella scia dei Musil e dei Doderer, dei Canetti e dei Broch (suo
carissimo corrispondente ed amico) che un giorno resteranno, come archi
emergenti dal fiume, a testimoniare dove un tempo passasse l' ormai mitico
ponte sul Danubio. Un premio prima di morire Fu Auf dem Floss (Sulla zattera),
una robusta creazione uscita nel 1948 e notata solo, allora, da pochi spiriti
avvertiti. In Italia l' editore Rizzoli presentò il libro nel 1967, tradotto da
Lydia Magliano. Anni dopo, Marietti fece tradurre da Lorenzo Rega il secondo
grande romanzo di Saiko, L' uomo nel canneto (1983), di cui parlai su queste
colonne. Intanto, dopo aver pubblicato anche due volumi di racconti, Saiko era
morto presso Vienna nel 1962. Era un uomo austero, non facile, schivo, con una
pelata da ufficiale prussiano degna di Erich von Stroheim. Poco prima di
morire, con sua ironica incredulità, venne insignito d' un premio prestigioso,
quello dello Stato austriaco, segno che qualcosa nei suoi confronti stava
cambiando. La casa editrice L' Editore, forse pensando che l' edizione nostrana
del 1967 sia stata notata poco, ora ripropone Sulla zattera nella stessa
traduzione di allora, con la premessa di Adolf Haslinger che accompagna tuttora
l' edizione originale austriaca (660 pagg., lire 28.000). I patiti di casa d'
Austria hanno finalmente modo di mettersi in regola. Il libro è di accesso non
facile: ma forse che è facile la lettura de L' uomo senza qualità, della Morte
di Virgilio, di Auto da fé, dei Demoni? Se la civiltà asburgica, nella sua
grande stagione, ha prodotto romanzi che hanno rivoluzionato la narrativa
europea, lo ha fatto usando diverse, estreme forme di coraggio: la più
appariscente, il mettere i lettori di fronte a una fatica gravosa, quella di
sgranocchiare un romanzo che è anche un opus saggistico, filosofico,
mistico-teologico, sociologico, psicanalitico. Eppure qui non manca una storia,
un intreccio; come non mancano personaggi magari sfuggenti ma, nell' insieme,
robustamente caratterizzati. Il peculiare è che, individualità umane assai
rilevate, tali figure sono insieme simboli e metafore di una condizione più
vasta, maschere buone per l' intellettuale che ragiona sugli assoluti, ma anche
attraenti per il lettore bambino in cerca di fate e di babau. Zingara tutto
pepe Tale doppia funzione rivestono, in questo romanzo, i due personaggi
principali, collocati in un latifondo feudale che ancora sopravvive, tra le due
grandi guerre del secolo, al crollo dell' impero danubiano: il principe
Alexander Fenckh e il suo domestico Joschko. Come Ariele e Calibano, come Don
Chisciotte e Sancio, i due sono antitetici: da un lato l' aristocratico fatto
di convenzioni e di stile, il nevrotico incline alla decadenza e alla morbosità,
lo speculativo che corre su una ragnatela di incertezze; dall' altro il plebeo
fatto di gagliardia quasi animalesca, la creatura sana in simbiosi con la
natura, l' istintivo che procede sul più solido dei terreni. Secondo logica,
due tali contrapposti dovrebbero respingersi a vicenda, mirare alla reciproca
distruzione. Invece corre, tra i due, una corrente di simpatia che è anche
bisogno d' integrazione scambievole. Che da tale amicizia tra padrone e
servitore, tra quasi degenerato e quasi barbarico possa nascere qualcosa di
buono, una correzione delle rispettive tare, la conquista di un' umanità più
ricca e matura? No, perché s' insinuano dall' esterno forze disturbatrici. Il
principe ha un' amante, la zingara Marischka, sangue bollente e testolina
pazza. E il principe ha anche un fratello vescovo, uomo di antiche e non
discutibili certezze. Il vescovo imporrà al fratello di dare Marischka in
moglie a Joschko. E Marischka, offesa a morte, si vendica avvelenando Joschko.
Poi, aiutata da un amante, getta il cadavere di Joschko nella palude,
vanificando il delirio del principe che voleva conservare il morto in una teca
di cristallo. C' è speranza che il principe si rifugi in un matrimonio come si
deve? No, perché la donna adatta si fa sedurre da un avventuriero. Il principe
ripiega sul matrimonio con la figlia di lei. Una zattera, come si vede, che va
alla deriva col suo carico di personaggi pittoreschi e strambi, malati e
primitivi, relitti di un mondo di ieri che non si sa bene come possano
garantirci, domani, un' umanità rinnovata. Saiko era non solo amico e
ammiratore di Hermann Broch, ma anche estimatore fortissimo di Joyce, oltre che
appassionato lettore di Freud, di Mach, di Weininger. Lo si sente. Egli rifiuta
ciò che, nella narrativa moderna, è tradizionale, ma anche nel senso nuovo di
rispecchiare la figuratività tutta esteriore del cinema. Al contrario, Saiko è
per una forma di epicità che, da un lato, si rifaccia ai grandi miti del mondo
antico, con tutte le loro suggestioni barbariche e animistiche; dall' altro
accompagni sino in fondo il cammino delle scienze e delle discipline umane, non
temendo un sovraccarico di meditazione e di analisi critica. E' per questo che,
nel percorso della Zattera, minuziosità visionarie da lente d' ingrandimento,
figurazioni umane tra il mostruoso e il grottesco si alternano e s' intrecciano
a lunghe lasse di intellettualismo puro e persino capzioso, affacciato sugli
spazi dell' astratto o del metafisico. Buon lettore del mondo barocco, Saiko ne
ricorda la lezione in questo e negli altri suoi scritti creativi, dove opera
forte la suggestione di una magia che non rifiuta le invocazioni dello stregone
in camice bianco e con gli strumenti di precisione dello scienziato
novecentesco. Una miscela che a Vienna, forse più che altrove, è stata
sperimentata, e a volte con successo. Saiko è uno di coloro che a tale ricetta
hanno fatto credito, se non altro come a nuova e tutto sommato non banale
ipotesi di lavoro.
L’autore
George Emmanuel Saiko (Seestadtl, 5 febbraio 1892 – Rekawinkel,
23 dicembre 1962) scrittore austriaco originario della regione di Usti nad
Labem, nella Boemia settentrionale, si laurea nel 1927 all’Università di
Vienna in Lettere e Filosofia, studiando in particolare la storia
dell’arte e l’antichità classica. Le sue pubblicazioni riguardano soprattutto
la saggistica su queste materie. Dopol’Anschluss, dal 1939 gli viene impedito
di scrivere nuovi testi e lavora all’Albertina, la più grande collezione di
stampe esistente al mondo. Dopo la conclusione della guerra, tra il 1945 e
il 1950 dirige la collezione grafica del museo viennese, lavorando in
seguito come scrittore indipendente.
Nel 1959 vince il premio letterario della Città di
Vienna (Preis der Stadt Wien für Literatur), mentre nel 1962ottiene
il premio nazionale per la letteratura (Großer Österreichischer Staatspreis).
Pochi mesi dopo muore a Rekawinkel, nella Bassa Austria.
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