Blaise Cendrars
UNA NOTTE NELLA FORESTA
Primo
frammento di un’autobiografia (1929)
A cura di Riccardo Benedettini
Traduzione di Federica Cremaschi
Lamantica Edizioni, Brescia
pp.108, dicembre 2018, Euro 14,00, brossura
Estratti
Non ci tengo a sapere quello
che mi succederà, né che sarà di me. Sono pagato per sapere che non si può
cambiare pelle, anche mutilandosi. Perciò non mi importa delle sofferenze, dei
dolori, delle gioie, delle pene, delle ebbrezze, e vorrei riuscire a sopportare
con la stessa indifferenza la povertà e la ricchezza, il bene e il male,
l’intelligenza e la stupidità. L’indifferenza è lo stato d’animo più difficile
da raggiungere, da difendere e da conservare. Ma sono troppo sensibile, mi
emoziono per un niente, la mia mente si mette in moto troppo facilmente, gira,
scoppietta e poi, come un motore, perde i colpi. Ricado allora dentro me
stesso, affondo e trovo piacere in questi ritorni vertiginosi di coscienza
mentre soffoco e annego. La vita fila a tutta velocità come un vecchio film
rincollato, pieno di strappi, di buchi, scene ridicole, personaggi a rovescio,
didascalie antiquate, e si ferma all’improvviso su un’immagine, che non è
sempre la più bella, ma che diventa luminosa a forza di fissarvi l’attenzione.
È assurdo, ma è così.
[...]
La Città Eterna non lo è nei suoi monumenti di marmo e bronzo, ma, a rovescio, nelle catacombe che franano. L’ombelico dell’universo è un buco: non è un duomo ma un antro. Bisogna lasciarsi scivolare, abbandonarsi, lasciarsi trascinare dalla propria pesantezza per raggiungere il centro del mondo e contemplare non la mummia imputrescibile degli imperatori, né la maschera apologetica dei papi, ma piuttosto i volti ardenti delle streghe che roteano nelle fiamme. Solo la Roma delle Sibille, la Roma demoniaca, la Roma dei negromanti è stata grande, di una grandezza sotterranea e notturna, forse opera di una talpa ocellata, ma sicuramente l’opera di una talpa cieca, nascosta e interrata, e tutto quello che si è eretto orgogliosamente sulla superficie della città è stato segretamente abbattuto da questa bestia. Qui tutto scricchiola, tutto rovina, si sgretola, si scrosta, va in polvere, forma un monticello di detriti, e, sotto questo deposito, vanno e vengono gli animali sagaci, gli animali setosi, gli animali magici che rotolano i propri escrementi in forma di palla.
[...]
La Città Eterna non lo è nei suoi monumenti di marmo e bronzo, ma, a rovescio, nelle catacombe che franano. L’ombelico dell’universo è un buco: non è un duomo ma un antro. Bisogna lasciarsi scivolare, abbandonarsi, lasciarsi trascinare dalla propria pesantezza per raggiungere il centro del mondo e contemplare non la mummia imputrescibile degli imperatori, né la maschera apologetica dei papi, ma piuttosto i volti ardenti delle streghe che roteano nelle fiamme. Solo la Roma delle Sibille, la Roma demoniaca, la Roma dei negromanti è stata grande, di una grandezza sotterranea e notturna, forse opera di una talpa ocellata, ma sicuramente l’opera di una talpa cieca, nascosta e interrata, e tutto quello che si è eretto orgogliosamente sulla superficie della città è stato segretamente abbattuto da questa bestia. Qui tutto scricchiola, tutto rovina, si sgretola, si scrosta, va in polvere, forma un monticello di detriti, e, sotto questo deposito, vanno e vengono gli animali sagaci, gli animali setosi, gli animali magici che rotolano i propri escrementi in forma di palla.
Il libro
Per coloro che lo conoscono
per semplice sentito dire, Blaise Cendrars è il poeta giramondo (le bourlingueur),
sempre pronto a salire su un treno, su un transatlantico o sulla propria
potente Alfa Romeo per farsi condurre in terre remote. Questa leggenda, che il
poeta ha costruito negli anni e che certo ha adombrato in parte la sua vera
grande avventura, quella della scrittura, nasce precisamente tra le
pagine dei suoi libri, i cui racconti portano il lettore dalla Svizzera a
Parigi, da New York a Mosca, dall’Africa al Brasile, dalla Patagonia alla Cina
e all’Australia. Se la superficie della Terra nella sua integrità – e quindi
l’insieme di forze, di elementi e di simboli che la formano – è stata, più o
meno realisticamente, percorsa da Blaise, facendo del viaggio una delle molle
principali della sua opera (sia essa lirica, narrativa, fotografica, pittorica,
memoriale...), non deve comunque stupire il gioco che egli adduce anche sul
piano della Storia. L’ossessione della scrittura domina Cendrars per tutta la
vita e l’artista, che spesso ritorna sui propri testi nel corso di interi
decenni, non esita a rivedere l’ordine temporale degli stessi, con salti nella
cronologia che in apparenza potrebbero sembrare delle sviste ma che di fatto
sono elementi costituivi di un progetto ben più ampio di ricerca.
[...]L’argomento e la natura di Una notte nella foresta si spiegano
agevolmente con le date e la situazione dell’autore, che aveva previsto anche
un sottotitolo: notte venerea, foresta di oscuri desideri. [...] Lontano
da Parigi, lo scrittore che ha «troppi domicili» cerca ora rifugio e
tranquillità nella scrittura di Moravagine, di Dan Yack e del
nostro breve récit, nel quale, «come un illusionista», egli mostra il
proprio atelier di scrittura per sorprendere, divertire, meravigliare e
distrarre i suoi lettori.
(Riccardo Benedettini)
(Riccardo Benedettini)
L’autore
Blaise Cendrars, nome d’arte
di Frédéric-Louis Sauser, nasce nella Svizzera francese il 1° settembre
1887. Abbandonati gli studi di ragioneria e poi di medicina e lettere,
intraprende i primi viaggi tra Russia, Cina, Francia e America, e scopre la
letteratura frequentando la biblioteca di San Pietroburgo e componendo i suoi
primi poemi, tra cui Les Pâques à New York, La Prose du Transsibérien
et de la Petite Jehanne de France e Panama ou les Aventures de mes
sept oncles. Arruolatosi nella Legione Straniera a sostegno della Francia,
perderà il braccio destro combattendo al fronte nel 1915, reimparando poi a
scrivere con la mano sinistra. Naturalizzato francese, si stabilisce
nell’Ile-de-France e compone altre poesie e le prime opere narrative, spesso
arricchite di illustrazioni, incisioni o riproduzioni fotografiche, fra cui, La
Fin du Monde filmée par l’Ange Notre-Dame, Profond Aujourd’hui, J’ai
tué, Dix-neuf poèmes élastiques. Fonda le Editions de la Sirène, fa
esperienze cinematografiche, si appassiona all’Africa e al Brasile, scrivendo i
suoi grandi romanzi d’avventura. Compone in questi anni l’Anthologie nègre, L’Or,
la merveilleuse histoire du Général Johann August Suter, L’Eubage, Moravagine, Le
Plan de l’Aiguille, Les Confessions de Dan Yack, Une nuit dans la
forêt, premier fragment d’une autobiographie, Rhum, l’aventure de Jean
Galmot. Durante il Secondo Conflitto Mondiale diventa reporter e corrispondente
di guerra, ma dopo l’armistizio si esilia in Provenza, dove intraprende la
stesura della tetralogia autobiografica: L’Homme foudroyé, La Main
coupée, Bourlinguer, Le Lotissement du ciel. Negli anni Cinquanta
realizza diverse conversazioni radiofoniche e porta a termine l’ultimo romanzo Emmène-moi
au bout du monde!…, prima di essere colpito da due ictus che lo lasceranno debilitato
e delle cui conseguenze perirà il 21 gennaio 1961.
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