1947
Traduzione
di Alessandro Borini
Iperborea
Collana
Narrativa 292
pp.292, marzo
2018, Euro 10,00, brossura
Incipit
Il tempo non va esattamente
come dovrebbe. Il primo gennaio del 1947 il Times scrive che gli inglesi non
possono fare affidamento sui propri orologi. Per essere del tutto certi che il
tempo sia quello che dice di essere si consiglia loro di ascoltare la BBC, che
trasmetterà dei notiziari supplementari su quale sia effettivamente l’ora
esatta. Gli orologi elettrici risentono delle frequenti interruzioni di
corrente, ma anche quelli meccanici vanno controllati. Forse dipende dal
freddo. Forse la situazione migliorerà. Nel corso della guerra sono state
sganciate sulla Gran Bretagna circa 50.000 tonnellate di bombe. Oltre 4,5
milioni di edifici risultano danneggiati. Ci sono centri rurali minori che sono
quasi stati rasi al suolo, come la cittadina portuale scozzese ai cui
bombardamenti è addirittura stato dato un nome: il Clydebank Blitz. Nella città
austriaca di Wiener Neustadt una volta si contavano 4000 edifici. Ora ne
restano intatti solamente diciotto. A Budapest la metà delle case è
inabitabile. In Francia sono stati distrutti, nel complesso, 460.000 edifici.
In Unione Sovietica sono stati completamente annientati 1700 tra centri minori
e villaggi. In Germania le bombe hanno distrutto all’incirca 3,6 milioni di
abitazioni; una casa ogni cinque. La metà delle case di Berlino è inabitabile.
In tutta la Germania oltre diciotto milioni di persone sono senza dimora. Altri
dieci milioni lo sono in Ucraina. Tutti sono costretti a cavarsela con un
accesso limitato all’acqua e sporadico all’elettricità. I diritti umani non
esistono, il concetto di genocidio è sconosciuto ai più. I superstiti hanno
appena cominciato a contare i propri caduti. Molti fanno ritorno a casa senza
trovarla, altri si dirigono dovunque tranne che verso il proprio luogo di
provenienza. Le campagne d’Europa sono state spogliate, depredate e, in seguito
al sabotaggio delle dighe, risultano a tratti allagate. Terreni coltivati,
boschi, fattorie – vita, pane e lavoro di tanti – giacciono sotto la cenere,
ricoperti di fango. Sotto l’occupazione tedesca la Grecia ha perso un terzo
delle proprie aree boschive. Più di mille villaggi sono stati dati alle fiamme.
In Jugoslavia oltre la metà del bestiame è stato ucciso e il saccheggio di
granaglie, latte e lana ha messo in ginocchio l’economia. Gli eserciti di
Stalin e di Hitler non solo hanno seminato devastazione dove avanzavano, hanno
pure ricevuto l’ordine di distruggere tutto ciò che trovavano sul proprio
cammino in fase di ritirata. La tattica della terra bruciata prevedeva che non
si lasciasse nulla alle truppe nemiche. Per usare le parole di Heinrich
Himmler: «Nessuna persona, nessun capo di bestiame, nessun carico di cereali,
nessuna tratta ferroviaria devono essere lasciati alle spalle […] Il nemico
deve trovare un paese totalmente bruciato e distrutto.»* Adesso, dopo la fine
della guerra, tutti vanno in cerca di orologi da polso – c’è chi li ruba, chi
li nasconde, chi li dimentica, chi li perde. Il tempo rimane incerto. Quando
sono le otto di sera a Berlino, a Dresda sono le sette e a Brema invece le
nove. Nella zona russa vige il fuso orario russo, mentre nella propria parte di
Germania gli inglesi introducono l’ora legale. Se qualcuno chiede l’ora, i più
rispondono di non sapere che fine abbia fatto. L’orologio, intendono. Oppure
vogliono dire il tempo?
* Da Il continente selvaggio
di Keith Lowe, trad. di M. Sampaolo, Laterza, Roma-Bari 2015, p. 12. (N.d.T.)
Il libro
1947 è il vertiginoso racconto
di un anno in cui la politica e la grande Storia si fondono con gli eventi
quotidiani. Un anno trascurato e apparentemente insignificante, in cui un
vecchio ordine cade e ne sorge uno nuovo, ma soprattutto l’anno dove inizia il
nostro presente.
Dove comincia il presente?
Quando nascono le forze, i conflitti e le idee che governano la nostra epoca?
Inseguendo le tracce della famiglia che non ha mai potuto conoscere, Elisabeth
Åsbrink ci trasporta in un anno cruciale del ’900, nel momento in cui
l’Occidente, reduce dal Secondo conflitto mondiale, è di fronte a una serie di
bivi e possibilità ancora aperte, e compie scelte decisive per i nostri giorni.
È il 1947 quando scoppia la Guerra fredda, viene istituita la CIA e Kalašnikov
inventa l’arma oggi più diffusa al mondo; l’ONU riconosce lo Stato di Israele e
il figlio di un orologiaio egiziano lancia il moderno jihad. È solo nel ’47
che viene redatta la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, prima
sconosciuti all’umanità quanto il termine «genocidio», coniato da un giurista
polacco che ha perso la famiglia nei Lager. E mentre una rete clandestina di
organizzazioni internazionali mette in salvo i gerarchi del Reich e rilancia
gli ideali fascisti, Primo Levi riesce a pubblicare Se questo è un uomo,
un disilluso George Orwell scrive il profetico 1984 e Christian Dior
crea il suo controverso New Look. In mezzo a tutto questo, tra le masse di
profughi ebrei che attraversano l’Europa in cerca di una nuova vita, c’è il
padre dell’autrice, un orfano ungherese di dieci anni, davanti a una scelta che
deciderà il suo futuro. In un racconto poetico e documentatissimo, che ci cala
nei destini di personaggi d’eccezione e persone comuni, Åsbrink ricompone il
puzzle di un anno emblematico per la sua identità personale e per quella
collettiva. E scavando nei retroscena degli eventi, fino agli istanti in cui la
Storia avrebbe potuto prendere un altro corso, arriva all’origine di quei nodi
che non abbiamo ancora sciolto.
L’autore
Elisabeth Åsbrink (1965) è
una nota scrittrice e giornalista svedese, che vive tra Stoccolma e Copenaghen.
Con il suo primo libro «Och i Wienerwald står träden kvar» nel 2011 ha vinto il premio
August e nel 2013 il prestigioso Ryszard Kapuściński per il miglior reportage
letterario. 1947 è il suo primo libro tradotto in Italia, in corso di
traduzione in 15 paesi.
Nessun commento:
Posta un commento