Camilo Sanchez
LA VEDOVA VAN GOGH
(La viuda de los Van Gogh, 2012)
Traduzione
di Francesca Conte
Marcos y
Marcos
pp.192,
settembre 2016, Euro 16,00, brossura
L’incipit
Un’ombra pesante su ogni
gradino della scala è stato l’annuncio: Theo van Gogh entra con il fantasma
della morte attaccato alle scarpe. Johanna lo guarda. In tre giorni è
invecchiato di dieci anni. Quasi non fa caso alla moglie e a malapena saluta il
bambino. Con una cautela estrema, sistema sotto il letto gli ultimi lavori del
fratello, una serie di
rotoli con tele dipinte di
fresco. Quindi, nel bauletto di rovere delle lettere, ne deposita un’ultima,
quella che Vincent van Gogh aveva addosso quando si era sparato un colpo, e poi
si era sdraiato per dormire. Lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli
sull’acciottolato riporta Johanna van Gogh-Bonger alle sue carte. Però, prima
di arrivare alle parole, mette in ordine la casa:
quel piccolo universo ogni
giorno più incerto. Su un tavolino di legno di mandorlo, al quarto piano di
Cité Pigalle numero 8, a
Montmartre, comincia a sfumare la musica della città da sveglia. E mentre
avanza la sera, lei non riesce a distinguere il colore di quel che si avvicina.
Per coincidenza, o quel che sia, inaugura un nuovo quaderno del
suo diario personale con la
notizia della morte del cognato. Scrive. Theo non ha voluto parlare dell’agonia
di Vincent. A stento mi ha riferito che aveva un aspetto tranquillo, nella bara
issata sul tavolo da biliardo della locanda dei Ravoux. E che era stata una
buona idea aver esposto alcune fra le ultime opere intorno al suo corpo di
morto nuovo di
zecca. Sono riuscita a
reprimere la battuta impietosa che mi era passata per la mente: che alla fine ce
l’aveva fatta a ottenere la sua prima mostra personale. Sono rimasta in
silenzio e Theo è andato a dormire. Sono sei ore che dorme il primo, lungo
riposo senza suo fratello nel mondo. Mi sono sempre sentita un po’
intermediaria, un po’ intrusa,
tra i fratelli Van Gogh,
annota sul suo diario Johanna van Gogh-Bonger. Negli ultimi quattro anni, lei
aveva scelto di far finta di niente quando Theo mandava la busta con i
centocinquanta franchi, ogni mese; ed era stata sempre lei a calmare le acque
quando il marito, furioso, minacciava di abbandonarlo al suo destino. “Ci vuole
passione, ma a fuoco
lento” ripete tra sé e sé
mentre cambia il pannolino al figlio e, dal momento che il marito non si muove
dal letto, prende una decisione: sarà lei a redigere il necrologio del cognato
da mandare alla stampa. Poiché Johanna rifugge dalle ipocrisie, l’annuncio
funebre è a nome di Theo, l’unico che si è occupato di tutto sino alla fine.
Con abilità diplomatica,
tuttavia, Johanna indica due luoghi di lutto nell’annuncio: l’appartamento che
divide con il marito, al numero 8 di Cité Pigalle, Montmartre, Parigi e, pur
sentendolo quasi come una concessione, la casa della signora madre dei Van
Gogh, a Herengracht, Leiden, Olanda. Pensa a una cosa a cui non vorrebbe
pensare. Nella lunga e soffocante notte d’estate, a
Parigi, si chiede per la
prima volta se ha fatto bene a permettere che fosse Vincent, in omaggio allo
zio pittore, il nome di suo figlio.
Il libro
Cieli, occhi, corvi,
girasoli: dovunque giri lo sguardo, Johanna vede dipinti di Van Gogh. Splendono
nel buio, la svegliano all’alba; prima del canto degli uccelli, prima dei
rumori di Parigi che riparte.
La gente non li capisce, non li ama. Li usa come fondi d’armadio, per tappare i buchi del pollaio. Van Gogh si spara al petto e con lui se ne va il fratello Theo, inseparabile anche nella morte.
Johanna resta sola con un piccolino nella culla: si chiama Vincent come suo zio.
Lui e i dipinti illuminano il nero che l’ha avvolta.
Vedova giovane, torna in Olanda e si prepara a lottare; le hanno insegnato che bisogna dominare il mare per meritarsi la terra.
Apre una locanda in campagna, fa arrivare da Parigi i quadri di Van Gogh. Dal soffitto al pavimento, li appende in ogni stanza: è il suo omaggio all’artista che sognava una repubblica del colore, il primo museo segreto.
Di giorno Johanna accoglie gli ospiti, cresce suo figlio.
Di notte apre la valigetta che per Theo era sacra e si immerge nelle lettere di Van Gogh. Annota parole, isola passaggi di pura poesia. Le affidano una missione, le indicano la strada. Oltre le porte chiuse, il disprezzo, la selva dei no. Il primo sì è il disegno venduto a un cliente argentino.
La prima mostra la ospita all’Aia una donna senza pregiudizi.
Poi il vento gira, vengono i buoni incontri, gli incroci fortunati; il tempo corre, vola, le mostre si moltiplicano e Vincent van Gogh entra nella Storia.
Johanna, finalmente, può camminare guardando il cielo dopo la pioggia, respirare leggera, aprire altre porte. Tornare a smarrirsi in un sorriso, nel gioco meraviglioso dei corpi.
Una storia vera, bellissima, mai raccontata. La storia della donna che ha consegnato al mondo l’arte di Van Gogh..
La gente non li capisce, non li ama. Li usa come fondi d’armadio, per tappare i buchi del pollaio. Van Gogh si spara al petto e con lui se ne va il fratello Theo, inseparabile anche nella morte.
Johanna resta sola con un piccolino nella culla: si chiama Vincent come suo zio.
Lui e i dipinti illuminano il nero che l’ha avvolta.
Vedova giovane, torna in Olanda e si prepara a lottare; le hanno insegnato che bisogna dominare il mare per meritarsi la terra.
Apre una locanda in campagna, fa arrivare da Parigi i quadri di Van Gogh. Dal soffitto al pavimento, li appende in ogni stanza: è il suo omaggio all’artista che sognava una repubblica del colore, il primo museo segreto.
Di giorno Johanna accoglie gli ospiti, cresce suo figlio.
Di notte apre la valigetta che per Theo era sacra e si immerge nelle lettere di Van Gogh. Annota parole, isola passaggi di pura poesia. Le affidano una missione, le indicano la strada. Oltre le porte chiuse, il disprezzo, la selva dei no. Il primo sì è il disegno venduto a un cliente argentino.
La prima mostra la ospita all’Aia una donna senza pregiudizi.
Poi il vento gira, vengono i buoni incontri, gli incroci fortunati; il tempo corre, vola, le mostre si moltiplicano e Vincent van Gogh entra nella Storia.
Johanna, finalmente, può camminare guardando il cielo dopo la pioggia, respirare leggera, aprire altre porte. Tornare a smarrirsi in un sorriso, nel gioco meraviglioso dei corpi.
Una storia vera, bellissima, mai raccontata. La storia della donna che ha consegnato al mondo l’arte di Van Gogh..
L’autore
Camilo Sánchez è nato a Mar
del Plata e vive a Buenos Aires. Giornalista e poeta, ha collaborato con le più
prestigiose testate argentine – da «Página 12» a «Clarín» a «Ñ» – sia in
qualità di redattore che scrivendo reportage da tutto il mondo. Attualmente
dirige «Dang Dai», rivista di scambio culturale tra Argentina e Cina.
Guardando un documentario
della BBC, è rimasto colpito da un’immagine di Johanna van Gogh-Bonger, citata
fuggevolmente come depositaria dei quadri e delle lettere; durante una lunga
permanenza a New York, esplorando musei e biblioteche, ha scoperto il suo ruolo
fondamentale, mai raccontato, nel difendere dall’oblio l’opera di Van Gogh. Era
la storia che Sánchez aspettava per il suo primo romanzo, La vedova Van
Gogh: un omaggio al pittore straordinario morto solo, suicida, e alla donna che
ha lottato per renderlo, come artista, immortale.
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