Maria
Giacobbe
LE RADICI
Il Maestrale
Collana Tascabili
Narrativa
pp.203, 2005,
Euro 10,00, brossura
Incipit
La casa dove sono nata, dove
mia madre è nata, dove nonna arrivò sposa, e che nonno aveva ingrandito ed
abbellito per lei dalla metà di quella che, insieme al fratello, aveva
ereditato da suo padre, quella casa esiste ancora, sebbene ormai quasi irriconoscibile
per chi, come me, non abbia assistito al momento in cui, ancora una volta
divisa tra fratelli, si incrostò di nuovi fabbricati e vi si nascose, come un
nocciolo nella polpa del frutto.
Ciò accadde quando io già da
diversi anni avevo cambiato paese e nazionalità, e i miei genitori avevano
seguito gli altri figli, emigrati come tanti altri Sardi, in una grande città
del Continente.
In questo agglomerato di
edifici cerco quella che fu la mia casa. Ma solo chiudendo gli occhi riesco a
ritrovarla.
Il grande cortile-giardino
che col muro altissimo incoronato di frammenti di vetro colorato la separava
dalla strada e dalla piazza è scomparso. E insieme sono scomparsi, sotto i
nuovi appartamenti borghesi affittati ad estranei, i lillà, i peschi, le palme,
le calle, i gerani, i fiammanti topinambur e i gigli rossi. Quei gigli rossi
così belli che, come disse il frate questuante sicuro di ingraziarsi la
padrona, “mancavano solo della parola”.
Nonna, senza saperlo, era una
razionalista severa che non aveva nessuna simpatia per chi dimostrasse tendenza
a confondere le qualità delle creature del Signore, e quasi gli negò
l’elemosina per l’indignazione che una frase tanto sciocca suscitò in lei.
Ora quei gigli rossi non sono
che un ricordo, come è un ricordo nonna, seduta sulla seggiola rustica dal
fondo impagliato, nel cortile accanto all’uscio della cucina.
(Ha un corpo piccolo e
morbido nel costume nero e bianco da vedova. Sotto le pieghe della sottana
lunga e voluminosa si intravvede appena la linea delle ginocchia. La blusa di
tela bianca ricamata raccoglie tutta la luce nella opaca cornice del corsetto
di panno nero bordato di raso e di velluto. I bottoni in filigrana d’oro sono
come due piccoli seni lucenti o due chiuse melograne. Uguali bottoni d’argento
e con le punte d’ametista le ciondolano in doppia fila nella manica dal gomito
al polso. Le mani dalle dita paffute, bianche e appassite, prive di anelli,
sono abbandonate sul grembo; più spesso sgranano il rosario consunto dal molto
pregare oppure, con lo stesso gesto quasi assorto, i baccelli dei legumi per la
cena).
Il grande portone a tre ante,
di un amaranto stinto dalle intemperie, stava socchiuso nella parte centrale e,
dal suo angolo, sollevando appena gli occhi, nonna poteva fuggevolmente
scorgere gli scarsi passanti sulla piazza. I più, vedendola, le facevano un
cenno di saluto. Qualcuno si affacciava per conversare un momento con lei.
Quello era lo svago, l’unico svago della mia nonna. Rimasta vedova ancora
giovane e precocemente colpita da lutti troppo gravi, si era chiusa in una
severità di vita nella quale persino la messa domenicale era una specie di
frivolezza. Questa severità la faceva nemica di ogni manifestazione, se non
misuratissima, di sentimenti. Fossero questi di gioia o di dolore. Ma sorrideva
compiaciuta, pur respingendoci, quando i nipoti la assalivamo con le nostre
moine, festosi e goffi come cuccioli.
L’austerità che governava la
sua vita non le impediva però di essere tollerante e pietosa riguardo alle
debolezze degli altri. Durante la guerra fu proprio lei che, con traffici
segretissimi condotti per mezzo delle sue fedeli clienti-comari, procurava le
sigarette a mia madre per la quale il fumo, in quel momento, era uno dei pochi
conforti e l’unico lusso.
Il libro
Il ritorno del narratore al
paese d’origine, da una vita ricostruita all’estero, provoca la necessità di
rievocare “le radici”. Mito e storia si mescolano nel viaggio memoriale verso
un’infanzia e una giovinezza ripercorse ad occhi chiusi in questo libro pubblicato
per la prima volta nel 1957. Ma non c’è spazio per la pura nostalgia nella
potenza analitica che sempre accompagna la scrittura di Maria Giacobbe. La
convocazione dei fantasmi del passato, familiare e non, esorcizzati nell’arte
di narrare, da vita al romanzo di una civiltà che non ha scorto il malinteso
della modernizzazione. Dall’escursione del passato gli occhi si schiudono
sull’oggi - un oggi di trenta anni fa ma non lontano dal nostro oggi - in una
militante meditazione su una Nuoro e su una Sardegna che “forse perirono sotto
il ciclone del cosiddetto miracolo petrolchimico-edilizio-televisivo”
L’autore
Maria Giacobbe è nata a
Nuoro nel 1928. Dal 1957 vive in Danimarca, partecipando attivamente alla vita
intellettuale del suo paese d’adozione. Il 1957 è anche l’anno del suo esordio
letterario Diario di una maestrina (Laterza 1957; Il Maestrale 2003,
2006; Premio Viareggio e Palma d'Oro dell'Unione Donne Italiane); collabora al
«Mondo» di Pannunzio (1956-1963). Segue una prolifica attività di scrittura
narrativa, saggistica e giornalistica in italiano, danese, francese, spagnolo,
accompagnata da lavori di traduzione e curatela (Poesia moderna danese/Moderne
dansk poesi 1971; Premio Dante Alighieri dell'Università di Copenaghen).
Ha fatto parte della delegazione danese UNESCO in diversi incontri
internazionali (Svezia, Norvegia, Conferenza Generale di Parigi nel 1989). Per
motivi inerenti alla sua professione ha visitato la maggior parte dei paesi
europei e fatto viaggi in Asia, Africa, Medio Oriente, America Centrale, Canada
e USA, partecipando a incontri culturali internazionali. Le sue opere di
narrativa edite da Il Maestrale sono: Il mare (1997, 2001); Maschere
e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia (1999); Scenari d’esilio (2003); Gli
arcipelaghi (1995, 2001; Premio Speciale della Giuria Giuseppe Dessí; dal
romanzo è tratto l’omonimo film di Giovanni Columbu); Le radici (2005); Pòju
Luàdu (2005); Chiamalo pure amore (2008); Euridice (2011); Memorie
della farfalla (2014).
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