giovedì 20 marzo 2025

Angie Kim - IO SONO QUI - Heloola Books

 
Angie Kim
IO SONO QUI
(titolo originale Happiness Falls, 2023)
traduzione di Arianna Mandorino
Heloola Books
marzo 2025
pp. 504, euro 19,50
ISBN 979-1298542105

"Non chiamammo subito la polizia.” Con queste parole si apre un romanzo indimenticabile. A pronunciarle è Mia, 20 anni, irriverente e iperanalitica voce narrante. Mia inizialmente non si preoccupa quando suo padre e suo fratello minore Eugene non rientrano dopo una passeggiata in un parco vicino. Ma quando Eugene torna a casa da solo, sanguinante e sconvolto, diventa chiaro che qualcosa di grave è accaduto: suo padre è scomparso e l’unica persona che potrebbe sapere cosa gli sia successo è proprio Eugene, che, tuttavia, a causa di un'anomalia nello 0,00000003 percento del suo DNA, è perennemente sorridente e non può parlare. Mentre il mistero della scomparsa del padre si intreccia con il mistero della condizione umana stessa, una domanda sorge spontanea: conosciamo davvero le persone che amiamo? Ricco di colpi di scena e interrogativi profondi sull’amore, sul linguaggio e sui legami, Io sono qui è un romanzo che unisce mistero e dramma familiare a una profonda riflessione filosofica sulla vita e sulla felicità.
 
L'incipit
Non chiamammo subito la polizia. Più tardi mi sarei incolpata, chiedendomi se le cose sarebbero potute andare diversamente se non avessi minimizzato, insistendo che Papà non era scomparso scomparso ma solo in ritardo, probabilmente ancora nei boschi a cercare Eugene, pensando che fosse scappato via da qualche parte. Mamma dice che non è stata colpa mia, che ero solo ottimista, ma io mi conosco. Non credo nell’ottimismo. Credo esista un confine sottile (se c’è) tra l’ottimismo e la testardaggine idiota, quindi cerco di evitare del tutto l’ottimismo, per non cadere dall’altra parte. Anche il mio gemello, John, tenta in tutti i modi di farmi sentire meglio. Ripete che non avremmo potuto sapere che qualcosa era andato storto, perché era stata una mattinata così tipica, il che è una cosa imbecille da dire, perché per quale ragione dovresti presumere che le cose non possano andare male solo perché ancora non sono andate male? La vita non è come la geometria; momenti terribili, che ti stravolgono l’esistenza, non succedono in modo prevedibile, come la fine di una retta inclinata. Le tragedie e gli incidenti sono tragici e accidentali proprio a causa della loro imprevedibilità. Tra l’altro, etichettare qualsiasi cosa che riguardi la nostra famiglia come “tipico”… devo proprio dissentire. Non mi riferisco nemmeno alle cose quasi-tipiche come il fatto che io e John siamo due gemelli, maschio e femmina, il nostro essere multietnici (coreani e bianchi), i ruoli di genere non tradizionali dei nostri genitori (madre lavoratrice, padre casalingo), o i cognomi diversi (Parson per Papà + Park per Mamma = la fusione Parkson per noi figli) — cose non comuni, certamente, ma non sconvolgenti nella nostra zona di questi tempi. Quello che ci rende senza dubbio intrinsecamente atipici è la doppia diagnosi di mio fratello Eugene: autismo e una rara malattia genetica chiamata sindrome di Angelman a mosaico (SA), il che significa che non riesce a parlare, ha difficoltà motorie, e — questo è quello che affascina molti di quelli che non hanno mai sentito parlare della SA — ha un atteggiamento insolitamente felice, con sorrisi frequenti e risate. Scusate, sto andando fuori tema. È uno dei miei più grandi difetti, ma sto cercando di migliorare. (A essere onesta, non mi piace l’idea di smettere del tutto perché, a volte, quelle tangenti possono diventare importanti e/o divertenti. Per esempio, la mia tesi di laurea, Filosofia della musica e programmazione algoritmica: Locke, Bach e K-pop vs. Prokofiev, Sartre e il Jazz Rap, è nata da una nota a piè di pagina del mio progetto iniziale. Inoltre, non posso farci niente; è il modo in cui funziona la mia mente. Quindi facciamo un compromesso: metterò le divagazioni in note a piè di pagina. Se amate piccole simpatiche deviazioni come me e Papà, potete leggerle. Se trovate le note a piè di pagina fastidiose, come John, o volete sapere quello che è successo al più presto, come Mamma, potete saltarle. Se siete indecisi, potrete provarne un po’, a sentimento). Dunque, allora, stavo parlando della polizia. Il fatto è che sapevo che qualcosa non andava. Tutti lo sapevamo. Non volevamo chiamare la polizia perché non volevamo dirlo a voce alta, come sto facendo adesso girandoci intorno ancora e ancora, concentrandomi su questo problema marginale del chiamare la polizia invece di dire quello che è successo. Ecco qui: mio padre, Adam Parson, di cinquant’anni, è scomparso. Alle nove e trenta di mattina di giovedì 23 giugno 2020 lui e mio fratello Eugene, di quattordici anni, hanno fatto un’escursione nel vicino parco di River Falls. La facevano tutte le mattine da quando sono tornata a casa dall’università per la quarantena. Sappiamo che sono arrivati al parco; si sono fatti avanti dei testimoni, una dozzina di escursionisti e gente che portava a spasso il cane, che li hanno visti insieme in vari luoghi intorno al sentiero della cascata fino alle undici e dieci. Alle undici e trentotto minuti (conosciamo l’ora esatta dal video della telecamera sul cruscotto di una macchina), Eugene era fuori dal bosco: correva in mezzo a una strada di campagna nel nostro quartiere, costringendo un autista che aveva ignorato un segnale di stop a sterzare e a finire in un fosso, per evitare di colpirlo. Appena prima che il video sobbalzi per l’impatto, si vede in modo sfocato Eugene che non si ferma, non si gira, nemmeno guarda l’auto o nient’altro — incespica un po’, così vicino all’auto che si potrebbe giurare sia stato colpito. Pare che lo stridìo delle ruote e il rumore sordo della macchina che cade nel fosso, senza contare la reazione a catena delle due automobili di dietro, abbiano causato una tremenda cacofonia di scricchiolii, tonfi, e cigolii metallici che hanno fatto accorrere gente, e i passanti hanno riferito di aver visto un ragazzo, più tardi identificato come Eugene, barcollare via. Va detto che non uno tra i cinque passanti, i tre automobilisti o i due passeggeri coinvolti nell’incidente ha visto mio padre precedere, seguire o accompagnare Eugene. Ne abbiamo avuto conferma in varie occasioni e non c’è dubbio: Eugene era nel nostro quartiere da solo.

Angie Kim  si è trasferita da preadolescente da Seul, Corea del Sud, alla periferia di Baltimora. Dopo essersi laureata all'Interlochen Arts Academy, ha studiato filosofia alla Stanford University e ha frequentato la Harvard Law School, dove è stata redattrice della Harvard Law Review . Il suo romanzo d'esordio, Miracle Creek , ha vinto l'Edgar Award e l'ITW Thriller Award, ed è stato nominato uno dei 100 migliori gialli e thriller di tutti i tempi da Time, e uno dei migliori libri dell'anno da Time, The Washington Post, Kirkus Reviews e dal Today Show. Happiness Falls, il suo secondo romanzo, è stato un bestseller immediato del New York Times e una scelta del club del libro per Good Morning America, Barnes & Noble, Belletrist e Book of the Month Club. Angie ha scritto per The New York Times Book Review, The Washington Post, Vogue, Glamour e numerose riviste letterarie. Vive nella Virginia settentrionale con la sua famiglia.

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