Hermann Burger
IL MAGO E LA MORTE
L’ultimo trucco di Houdini e altre storie incredibili
traduzioni di Luca Bongiovanni, Deborah Confortini, Pamela Gualberto, Leila Guerra, Daniela Lozza, Patrizia Ruth Pancaldi, Valeria Pasquali, Anna Ruchat
L'Orma editore
marzo 2025
pp. 204, euro 21
ISBN 9791254761205
Portieri di notte che l’artrite rende insonni e quindi straordinariamente efficienti, poetesse in grado di mettere in rotta un’intera divisione corazzata, non-fumatrici militanti, ma soprattutto maghi e abilissimi prestigiatori abitano queste funamboliche Storie incredibili, infestate da fantasmi letterari e attraversate da echi musicali e persino scacchistiche.
Forse proprio nella forma breve – nell’apologo fulminante e umoristico, nella prosa di vertiginosa densità stilistica – Hermann Burger ha raggiunto i suoi esiti più felici e inconfutabili. Così, mentre nell’Eclissi della cascata di Badgastein evoca Schubert e i bagni termali per consegnarci pagine di una perfezione raggelante, in Ferrari humanum est tratteggia la deliziosa cronaca di un’escursione a bordo di un bolide che rimane in panne.
Questa antologia di tredici racconti – tra i più belli e stupefacenti del grande autore svizzero – è un elogio ironico e disperato dell’intelligenza e della complessità, fedele al credo di un «inguaribile appassionato di logica matematica» che ci pone uno spiazzante interrogativo: «Perché farla facile, se funziona anche difficile?».
Un estratto
Il mio amico P., al quale devo questa storia, un non-automobilista, membro dell’Associazione svizzera degli ispezionatori di tunnel, era ossessionato dall’idea di farsi scarrozzare, almeno una volta nella vita, su una Ferrari, e io decisi di regalargli tale soddisfazione per il suo cinquantesimo compleanno. Riuscii a trovare, cosa per niente facile con questo marchio, un’autosalone disposto a noleggiarci uno di quei preziosissimi bolidi per 500 franchi svizzeri al giorno, si trattava di un veicolo che veniva utilizzato come vettura di lusso per i matrimoni, evidentemente per molti sposi novelli, dopo le nozze in chiesa, la gioia più grande era sentire il rombo del motore di Maranello. Partimmo quindi per Basilea su una Mondial 3.2 rosso fuoco, 270 cavalli, velocità massima 250 km/h, cambio manuale a griglia, proprio una sensazione da Formula 1, scorreva sulla strada come un ferro su un’asse da stiro, in primo luogo non ci superava nessuno e in secondo luogo quelli che ci venivano incontro sulla corsia opposta ci guardavano con tanto d’occhi. Entrata nella zona fieristica, l’auto sportiva purosangue con il simbolo del cavallino rampante iniziò a rilasciare fumo e vapori da ogni fessura e aletta, e non ci rimase che constatare l’emergenza e parcheggiare nel primo spiazzo libero. E adesso? Non mancavano gli spettatori curiosi. Siccome sapevo che a Basilea non c’era una concessionaria della Ferrari, andammo in taxi alla ricerca di un’officina che potesse farsi carico del guasto alla lusso-mobile. Fu un’odissea per tutti i quartieri periferici e fino al porto sul Reno, perché purtroppo fu subito chiaro che nessun meccanico, per quanto sensibile, era disposto a scottarsi le dita con un’italiana bollente: solo gli specialisti possono metterci mano. In preda alla più profonda depressione e del tutto demoralizzati tornammo nella piazza del municipio, dove scoprimmo con sollievo che il fumo era sparito, l’inconfondibile rosso Ferrari luccicava come nuovo, ma sotto il tergicristalli era infilato un mazzetto di multe alto un dito, niente di strano, perché sul cartello del parcheggio c’era scritto: max 15 minuti. Così andammo a Canossa alla centrale di polizia, il mio amico P. disse mogio che dovevamo inventarci qualcosa, perché nessuno avrebbe creduto alla storia vera. Gli ricordai che una volta il poeta Clemens Brentano era riuscito a dare tre ragioni diverse per il suo ritardo a una soirée, e che la gente aveva pianto tutte e tre le volte. Ma cosa poteva commuovere alle lacrime quegli spavaldi agenti della polizia municipale di Basilea, che alla vista di un motore da 270 cavalli provavano solo invidia? L’agente sfogliava le multe del parcheggio sul bancone come fossero cambiali e chiese davvero commosso: «Ma vi potete permettere di pagarle?». P. rispose: «No, eravamo alla Giornata della Chiesa evangelica e abbiamo donato l’ultimo centesimo per l’iniziativa Pane ai nostri fratelli, la conosce?». Indimenticabile il modo in cui l’agente di polizia, strappando devotamente una multa dopo l’altra, rispose: «E allora noi agenti delle forze dell’ordine non vogliamo essere da meno». Dopo aver parcheggiato in un altro posto l’auto che sembrava di colpo di nuovo integra, bisognò festeggiare quel successo e la bevuta al Braunen Mutz in Barfüsserplatz durò fino a notte fonda. Quando viaggiavamo in autostrada, dopo aver azionato correttamente i fari a scomparsa e aver allacciato le cinture, le frecce lampeggianti e la segnaletica di velocità decrescente indicarono quello che senza dubbio è il peggio che possa capitare a un automobilista dopo la mezzanotte: un controllo di polizia. «Ci hanno beccato» dissi, ma P. rimase tranquillo e annunciò che per le prossime mosse avrebbe preso in mano la situazione. Primo: spostarsi a destra sulla corsia d’emergenza. Secondo: azionare le quattro frecce. Terzo: sistemare il triangolo alla distanza prescritta di trenta metri. Quarto: rintanarsi sui sedili posteriori di emergenza e aspettare di vedere cosa sarebbe successo. Ci vollero meno di tre minuti perché una volante della polizia si avvicinasse in retromarcia, una bmw bianca con le strisce catarifrangenti arancioni sulle fiancate e il lampeggiante blu sul tettuccio. Il poliziotto, munito di walkie-talkie, ci salutò infilando la mano nel finestrino aperto e gentilmente ci chiese quale fosse il problema. «Insomma, signor tenente,» esordì il mio amico P. «siamo entrambi ubriachi fradici.» «L’avevo capito.» «Sì, ma probabilmente lo era anche il nostro autista, cosa che non potevamo sapere quando lo abbiamo ingaggiato a Basilea. Non appena ha visto la luminaria là davanti, ha ripreso i documenti e ha tagliato la corda. Si sarà nascosto da qualche parte nei boschi prima di Rheinfelden.» È forse necessario aggiungere che l’uomo in uniforme probabilmente non credeva a una sola parola di quello che dicevamo ma che non aveva assolutamente niente contro di noi? Serve proprio un epilogo in cui si dice che, essendo la Ferrari un’auto troppo snob per essere portata via con fiera brutalità – tantopiù che non è dotata di un gancio di traino –, fummo riaccompagnati a casa da un caporalmaggiore della squadra di controllo stradale, un giovane patito di macchine che, come il mio amico P., non vedeva l’ora di guidare, per una volta nella vita, il bolide di Maranello? Be’, questo epilogo sarebbe davvero più Poesia che Verità.
Hermann Burger (1942-1989) è uno dei maggiori scrittori svizzeri del Dopoguerra. Ha insegnato letteratura tedesca al Politecnico di Zurigo. Fin dai suoi esordi ha attraversato la scena letteraria europea con la dirompenza di un tuono per poi bruciare in un’esistenza sempre accesa dalla furia creatrice e a tratti spenta dalla depressione. Virtuoso della lingua e dell’invettiva, meticoloso fino alla mania nelle ricerche preparatorie ai suoi romanzi, è stato l’autore ironico e liberatorio di testi spesso paragonati, per l’oltranza stilistica e l’umorismo disperato, a quelli di Franz Kafka e Thomas Bernhard.
Dopo aver composto un Tractatus logico-suicidalis, pubblicato il primo volume della sua autobiografia (che contiene anche una storia culturale del sigaro) e acquistato una Ferrari fiammante, si diede la morte con un cocktail di medicine.
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