(titolo originale Lettre à mon dictateur, Slatkine 2022)
traduzione di Francesca Cosi e Alessandra Repossi
Bottega Errante Edizioni
Collana Radar / 12
marzo 2025
pp. 144
ISBN 9791255670674
traduzione di Francesca Cosi e Alessandra Repossi
Bottega Errante Edizioni
Collana Radar / 12
marzo 2025
pp. 144
ISBN 9791255670674
La traduzione dell’opera ha ricevuto il sostegno di Pro Helvetia. Fondazione svizzera per la cultura.
Premio svizzero per la Letteratura 2023
Prix des libraires Payot 2023
Prix du Roman des Romands 2023
Eugène ha sei anni quando si trasferisce in Svizzera insieme ai genitori richiedenti asilo. Nato a Bucarest sotto la dittatura di Nicolae Ceauşescu, è ancora troppo giovane per comprendere quanto il totalitarismo, anche se lontano, influenzerà la sua formazione. A quasi cinquant’anni realizza di dover fare i conti con le proprie radici e, in particolare, col tiranno che ha spinto i suoi genitori ad abbandonare la patria. Vivo o morto, Ceauşescu rappresenta una maledizione, per lui e per i milioni di romeni vissuti sotto il regime, e decide così di indirizzargli una lettera. Con piglio ironico e sottile sensibilità l’autore ripercorre le atrocità della dittatura, ricostruendo una parabola in cui si inscrive anche la sua vita: Lettera al mio dittatore non è solo la storia di Eugène ma quella di tutto il popolo romeno.
L'incipit
Nicolae,
sono nato nel paese che hai tiranneggiato per ventiquattro anni. I miei genitori sono fuggiti dalla tua polizia politica che spiava e terrorizzava la popolazione. Quando avevo sei anni li ho raggiunti in Svizzera, un paese che non si fida dei capi e cambia presidente ogni anno. Sei stato fucilato quando ne compivo venti. Oggi ne ho cinquantadue. Sono trentadue anni che sei nella tomba, Nicolae. Sono diventato una persona che sicuramente non ti sarebbe piaciuta. Le mie storie ricreano l’assurdità del mondo. Adoro l’ironia e ritengo salutare prendere in giro se stessi. A ogni modo per me è un punto d’onore non avere niente in comune con te. Eppure, ti devo qualcosa. Ho un debito. Fastidioso e irritante. All’inizio la nostra storia era bella. Il tuo volto appariva sui manifesti incollati sui muri, sulle palizzate e sui teloni che ricoprivano le facciate dei palazzi. Non c’era viale di Bucarest senza un tuo ritratto. I pedoni, i passeggeri sui tram, gli automobilisti ammiravano le tue imprese. Guidavi un trattore in mezzo a un campo di grano dorato. Liberavi una colomba sopra una fabbrica. Ti chinavi verso un gruppo di scolari che ti baciavano offrendoti un mazzo di rose. Mi sorridevi a tutti gli angoli della strada. A casa, sullo schermo televisivo in bianco e nero, ogni giorno compariva il tuo viso. Nella cabina di pilotaggio di una nave immensa reggevi il timone che il capitano ti aveva umilmente ceduto. Davi ordini a generali dai grossi elmetti che ti ascoltavano con un’attenzione inaudita. Salivi sugli aerei sotto i flash dei fotografi. Scendevi a passo svelto da una lunga automobile nera. Appollaiato sul balcone di un palazzo, salutavi la folla che piangeva di gioia ascoltando i tuoi discorsi. Con un sorriso da predatore, ti mettevi in posa accanto all’orso dei Carpazi che avevi appena abbattuto. Tutti ti amavano e niente ti faceva paura. Avevo l’impressione che Dio fosse un membro della mia famiglia. La propaganda comunista non funzionava solo con i bambini di cinque anni. All’inizio del tuo regno, nel 1965, la tua popolarità non era una finta. Il tuo popolo ti amava davvero. Tre anni dopo, quando Mosca ha mandato i carri armati a schiacciare la Primavera di Praga, la Romania è stata il solo paese del patto di Varsavia a non inviare soldati. Anzi, meglio ancora! Hai condannato pubblicamente la repressione organizzata dal Cremlino: «L’invasione della Cecoslovacchia costituisce un grosso errore e un grave pericolo per la pace in Europa e per il futuro del socialismo nel mondo!» hai gridato dal balcone della sede centrale del Partito comunista romeno, a Bucarest. Una folla immensamente orgogliosa ti ha applaudito. Patto di Varsavia, blocco orientale, URSS, Muro di Berlino… Ti avverto, Nicolae, queste parole puzzano di formalina. Oggi i giovani europei non hanno idea che il continente sia stato tagliato in due per decenni.
sono nato nel paese che hai tiranneggiato per ventiquattro anni. I miei genitori sono fuggiti dalla tua polizia politica che spiava e terrorizzava la popolazione. Quando avevo sei anni li ho raggiunti in Svizzera, un paese che non si fida dei capi e cambia presidente ogni anno. Sei stato fucilato quando ne compivo venti. Oggi ne ho cinquantadue. Sono trentadue anni che sei nella tomba, Nicolae. Sono diventato una persona che sicuramente non ti sarebbe piaciuta. Le mie storie ricreano l’assurdità del mondo. Adoro l’ironia e ritengo salutare prendere in giro se stessi. A ogni modo per me è un punto d’onore non avere niente in comune con te. Eppure, ti devo qualcosa. Ho un debito. Fastidioso e irritante. All’inizio la nostra storia era bella. Il tuo volto appariva sui manifesti incollati sui muri, sulle palizzate e sui teloni che ricoprivano le facciate dei palazzi. Non c’era viale di Bucarest senza un tuo ritratto. I pedoni, i passeggeri sui tram, gli automobilisti ammiravano le tue imprese. Guidavi un trattore in mezzo a un campo di grano dorato. Liberavi una colomba sopra una fabbrica. Ti chinavi verso un gruppo di scolari che ti baciavano offrendoti un mazzo di rose. Mi sorridevi a tutti gli angoli della strada. A casa, sullo schermo televisivo in bianco e nero, ogni giorno compariva il tuo viso. Nella cabina di pilotaggio di una nave immensa reggevi il timone che il capitano ti aveva umilmente ceduto. Davi ordini a generali dai grossi elmetti che ti ascoltavano con un’attenzione inaudita. Salivi sugli aerei sotto i flash dei fotografi. Scendevi a passo svelto da una lunga automobile nera. Appollaiato sul balcone di un palazzo, salutavi la folla che piangeva di gioia ascoltando i tuoi discorsi. Con un sorriso da predatore, ti mettevi in posa accanto all’orso dei Carpazi che avevi appena abbattuto. Tutti ti amavano e niente ti faceva paura. Avevo l’impressione che Dio fosse un membro della mia famiglia. La propaganda comunista non funzionava solo con i bambini di cinque anni. All’inizio del tuo regno, nel 1965, la tua popolarità non era una finta. Il tuo popolo ti amava davvero. Tre anni dopo, quando Mosca ha mandato i carri armati a schiacciare la Primavera di Praga, la Romania è stata il solo paese del patto di Varsavia a non inviare soldati. Anzi, meglio ancora! Hai condannato pubblicamente la repressione organizzata dal Cremlino: «L’invasione della Cecoslovacchia costituisce un grosso errore e un grave pericolo per la pace in Europa e per il futuro del socialismo nel mondo!» hai gridato dal balcone della sede centrale del Partito comunista romeno, a Bucarest. Una folla immensamente orgogliosa ti ha applaudito. Patto di Varsavia, blocco orientale, URSS, Muro di Berlino… Ti avverto, Nicolae, queste parole puzzano di formalina. Oggi i giovani europei non hanno idea che il continente sia stato tagliato in due per decenni.
Francesca Cosi e Alessandra Repossi
traducono a quattro mani da quasi vent’anni letteratura e
saggistica da inglese, francese e spagnolo. Sono socie fondatrici del
Sindacato Traduttori Editoriali, membri del World Directory of
Children’s Book Translators e nel corso della loro carriera hanno
vinto numerosi premi, tra cui il Premio nazionale speciale per la
traduzione del Ministero della Cultura nel 2021. Hanno lavorato per
le principali case editrici italiane traducendo circa
duecentocinquanta tra libri e articoli.
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