lunedì 24 marzo 2025

Sonia Kronlund - L'UOMO DAI MILLE VOLTI - minimumfax

 
Sonia Kronlund
L'UOMO DAI MILLE VOLTI
Inchiesta su un'impostura sentimentale

(titolo originale L'homme aux mille visages, Grasset & Fasquelle, 2024)
traduzione di Aisha Cerami
minimumfax
marzo 2025
pp. 139, euro 16
ISBN 978-88-3389-603-8

 
Si fa chiamare Ricardo, Alexandre, Daniel o Richard; è argentino, brasiliano, portoghese. Fa il chirurgo, l’ingegnere, il fotografo. Ha donne, mogli, forse figli sparsi per diversi continenti. Contattata da una delle numerose vittime di questo bugiardo seriale, la documentarista Sonia Kronlund si lancia in un’inchiesta che la porterà a viaggiare per il mondo, assoldare un detective privato, intervistare le fidanzate e le persone che lo hanno incontrato, fino a trovarsi faccia a faccia proprio con lui, Ricardo, l’impostore totale, in un confronto tanto rivelatore quanto a sua volta inattendibile.
Ma chi è veramente Ricardo? Cosa lo spinge a ingannare tutte queste donne, a inventarsi identità sempre diverse senza fermarsi mai, nemmeno quando le sue bugie vengono svelate? Chi c’è dietro le sue molteplici facciate: uno psicopatico, un pericoloso manipolatore o semplicemente un seduttore compulsivo? E perché tra tutte le storie, Kronlund sente la necessità impellente di indagare proprio su questa? Avrà a che fare con la sua tendenza a innamorarsi sempre di uomini ambigui e bugiardi?
L’uomo dai mille volti è un’inchiesta appassionante che si legge come un thriller, ma anche una riflessione vertiginosa su cosa accade quando arriviamo a scorgere il sottilissimo confine che separa realtà e mistificazione.
Come il Jean-Claude Romand di L’avversario e il Frank Abagnale di Prova a prendermi, Ricardo – o Alexandre, o Daniel, o Richard – ci sconvolge perché apre uno squarcio su un sentimento oscuro: quel misto di orrore e fascinazione che si prova di fronte a personaggi la cui vita è già letteratura.

Un estratto
Avevo più o meno vent’anni quando il primo ragazzo con il quale ho vissuto nascose un registratore nel mio salotto, tra il radiatore e il muro. Registrava ciò che accadeva in sua assenza, poi si metteva ad ascoltare tutto quello che avevo detto al telefono o a chi passava a trovarmi. In seguito, buttava là qualche allusione. Se avevo parlato di lui, o della nostra relazione, mi interrogava tirando fuori dei dettagli che mi spaventavano a morte. Come faceva a sapere quello che avevo detto? Da dove gli uscivano quelle informazioni? Era assurdo. La nostra storia durò qualche mese. Quando scoprii la verità, perché alla fine me la disse lui, entrai nel panico e tagliai i ponti. Qualche anno dopo andai a vivere a Londra con un giovane inglese che lavorava nell’editoria. Un British che più British non si può, come in Asterix: l’aria distratta, una nuvola di latte nel tè, e un berretto da notte per dormire. Un giorno venni a sapere che non lavorava più da tempo perché era americano e non aveva i documenti in regola. La mattina se ne andava in biblioteca e la sera fingeva di tornare dal lavoro. Quella volta ebbi ancora più paura. Pensai che se gli avessi detto che avevo scoperto tutto mi avrebbe uccisa nel sonno. Non dissi niente. Lo osservai per giorni andare e venire, bere il suo tè e mangiare i suoi scones. Provai a fargli domande sul suo lavoro. Lui restava elusivo. Alla fine, deve aver capito che sapevo. Non ne parlammo mai. Me ne andai. E non è finita lì. Gli uomini che ho amato erano spesso disonesti, bugiardi, manipolatori. Mi fa rabbia, ma evidentemente è quello il mio tipo ideale. Questa strana attrazione mi ha seguito anche nel lavoro. Mi sono interessata molto ai truffatori, agli imbonitori e ad altri ciarlatani. Ecco perché, quando Marianne mi ha contattata e mi ha parlato di Ricardo, la sua storia si è imposta come una nuova tappa all’interno di una ricerca personale tortuosa e senza fine. Oltretutto penso che se non ho incrociato la strada di quest’uomo, se non figuro nella lista delle sue vittime, è solo un caso. Il 14 novembre 2015 – il giorno dopo la lunga notte degli attentati al Bataclan, ai bar e ai ristoranti parigini – intorno alle sei del mattino Marianne vede Alexandre, il suo compagno, correre all’ospedale Louis Mourier a Colombes, dove lavora come chirurgo toracico. La giovane coppia di trentenni vive a Parigi vicino al canale Saint-Martin. Condividono un grande monolocale tutto bianco arredato con degli scaffali colorati, che Marianne ha comprato e ristrutturato due anni prima. Lei è un’illustratrice, prova a mangiare solo biologico, frequenta i cinema del quartiere e va alle mostre in voga. Gli attentati hanno avuto luogo a due passi da casa loro. Sono sotto shock. Si sentono presi di mira. Mentre va in ospedale, Alexandre sa già che sarà una giornata difficile. La notte il direttore del suo reparto lo ha lasciato dormire un po’, ma i feriti da operare non possono attendere a lungo. Quando la sera Marianne lo vede rientrare, lui è a pezzi. Ha il volto teso dei giorni peggiori. Crolla sul divano, muto, prostrato. Per quella sera, la coppia aveva da tempo programmato un aperitivo dai vicini. Alexandre non ha la forza di andare. Marianne, con dolcezza, gli dice che non può restare così, che uscire lo aiuterebbe a distrarsi. Si lascia convincere. Angosciato dalla giornata, finisce per raccontare tutto quello che ha visto e vissuto. Djamila e Olivier, i vicini, non dimenticheranno mai questo momento doloroso, in cui tutti sono in lacrime ad ascoltare Alexandre che descrive i suoi pazienti crivellati dai proiettili, mutilati o paralizzati. La parte peggiore è quando racconta di una giovane ragazza ferita al Bataclan che non è riuscito a salvare, gli è morta sul tavolo operatorio. E dell’orrore poi di dover annunciare al padre il decesso della figlia, la fatica di trovare le parole più adatte. Djamila e Olivier sono colpiti dalla modestia, dal suo voler tenere un profilo basso. Ha fatto quello che era giusto fare, tutto qui. Gli anni di gioventù passati a lavorare con Medici senza Frontiere l’hanno aiutato, dice, a trovare il giusto atteggiamento, il distacco necessario. Per la prima volta menziona, en passant, il Sudan. Non si vanta, resta sobrio. Ma è grazie a questa esperienza che ha capito qualcosa di inquietante sui pazienti di oggi: alcuni proiettili che ha estratto dai corpi non sono stati sparati dai terroristi, ma dalla polizia. Djamila e Olivier gli sono grati. Si sono sentiti inutili, hanno passato la giornata storditi davanti al televisore, a vedere e rivedere le immagini dell’attacco, ma ora vanno a dormire orgogliosi di aver conosciuto una delle poche persone che hanno fatto qualcosa di concreto in questo giorno funesto. Quando Marianne descrive il suo passato con Alexandre, in questa stradina fiorita dove lei vive ancora, quando ne riparla con i vicini, che dopo aver saputo la verità l’hanno sostenuta con tutte le loro energie, quella serata si conferma uno dei momenti più sorprendenti che abbia mai vissuto. Perché nulla di tutto quello che Alexandre ha detto è vero. Marianne lo sa, adesso. Alexandre non ha mai messo piede in ospedale. Non è un medico. Non si chiama nemmeno Alexandre. All’inizio della loro storia, la giovane donna accetta di cenare con lui senza grande entusiasmo. Alexandre ha uno stile borghese, un po’ rigido, che non è di suo gusto. La camicia infilata nei pantaloni, per esempio. In seguito però si lascia conquistare dalla gentilezza, dalle attenzioni, dalla dolce e avvolgente perseveranza, che lei attribuisce alle sue origini brasiliane: è cresciuto a Rio, dove ha studiato medicina. Dopo una decina di anni nel settore umanitario in Africa, ha seguito un collega in Francia, Jean-Yves di Médecins sans Frontières, che lo ha aiutato a trovare lavoro nell’ospedale a Colombes. E visto che era uno straniero ha dovuto sostenere di nuovo alcuni esami. Ma ora Alexandre ha voglia di fermarsi, di costruire qualcosa.

Sonia Kronlund (1966) è documentarista, regista e scrittrice. Dal 2002 produce e presenta il programma radiofonico Les Pieds sur terre su France Culture, mezz’ora quotidiana di reportage su temi di attualità. Ha scritto e realizzato diversi documentari tra cui Nothingwood (in cui racconta la vita e il lavoro di Salim Shaheen, attore e regista afgano di film low budget girati contro il regime talebano), presentato nel 2017 nella «Quinzaine des cinéastes» al Festival di Cannes. Il documentario L’homme aux mille visages, realizzato parallelamente alla stesura del libro, è uscito in Francia nel 2024 e ha avuto una nomination come Best Documentary Feature al Raindance Film Festival.

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