Vittorio Imbriani
L'IMPIETRATRICE. PANZANA
a cura di Giuliano Cenati
Edizioni Spartaco
collana Elitropia
aprile 2025
pp. 176, euro 16
ISBN 9791280955166
Libro pubblicato con il contributo della Regione Campania.
«Prosa avventurosa, mobile, aristocratica e bastarda» Giorgio Manganelli.
«Imbriani distrugge la società del suo tempo a colpi di giochi linguistici, a riprova che in letteratura, molte volte, non c’è niente di più serio del divertimento» Michele Mari.
«Con un gesto ultimativo o una rivelazione inaspettata, Imbriani sottrae senso e attendibilità all’intera compagine romanzesca» Giuliano Cenati.
Un mix esplosivo di parodia, satira ed erudizione: l’imprevedibile penna di Vittorio Imbriani nel 1875 tratteggia un diverso finale della vita di Cesare Borgia. E getta così i semi di un genere letterario, l’ucronia, che assumerà contorni specifici solo dopo un secolo, con il successo postumo toccato a Philip Kindred Dick e al suo romanzo “The Man in the High Castle” (1962). Un genere rilanciato oggi da serie tv di grande successo, a partire da “Il complotto contro l’America” del 2020, basata sulla storia fantapolitica di Philip Roth (2004), a “L’uomo nell’alto castello” del 2015, tratta per l’appunto dal libro di Dick, a “22.11.63 (11.22.63)” del 2016, dall’omonimo romanzo (2011) di Stephen King.
Che cosa sarebbe successo se Cesare Borgia, l’astuto statista scrutato da Machiavelli nel Principe, fosse sopravvissuto alle sue sfortune politiche? E se avesse viaggiato verso le Americhe, alla ricerca di una favolosa principessa capace di pietrificare con gli occhi? Sono queste le domande a cui Vittorio Imbriani nel 1875 fornisce una risposta romanzesca con “L’impietratrice”, una delle primissime opere finzionali di storia alternativa della letteratura italiana. La nuova formula è però presto deviata in direzione della fiaba esotica e avventurosa: gli incroci acrobatici dei generi narrativi si combinano con i rimescolamenti più estrosi dei registri linguistici. L’arcicolto e strafottente Imbriani realizza così una nouvelle davvero singolare, rivolta al passato illustre e insieme anticipatrice di un fertile futuro.
Vittorio Imbriani (Napoli 1840-Napoli 1886) è uno dei più originali scrittori italiani del XIX secolo. Letterato, demopsicologo, poeta, studioso di estetica, a lui sono dovute la teoria della «macchia» in pittura e la denominazione delle rime «pietrose» di Dante. Autore di novelle e racconti di comicità sboccatissima, tra cui memorabili “La novella del vivicomburio” e “Per questo Cristo, ebbi a farmi turco”, ha scritto anche i romanzi “Dio ne scampi dagli Orsenigo”, “Merope IV”, “Sette milioni rubati o «La Croce Sabauda»”, che insieme con “L’impietratrice” delineano un catalogo dei generi romanzeschi in via di formazione nella civiltà letteraria moderna. Di princìpi reazionari in politica, nazionalista e anticlericale, sul piano dei costumi propugna un liberalismo radicale: da questa divaricazione ideologica scaturiscono le provocazioni grottesche della sua narrativa.
Giuliano Cenati è docente universitario di Letteratura italiana. Tra i massimi esperti dell’opera di Imbriani, ha pubblicato le monografie “Torniamo a bomba” (Led, 2004), dedicata allo scrittore napoletano, “Disegni, bizze e fulmini” (Ets, 2010) e “Frammenti e meraviglie” (Unicopli, 2010), sulla narrativa e la prosa breve di Carlo Emilio Gadda, “Figure da leggere” (Mimesis, 2023, Premio “Franco Fossati” 2024), su generi e prassi del fumetto in Italia.
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