QUANDO
ABBIAMO SMESSO DI CAPIRE IL MONDO
(Un
verdor terrible,
2019)
Traduzione
di Lisa Topi
Adelphi
Collana
Fabula 365
pp. 180, 2021, Euro 18, brossura
Il libro
C’è chi si indispettisce, come l’alchimista che all’inizio del Settecento, infierendo sulle sue cavie, crea per caso il primo colore sintetico, lo chiama «blu di Prussia» e si lascia subito alle spalle quell’incidente di percorso, rimettendosi alla ricerca dell’elisir. C’è chi si esalta, come un brillante chimico al servizio del Kaiser, Fritz Haber, quando a Ypres constata che i nemici non hanno difese contro il composto di cui ha riempito le bombole; o quando intuisce che dal cianuro di idrogeno estratto dal blu di Prussia si può ottenere un pesticida portentoso, lo Zyklon. E c’è invece chi si rende conto, come il giovane Heisenberg durante la sua tormentosa convalescenza a Helgoland, che probabilmente il traguardo è proprio questo: smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a quel momento e avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova. Per quanto terrore possa, a tratti, ispirare. È la via che ha preferito Benjamín Labatut in questo singolarissimo e appassionante libro, ricostruendo alcune scene che hanno deciso la nascita della scienza moderna. Ma, soprattutto, offrendoci un meraviglioso intrico di racconti, e lasciando scegliere a noi quale filo tirare, e se seguirlo fino alle estreme conseguenze.
L’autore
Benjamín Labatut è uno scrittore cileno . È nato a Rotterdam nel 1980 e ha trascorso la sua infanzia a La Haya , Buenos Aires e Lima. Si è trasferito a Santiago all'età di 14 anni. Il suo primo libro di racconti, La Antártica empieza aquí , ha vinto il Premio Caza de Letras 2009, assegnato da UNAM e Alfaguara in Messico. Ha anche vinto il Santiago Municipal Literature Award nella categoria racconti brevi nel 2013. Il suo secondo libro, Después de la luz , è uscito nel 2016, seguito da Un verdor terrible , pubblicato in inglese da Pushkin Press e nominato per il 2021 International Booker Prize
L'incipit
Durante un esame medico nei mesi precedenti al processo di Norimberga, i dottori notarono che le unghie delle mani e dei piedi di Hermann Göring erano macchiate di un rosso sgargiante. Pensarono, erroneamente, che il colore fosse dovuto alla dipendenza da diidrocodeina, un analgesico di cui prendeva più di cento pillole al giorno. Il suo effetto, secondo William Burroughs, era paragonabile all’eroina e almeno due volte più forte della codeina, ma con una scossa elettrica simile alla coca; per questo, prima che Göring comparisse davanti al tribunale, i medici americani dovettero curarlo dalla tossicodipendenza. Non fu facile. Quando venne catturato dagli Alleati, oltre allo smalto che si metteva sulle unghie quando si travestiva da Nerone, il gerarca nazista aveva in valigia più di ventimila dosi della sua droga preferita – quasi tutto ciò che rimaneva della produzione del farmaco in Germania alla $ne della seconda guerra mondiale. La tossicodipendenza di Göring non era un fatto eccezionale: praticamente tutte le truppe della Wehrmacht ricevevano metanfetamine come parte della razione. Vendute con il marchio Pervitin, i soldati le usavano per mantenersi svegli per settimane, completamente fuori di sé, alternando furore maniacale a letargia. Uno sforzo che a molti di loro provocava attacchi di euforia incontenibili: «Regna il silenzio assoluto. Tutto diventa insigni$cante e irreale. Mi sento leggerissimo, come se volassi sopra il mio aeroplano» scrisse anni dopo un pilota della Luftwaffe, quasi stesse ricordando il rapimento di una visione beati$ca anziché i giorni infami della guerra. Lo scrittore tedesco Heinrich Böll spedì alla famiglia molte lettere dal fronte nelle quali chiedeva dosi del farmaco: «Qui è dura, » scrisse ai genitori il 9 novembre 1939 «e spero comprendiate se riesco a scrivervi solo ogni due o tre giorni. Oggi lo faccio principalmente per chiedervi il Pervitin ... Vi voglio bene, Hein». Il 20 maggio 1940 scrisse loro un’altra lettera, lunga e appassionata, che terminava con la stessa richiesta: «Potete procurarmi ancora un po’ di Pervitin, da tenere di scorta| ». Due mesi dopo, i genitori ricevettero solo una riga tremolante: « Se possibile, mandatemi altro Pervitin, per favore ». Oggi sappiamo che le metanfetamine furono il combustibile con cui la Germania alimentò l’attacco inarrestabile del Blitzkrieg, e che molti soldati presentavano reazioni psicotiche non appena sentivano l’amaro delle pastiglie sciogliersi in bocca. Ma gli alti ufficiali del Reich dovettero ingoiare un boccone ben più amaro quando la guerra lampo si spense sotto la pioggia di fuoco dei bombardamenti alleati, quando l’inverno russo bloccò l’avanzata dei loro carri armati e il Führer ordinò che qualsiasi cosa di valore sul territorio nazionale venisse distrutta per lasciare terra bruciata agli eserciti invasori. Di fronte alla sconfitta totale, sopraffatti dall’immagine dell’orrore che avevano invocato sopra il mondo, optarono per una rapida uscita di scena: ingoiarono capsule di cianuro e morirono soffocati dal dolce profumo di mandorla esalato dal veleno.
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