Il libro
Maestoso è l’abbandono è un romanzo di de-formazione: la storia di una ragazzina ipersensibile che diventa adulta non attraverso le tappe prosaiche della trama visibile della vita ma attraverso i percorsi segreti del sogno, quelli che scorrono sotto le cose caricandole di simboli e possibilità, trasformandole e salvandole dalla banalità del tempo. In fondo, come sostenevano i cinesi, non esistono passato e futuro, e dunque nemmeno separazione tra ciò che siamo stati da bambini e ciò che siamo e saremo: è solo questione di sguardo.[Viola Di Grado]
«Ci sono gli amori che hanno a che fare con i percorsi, quelli che hanno a che fare con la solitudine e poi ci sono quelli che non servono a niente, gli amori altissimi.». Prendere le distanze dal mondo, e sentirsene sempre più parte. Questa è la storia di una donna, e del suo pensiero magico, che giorno dopo giorno le si attacca addosso. È la storia di quello che si nasconde tra le pieghe del reale ed è invisibile. La incontriamo, dopo troppi campari, davanti a una porta chiusa, alle prese con un addio maldestro e poetico: la decisione di abbandonare, dopo anni - secoli? - di sensi di colpa e compassione, di fallimenti e rimpianti, un uomo al quale non crede più. «Mi capita di aspettarlo ancora, azzero per un momento la vastità dei fenomeni incomprensibili ed entro di nuovo lì, dove si poteva credere a tutto e io venivo fermata, risarcita, protetta.» Alla psicoanalisi si sostituisce l'incanto, e poi alcuni incantesimi, piccoli riti magici, scintille astrali, tutto ciò che non ha ancora un nome, fa un po' di luce, non è divino, ed è per questo indicibile. E infine, al pari di un'iniziazione, l'amore incondizionato per un uomo assurdo, poetico, scostante, la cui ritrosia somiglia a una cura.
L'autore
Sara Gamberini vive a Verona. Ha lavorato in alcune strutture psichiatriche e poi ha collaborato con diverse case editrici nella valutazione di manoscritti.
Maestoso è l’abbandono è il suo primo romanzo.
L'incipit
Sono qui da secoli, per gli addii mi serve tempo. E' l'alba, l'ora del lupo è passata da poco, mi scrollo di dosso i residui patetici, gli eccessi emotivi, sistemo il sedile e lascio via Pigna numero due. Sono stata appostata in macchina tutta la notte, ho cantato le canzoni che trasmettevano alla radio bevendo quasi per intero una confezione di Campari.
Ne ho bevuti sei, tutti caldi. Al quarto ho scritto Non verrò per un po', seguito da Questo è un addio e Non ci vedremo mai più, ho lasciato un biglietto sullo zerbino e sono rimasta a guardare per molto tempo la porta chiusa per sempre, se mi riuscirà.
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