sabato 17 maggio 2025

Ignacio Peyró - ANGLOFILIA - Graphe.it

 
Ignacio Peyró
ANGLOFILIA
Piccolo glossario sentimentale della cultura inglese

(titolo originale Pompa y circunstancia, Diccionario sentimental de la cultura inglesa, Fórcola Ediciones, 2014)
traduzione di Roberto Russo
prefazione di Maurizio Serra
Graphe.it
collana Notabilia / 8
maggio 2025
pp. 414, euro 20,90
ISBN 9788893722520

 
Secondo l’autore, la generazione cresciuta negli anni Ottanta è l’ultima ad aver dato per scontato un concetto: se è inglese, è meglio. Il tè, la scuola, i trasporti, i tessuti ruvidi ma durevoli, la politica… “Per noi qualunque cosa – dice – sembrava nobilitarsi mostrando il suo passaporto british”. A smentirlo saranno i lettori e le lettrici di questo libro: fra loro ci sono di sicuro anche persone ben più giovani, eppure preda – complice forse qualche recente period drama – della fiamma, vistosa e universale, dell’anglofilia. 
Rispetto alla scintillante novità delle “cose americane”, gli oggetti, gli atteggiamenti e le consuetudini del Regno Unito hanno silenziosamente affascinato gli europei per secoli: discuterne, scoprire chi ne ha parlato, apprendere aneddoti e curiosità sul popolo britannico è stato e rimane un passatempo graditissimo a molti cultori.
Questo libro ne dà ampia e soddisfacente occasione: attraverso un glossario tematico (da “Alcol” a “Young Fogeys”) ci permette di attraversare la cultura d’Oltremanica in tutte le sue sfaccettature, alcune note solo ai veri fan. Per esempio, sapevate che c’è una pillar box, l’inconfondibile buca delle lettere di memoria vittoriana, sull’isola di Cipro? Per non parlare di chi è stato a inventarla… Insomma, ogni pagina di questo volume divertirà e conforterà l’anglofilo che è in voi, avvolgendolo come una mantella di tweed.
 
Dall'Introduzione
L’ apice dell’anglofilia copre nella cultura occidentale un periodo storico di circa un secolo e mezzo. Comincia con l’irruzione dei protoromantici o neogotici come il Macpherson dei Canti di Ossian (1760) e il Walpole del Castello di Otranto (1764), prosegue con l’immensa, visionaria produzione lirica e grafica di William Blake e la voga dei romanzi storici di Walter Scott (oggi per lo più illeggibili) e finisce con la Grande guerra, che di una certa Britannia rappresentò insieme l’apoteosi e il canto del cigno, con una coda negli anni Venti e Trenta. In mezzo vi sono tutte le tonalità e le sensibilità, dalle più radiose alle più cupe, violente e tormentate, che Mario Praz ha condensato una volta per tutte nel paradigma de «la morte, la carne e il diavolo». Poi, saltando un’epoca di tumulti e rivolgimenti, si arriverà all’ultima moda inglese che ha conquistato il pianeta, quella delle rockstar dai Beatles a Freddie Mercury e Amy Winehouse: ma non è merce per tutti i palati, e sembra poco apprezzata dal nostro autore. Questa lunga influenza non è stata solo letteraria, artistica o di costume. A cavallo tra Sette e Ottocento, il Regno Unito ha dovuto subire l’indipendenza dei primi tredici Stati Uniti d’America (1776), ma si è imposto ormai come la prima potenza marinara e coloniale d’Europa, quindi del mondo, di fronte alla Francia e alla Spagna, con un impero di vastità senza precedenti, dal Canada alle Indie, subito messo a frutto con implacabile efficienza per alimentare vecchie e nuove ricchezze della madrepatria, dalla Corona all’aristocrazia feudale alla nuova classe mercantile e borghese. La resistenza vittoriosa alla Rivoluzione francese e poi a Napoleone ha rafforzato la fiducia della nazione in se stessa e la convinzione che bisognasse tenersi lontani dall’irrequieta Europa continentale, facendo in modo altresì che non si formasse mai una coalizione in grado di minacciare la supremazia e l’indipendenza dell’isola di Albione. Oggi è acqua passata, e le superpotenze sono ben altre. Questo atteggiamento psicologico, prima ancora che politico, di diversità non è stato tuttavia superato, sia pure in chiave populistica, come dimostra – purtroppo – la vicenda della Brexit. Questa premessa, in sé ovvia, inquadra e riguarda solo in parte il particolare filone di anglofilia di cui è affetto l’artefice di questo ricco e originale diario sentimentale che, tra le sue qualità, annovera quella di non cedere mai alla nostalgia. Si potrebbe definire Peyró, forzando la metafora, un indagatore appassionato, a tratti anche passionale del suo tema, ma sempre lucido e disincantato quel tanto che basta per non farsene travolgere. In sostanza, spagnolo di origine ed europeo per appartenenza – o europeo di origine spagnola, fa lo stesso – egli ci rende partecipi di una dichiarazione d’amore agli inglesi e al loro mondo: cultura, abitudini, stile di vita, grandi e piccole manie sociali e corporative, atmosfere, paesaggi, roast beef, Rolls-Royce, e via dicendo. Ma si tratta di un amore, per l’appunto, “all’inglese”, e affido il virgolettato all’intelligenza (e al sorriso) del lettore. Dell’osservatore, del viaggiatore che sa il fatto suo e non si lascia impressionare dalle apparenze, Peyró possiede un’altra qualità: non ha mai fretta. In questo è l’opposto di un predecessore a cui per altri aspetti assomiglia e che spesso cita, il Paul Morand di Londra (1933) appena pubblicato in versione italiana dalle Edizioni Settecolori di Milano. Morand, lo rivendicava lui stesso, è sempre stato un homme pressé, un agitato permanente, che appena arrivato in un posto vuole già essere altrove e si spazientisce se deve aspettare cinque minuti per una visita o un incontro, l’apertura della caccia o l’inizio di un ballo. Solo l’acutezza da sparviero e una duttilità altrettanto fuor del comune di fronte al teatro della vita sempre in movimento gli permettono di evitare la superficialità. Peyró ama invece spalmare il proprio tempo e la propria penna su tutto ciò che lo colpisce, e molto lo colpisce. Si ferma, annusa, sorveglia, medita, paragona e conclude, o sembra concludere, prima di ripartire di nuovo. Ha la stoffa del segugio, tenace e circospetto, di Agatha Christie o Le Carré, al quale non sfugge un dettaglio, e che anzi parte dai dettagli per scoprire l’insieme (e l’assassino/a). L’impressione che se ne trae è che diverse almeno di queste pagine siano nate nel corso di una quieta passeggiata autunnale o sorbendo il tè tra le mura di un gentlemen’s club di Saint James’s o Pall Mall, ahimè sempre meno accoglienti: non già che non lo siano più, ma perché la club life, con le sue eccentricità e idiosincrasie, è ormai una vittima designata del politicamente corretto. È possibile che la società britannica, nel bene e nel male come ognuno è libero di intenderlo, evolva meno rapidamente di quelle continentali. Ma su molti usi e costumi, tramandati nei secoli e attraverso le generazioni, andrebbe ormai posta l’etichetta «in via di estinzione e/o di liquidazione». Ci si può inversamente chiedere se l’americanizzazione non vi sia stata più flagrante che altrove. Basti pensare a quella figura quintessenzialmente americana, anche se di magnanimi lombi albionici, che fu la povera principessa Diana (qui non citata) e all’isteria collettiva, così poco british, causata dal suo decesso. Il lettore è invitato a inoltrarsi – e non possiamo che salutare la bella e accurata veste delle Edizioni Graphe.it, nonché la traduzione di Roberto Russo, che lo è altrettanto – non in una serie di medaglioni chiusi e autosufficienti bensì in un percorso in cui ogni voce ne richiama un’altra e tutte confluiscono in un disegno organico, polifonico, ancorché personalissimo. Naturalmente, si può aprire il libro a caso, secondo l’estro o le proprie inclinazioni, e anzi il nostro suggerimento è di utilizzarlo come una di quelle guide dette travelling companions, o compagnie di viaggio, che gli inglesi dell’era preinternet mettevano in valigia, partendo per una destinazione esotica (e tutte ai loro occhi lo erano, quale più quale meno), e che bastavano a tener loro compagnia, se all’ultimo momento non partivano affatto. Per questo i frequenti rimandi da un personaggio all’altro, da un libro, da un film, da una serie televisiva, da uno sport o da un evento storico all’altro, sono più causali che casuali. E compongono la trama di questo itinerario complice, che non stenterà a trovare come merita la complicità del lettore.
Maurizio Serra
della Académie Française

Nato a Madrid nel 1980, Ignacio Peyró ha studiato Lettere e biblioteconomia presso l’Università Complutense ed è Direttore dell’Instituto Cervantes di Roma, dopo aver diretto quello di Londra.
Giornalista politico e culturale, scrive per El País. Ha scritto per El Mundo, ABC e La Vanguardia. Ha fondato il giornale online The Objective e la rivista culturale Ambos Mundos. Ha diretto la Nueva Revista Digital ed è stato membro del Consiglio dell’agenzia di stampa EFE. È stato anche consigliere e speechwriter del Presidente del governo spagnolo. Scrittore caratterizzato da una prosa di grande respiro, ha pubblicato diversi libri – tra cui le note di cucina, letteratura e vita Comimos y bebimos (2018), il diario Ya sentarás cabeza (2020) e la biografia di Julio Iglesias El español que enamoró al mundo (2025); ha curato, inoltre, la traduzione delle opere di Evelyn Waugh, Louis Auchincloss, J. K. Huysmans, Rudyard Kipling e Augusto Assía.
In ambito accademico ha tenuto lezioni e conferenze all’Università di Oxford, alla British Library, alla Fondazione Juan March e all’Università di Bologna. Collabora con la rivista culturale online Insula europea dell’Università di Perugia.


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