Jérôme Baschet
ADDIO AL CAPITALISMO
Autonomia, società del buen vivir e pluralità dei mondi
(titolo originale Adieux au capitalisme. Autonomie, société du bien vivre et multiplicité des mondes, La Découverte, Parigi, 2014)
traduzione di Diego Ferraris
Con una postfazione inedita dell'autore, 2025
Ortica editrice
collana Le Erbacce, 91
maggio 2025
pp. 242, € 15,00
ISBN 9791281228375
ADDIO AL CAPITALISMO
Autonomia, società del buen vivir e pluralità dei mondi
(titolo originale Adieux au capitalisme. Autonomie, société du bien vivre et multiplicité des mondes, La Découverte, Parigi, 2014)
traduzione di Diego Ferraris
Con una postfazione inedita dell'autore, 2025
Ortica editrice
collana Le Erbacce, 91
maggio 2025
pp. 242, € 15,00
ISBN 9791281228375
Il capitalismo o la vita! Nel momento in cui l’esistenza stessa della specie umana è messa in pericolo, la questione ecologica ci costringe a riconfigurare tutte le nostre analisi. Se non distruggiamo il capitalismo, sarà questo a distruggerci. No, non siamo più disposti ad adorare la Dea Merce. Né a consegnare il controllo delle nostre esistenze ai sacerdoti della Legge del denaro. Non siamo più disposti a contenere la nostra rabbia, né ad accettare l’inaccettabile in nome di un realismo divenuto criminale. Né a continuare a combinare assieme lucidità critica e rassegnazione pratica. Cresce una degna rabbia. Dice no al capitalismo e sì ad altri mondi possibili. Sa che la lotta contro il capitalismo è la lotta per l’umanità. Ora che è chiaramente stabilito l’alto costo della discontinuità naturalista che ha consegnato il pianeta agli appetiti della macchina economica e allo sfruttamento illimitato da parte dell’uomo, sembra indispensabile muoversi verso un’opzione che reintegri l’uomo nel cuore del mondo naturale.
Un estratto
dall'Introduzione
Siamo impantanati nella realtà. Ci si attacca addosso come un abito impossibile da togliere. In un mondo che si vanta di flessibilità e fluidità, la realtà si costituisce paradossalmente come una materia sempre più densa e pesante. La sua complessità reticolare finisce per essere sinonimo di una onnipotenza tentacolare. Si moltiplicano le trappole che ci costringono a vivere in un’urgenza permanente, senza una prospettiva diversa da quella di un ineluttabile adattamento a processi globali che nessuno può cambiare. Regna la fatalità sistemica e gli incessanti movimenti di un mondo che cambia non sono altro che la piena realizzazione di questa fatalità. L’adesione alla realtà può assumere forme molto diverse, nelle quali si combinano, con proporzioni molto variabili, la necessità di sopravvivenza, la luminosità dei modelli di ascesa sociale, le seduzioni del consumo che creano dipendenza, i piccoli privilegi di una vita minimamente confortevole, le insidie di una logica competitiva che fa credere alla gente che non ci sarà posto per tutti, la paura di perdere ciò che di poco (o molto) si ha e un senso di insicurezza instillato meticolosamente. Perfino una buona dose di scetticismo o una solida capacità critica può lasciare intatta questa adesione a un sistema che sembra aver rinunciato a convincerci delle sue virtù per limitarsi ad apparire come l’unica realtà possibile al di fuori del caos, così come sintetizza l’emblematica sentenza di François Furet: “Siamo condannati a vivere nel mondo in cui viviamo”. Non c’è alternativa: questa è la convinzione che le attuali forme di dominio sono riuscite a diffondere nell’intero corpo sociale. Al di là delle opinioni individuali, l’agire in modo conforme a una logica implacabile di adeguamento a una realtà da assumere così com’è, è divenuto norma comune. Ciò nonostante questo costrutto ha iniziato a sgretolarsi. L’apogeo di ciò che negli anni ’80 e ’90 veniva chiamato “pensiero unico”, è già alle nostre spalle. È passato del tempo da quando il racconto della fine della storia poteva essere venduto come una certezza indiscutibile. Il ciclo di riflusso della critica sociale, che ha avuto inizio intorno al 1972-1974 e si è tristemente amplificato durante i decenni del trionfo neoliberista, ha cominciato a perdere terreno a partire dalla metà degli anni ’90 (insurrezione zapatista, scioperi del 1995 in Francia, mobilitazioni di Seattle nel 1999, tra gli altri). Insomma, è iniziato un nuovo ciclo, caratterizzato dall’emergere della critica al neoliberismo e del movimento altermondista, la cui aspirazione a “un altro mondo possibile” è stata un’arma potente contro la presunta ineluttabilità dell’ordine neoliberista. Sono emersi nuovi attori sociali fino ad allora poco visibili (le popolazioni indigene, gli esclusi, i “sin”, i migranti...) e le forme di organizzare e di concepire le lotte, si sono rinnovate; sono state assunte nella propria pluralità, senza egemonismi e verso un recupero dell’integrità della vita. Qualunque siano i limiti di questi movimenti, gli anni 2000 hanno visto una rinascita della creatività critica e di nuove forme di radicalità. Un indizio minimo ma rivelatore è la ricomparsa del termine “capitalismo” che il trionfo del pensiero unico era riuscito a respingere in quanto arcaismo o persino come fosse una parola quasi oscena. Al contrario, tale nozione mobilita un forte potenziale critico, perché nomina e mostra la realtà in modo diverso da quella che cerca di imporre la logica dominante. Chi la rifiuta ne denuncia un riduttivismo del termine che schiaccerebbe in modo inadeguato la realtà. Fanno finta di ignorare il fatto che una vera analisi delle dinamiche del capitalismo (che non è solo un sistema economico ma una più generale forma sociale) deve spiegare la sua complessità, le sue contraddizioni e le su incessanti mutazioni. Infatti, associato a precise analisi critiche, questo termine ha una grande efficacia, perché indica come le logiche dominanti (né assolute, né uniche) che vengano imposte in (quasi) tutti i campi della realtà nel nostro presente. Dando un nome comune a tutto ciò che rifiutiamo, invece, il termine può delineare un terreno di incontro tra una molteplicità di lotte. Inoltre, la stessa nozione è implicitamente carica del suo opposto, l’anticapitalismo, che, a partire dagli anni 2000, si è fatto sempre più visibile ed esplicito in diverse parti del mondo, nella misura in cui le denunce limitate alle forme neoliberiste del capitalismo hanno cominciato a mostrare i loro limiti. Insomma, parlare di anticapitalismo provoca riserve e alcuni manifestano una certa perplessità di fronte al carattere negativo del termine. Ma questa percezione si limita a cogliere la forma visibile dell’espressione, che in realtà contiene l’affermazione di un progetto alternativo che non può essere difeso senza che si rifiuti, allo stesso tempo, ciò che lo nega. La negazione del mondo della negazione, dunque, è il punto di partenza concreto dell’impulso emancipatorio. (...)
Jérôme Baschet [1960]. Storico, si è avvicinato alle lotte dei popoli indigeni, e in particolare all’esperienza zapatista, da attivista e ricercatore. Dal 1997 vive tra la Francia e il Messico, dove insegna presso l’Universidad Autónoma de Chiapas (UNACH).
Fra le sue pubblicazioni: La scintilla zapatista. Insurrezione indigena e resistenza planetaria (2004); La civiltà feudale. Sei secoli di storia, dall’anno Mille alla colonizzazione dell’America (2005); L’iconografia medievale (2014); Una giusta rabbia. Fermare la distruzione del mondo (2020).
Nessun commento:
Posta un commento