Paolo Desogus
IN DIFESA DELL'UMANO
Pasolini tra passione e ideologia
La Nave di Teseo
collana I Fari
maggio 2025
pp. 496, euro 24
ISBN 9788834620762
Cuore antico e spirito moderno, disperatamente moderno, Pasolini è l’autore che più di ogni altro ha interrogato il mondo e le sue trasformazioni attraverso uno sguardo duplice, contrastato, sempre controcorrente. Sia la sua produzione poetica che la sua attività intellettuale si muovono lungo le coordinate di “passione e ideologia” per misurare la tensione e i conflitti tra il tempo dell’umano, del suo sentire e del suo vivere, e il tempo della storia che, dopo la fine delle speranze rivoluzionarie, promette libertà mentre genera omologazione e dominio.
Seguendo la particolare bussola della contraddizione, questo libro ripercorre le tappe poetiche, politiche e intellettuali del lavoro pasoliniano. Attraverso alcune significative scoperte d’archivio e numerosi confronti – da Dante a Dostoevskij, da Leopardi a Fortini, da Gramsci a de Martino sino a Horkheimer e Adorno – queste pagine cercano nell’intreccio di parole e immagini quella trama che lega il suo lascito al nostro presente, le sue inquietudini alle nostre domande.
UN ESTRATTO
Una premessa per il presente
Ogni passato […] può ottenere un grado di attualità più alto che al momento della sua esistenza. La sua configurazione in quanto superiore attualità spetta all’immagine in cui la comprensione lo riconosce e lo colloca. E questa compenetrazione dialettica e presentificazione di circostanze che appartengono al passato è la prova di verità dell’agire presente. Ovvero: essa accende la miccia del materiale esplosivo riposto nel ciò che è stato.
W. Benjamin, I “passages” di Parigi
Le pagine che seguono raccolgono e rielaborano il mio lavoro di ricerca sull’opera di Pier Paolo Pasolini e più precisamente sul tema della contraddizione, qui analizzato attraverso le sue diverse declinazioni e alla luce di quel processo di trasformazione culturale, sociale ed economico, ancora oggi in corso, chiamato negli Scritti corsari “mutazione antropologica”. Con questo libro vorrei infatti offrire al lettore un’indagine approfondita del corpus pasoliniano, mantenendo vivo il dialogo con il presente con l’obiettivo di restituire ai suoi testi e ai vari concetti chiave che vi compaiono quella “superiore attualità” necessaria per interpretare e agire sul nostro tempo. Soprattutto la contraddizione – tra “passione e ideologia”, “con te e contro te” –, coltivata sin dagli anni friulani e poi riproposta in modi diversi nelle opere più mature, mi pare aiuti a ritrovare nel lavoro poetico la sua facoltà di comprensione del mondo e quindi a recuperare quel legame tra ricerca espressiva e dimensione politica che ha permesso a Pasolini di interrogare l’umano, le sue forme simboliche e il suo rapporto con la storia.
La premessa che ha guidato questo studio è che tra attività artistica e vita sociale vi è sempre un nesso che l’indagine critica deve sforzarsi di spiegare per evitare che l’espressione poetica, per dirla con Fortini, si degradi ad “aroma spirituale” o a “ipocrita ‘cuore di un mondo senza cuore’”, se non a vero e proprio “vino di servi”[1]. Tale legame è cruciale in Pasolini. Nella sua opera anche la più banale effrazione metrica, anche il più semplice innesto dialettale o la più elementare inquadratura svolge una funzione politica. E questo non perché sia convinto che le scelte stilistiche abbiano il potere di modificare la realtà, ma perché, nella sua ottica, ogni decisione rimanda ai modi in cui la coscienza poetica vive la propria contraddizione col mondo e dunque reagisce al suo contesto nel tentativo di comprenderlo e di verificare le condizioni di possibilità della sua trasformazione.
La politicità di Pasolini, dunque, non risiede solo nelle prese di posizione e negli espliciti riferimenti alle questioni sociali. Né mi pare possa essere risolta ricorrendo alle etichette che si è dato, come ad esempio quella di intellettuale marxista. Tutti questi elementi hanno la loro grande importanza (non si può infatti pensare a Pasolini senza gli Scritti corsari e le Lettere luterane, né gli si può negare l’appartenenza al campo marxista), ma possono essere pienamente compresi solo nel quadro della lotta per l’espressività che ha combattuto sin dagli anni casarsesi. Le arti e in particolare la letteratura sono state per Pasolini il luogo di analisi critica delle forme di oppressione e di studio delle relazioni tra il singolo, il suo bios, la collettività e i processi materiali. La stessa “mutazione antropologica”, elaborata negli ultimi anni corsari e maggiormente prossima al tema dell’umano, ha le sue radici nell’impossibilità che Pasolini vive in quanto autore via via deprivato della materia espressiva dei dialetti, così come dei visi e dei gesti di quel corpo popolare raffigurato in molte sue opere. La manipolazione che dagli anni sessanta il mercato estende a ogni fascia sociale, incluso il sottoproletariato urbano raccontato nei romanzi romani e l’universo contadino delle poesie giovanili, toglie a Pasolini un aggancio al mondo, segna sia l’erosione della sua poetica che la perdita di realtà, cioè il progressivo smarrimento di quei dati estetici concreti che consentivano il confronto con il mondo esterno, con ciò che resiste alle convenzioni e alle forme di assoggettamento.
La contraddizione, e negli ultimi anni la difesa della contraddizione dalle mutazioni che promettono di sollevare l’umano dalla sua finitudine, dalla sua costitutiva incompletezza, è confluita nella riflessione politica e ha trovato un fortunato sviluppo nella critica alla società dei consumi che si è affermata in Italia negli anni del miracolo economico. Nella promessa di benessere per mezzo delle merci Pasolini vede infatti non l’esito di un nuovo progresso, ma il compimento di una forma di alienazione capace di degradare l’individuo, di schiavizzarlo e di farne lo strumento di uno sfruttamento inedito, che attinge non più solo dal lavoro, come negli operai di Marx, o dal radicamento egemonico, come ha poi mostrato Gramsci, ma anche dalla sua più profonda intimità, ovvero dal suo desiderio, dall’“amor che move”2 che dà slancio alla vita, sostanzia i legami sociali e dà impulso alla costruzione delle forme simboliche.
Come si osserva soprattutto nell’ultimo Pasolini, il falso progresso denunciato già dalla fine degli anni cinquanta si serve di questa forza vitale per estendere il progetto di sfruttamento capitalistico. Trasforma la contraddizione in omologazione, il desiderio di vita in desiderio di merce, l’eros in prestazione, le relazioni sociali in sfruttamento del prossimo, le comunità in campo di competizione e di autoaffermazione egoistica. Lo stesso “amor che move” dantesco[2] volge in agency priva di respiro comunitario, di apertura all’alterità e di riconoscimento della propria condizione esistenziale e politica in quella del prossimo. Il falso progresso neocapitalistico e le più recenti varianti neoliberali costituiscono in questo senso il punto più avanzato di mutazione. Esso si propone di sostituire l’umanesimo con la tecnica, l’arte con l’intrattenimento, l’amicizia con la competizione, la politica con il management, la democrazia con la governance, l’universale con il culto del frammento. La sua promessa è quella di saturare il desiderio, di eliminare il senso di contingenza, di incompletezza dell’umano, mediante l’illusione della crescita verticale dell’io, del godimento materiale illimitato e della rimozione di tutto ciò che si pone di fronte all’individuo come un ostacolo. La stessa esperienza della morte, come si rileva ancor più negli ultimi anni, è occultata da un vitalismo edonistico che nega ogni vincolo materiale, rimuove le fragilità del corpo, nasconde ogni traccia che rimandi alla precarietà ontologica del singolo e spinge alla performance continua. L’idea di limite è espulsa dal pensabile, sostituita dalla venerazione del consumo per il quale l’invecchiamento e la fine biologica dell’esistenza sono anomalie da correggere.
Considerata l’eccezionale trasformazione prodotta dal capitalismo nell’ultimo mezzo secolo e i tanti anni trascorsi dalla scomparsa di Pasolini è lecito chiedersi quanto siano attuali le sue riflessioni sulla mutazione antropologica e soprattutto se la sua critica al consumismo non sia in fondo il frutto dei timori personali di un autore essenzialmente antimoderno e nostalgico, che ha denunciato un avanzamento giunto a compiersi, su cui dunque occorre interrogarsi senza rimpiangere il vecchio umanesimo e le sue “lucciole”, legate invece a un mondo storico ancora prossimo a una natura oggi del tutto dominata. Questa estraneità al presente parrebbe del resto motivata dalle recenti acquisizioni tecnologiche, che hanno determinato nuovi rapporti di produzione dallo scrittore friulano intravisti solo nel loro primissimo bagliore, senza dunque avere reale esperienza dei loro effetti sull’umano e sulle sue forme simboliche.
La tesi di questo libro è che il valore e la “superiore attualità” di molte sue considerazioni sono in realtà dovuti all’esperienza di conflitto maturata con il proprio tempo, lungo un percorso ricchissimo di cambiamenti, dall’avvento alla caduta del fascismo, dalla lotta di Liberazione e dalla rinascita del movimento operaio alla fine delle speranze di rivoluzione, dal sorgere del miracolo economico all’affermazione della nuova civiltà dei consumi che ha modificato la percezione dell’essere umano sul mondo e su se stesso. In Pasolini queste diverse fasi storiche convivono nelle sue narrazioni, nelle sue scelte stilistiche. Si sviluppano attraverso il corpo a corpo con il suo tempo. E hanno dato forma al suo alfabeto politico, interagendo in modo fecondo con la sua poetica della contraddizione. Come infatti si riscontra in molti momenti della sua opera, arcaicità e modernità, sopravvivenza del passato e civiltà dei consumi si intrecciano, sono l’espressione di continue sovrapposizioni, di scambi conflittuali che mimano i contrasti tra essere e divenire, tra la creaturalità dell’umano e il pericolo della sua mercificazione.
Quello che consente di tenere aperto il dialogo tra Pasolini e il presente sta allora proprio nella sua idea di contraddizione, da lui coltivata attraverso un itinerario poetico e intellettuale strettamente intrecciato al percorso della grande tradizione umanistica italiana ed europea, quella di Dante, Leopardi, Gramsci e de Martino, con aperture a Dostoevskij, a Proust e, negli ultimi, anni alle esperienze politico-filosofiche di Marcuse e di Horkheimer e Adorno, da cui ha tratto linfa la sua ragione impura per pensare l’umano fuori dalle concezioni aprioristiche della storia e della società.
Questo cammino inizia a Casarsa, in Friuli, dove Pasolini compie le prime sperimentazioni letterarie, scopre la propria omosessualità e vive quella cruciale scissione tra sé e l’altro da sé, che nel passaggio a Roma diviene desiderio di desiderio, abbraccio collettivo, ricerca del proprio io nell’altro. Dopo Casarsa e Roma, negli anni sessanta, l’umanesimo di Pasolini trova i propri riferimenti oltre i confini nazionali. Soprattutto quando la sfida poetica e intellettuale si misura con la fine delle aspirazioni rivoluzionarie il suo sguardo matura e assume una consistenza intellettuale nuova, che gli consente di rinnovare la critica alla ragione neocapitalistica e di analizzare la sua capacità di fondare il proprio dominio non più solo per mezzo della forza, ma sulla spinta di una capacità egemonica inedita che crea consenso, costruisce un nuovo immaginario e allo stesso tempo si impossessa dei corpi per integrare il loro slancio di desiderio nella logica del consumo.
Pasolini non ha conosciuto lo sviluppo economico, industriale e tecnologico di cui oggi siamo testimoni e questo libro non ha certo la pretesa di farne un profeta moralisticamente ostile. Quello che consegno con queste pagine mi auguro possa però servire a comprendere il nostro tempo dall’ottica umanistica di Pasolini. Resto infatti persuaso che la sua vicenda poetica e intellettuale consenta di ripercorrere criticamente la traiettoria delle “magnifiche sorti progressive” che collegano il passato al presente e che nel tratto che ora attraversiamo aspirano apertamente alla possibilità del superamento dell’umano per mezzo di dispositivi che allargano la percezione, distaccano sempre più dalla datità vitale e promettono di liberarlo dai suoi limiti esistenziali per farne un soggetto dotato di illusorie facoltà autopoietiche, dunque apparentemente capace di autodeterminarsi, di diventare imprenditore e legislatore di se stesso al di fuori di qualsiasi “social catena”, sciolto dai vincoli con il prossimo e da ogni ideale comunitario. Tale prospettiva minaccia di alienare ulteriormente ogni slancio, ogni desiderio: non più desiderio di desiderio, sforzo collettivo per resistere alla finitudine o “amor che move”, ma brama di merce che dà compimento alla colonizzazione dell’umano, all’estremo superamento della contraddizione tra io e mondo mediante l’alienazione e lo sfruttamento. È questo l’esito transumanista, l’ultima variante della mutazione antropologica che spoglia il singolo di ogni legame sociale, di ogni progetto comunitario, e che aspira ad amministrare la vita secondo le regole del consumo, con l’obiettivo di trasformare il desiderio in un moltiplicatore di potenza del capitale.
Note
[1] F. Fortini, Metrica e biografia, «Quaderni piacentini», n.s. 2, XX, 1981, p. 106.
[2] La citazione riprende naturalmente un verso di Dante, ma si riferisce anche al bel titolo del volume di M. Gragnolati, Amor che move. Linguaggio del corpo e forma del desiderio in Dante, Pasolini e Morante, il Saggiatore, Milano 2013.
Una premessa per il presente
Ogni passato […] può ottenere un grado di attualità più alto che al momento della sua esistenza. La sua configurazione in quanto superiore attualità spetta all’immagine in cui la comprensione lo riconosce e lo colloca. E questa compenetrazione dialettica e presentificazione di circostanze che appartengono al passato è la prova di verità dell’agire presente. Ovvero: essa accende la miccia del materiale esplosivo riposto nel ciò che è stato.
W. Benjamin, I “passages” di Parigi
Le pagine che seguono raccolgono e rielaborano il mio lavoro di ricerca sull’opera di Pier Paolo Pasolini e più precisamente sul tema della contraddizione, qui analizzato attraverso le sue diverse declinazioni e alla luce di quel processo di trasformazione culturale, sociale ed economico, ancora oggi in corso, chiamato negli Scritti corsari “mutazione antropologica”. Con questo libro vorrei infatti offrire al lettore un’indagine approfondita del corpus pasoliniano, mantenendo vivo il dialogo con il presente con l’obiettivo di restituire ai suoi testi e ai vari concetti chiave che vi compaiono quella “superiore attualità” necessaria per interpretare e agire sul nostro tempo. Soprattutto la contraddizione – tra “passione e ideologia”, “con te e contro te” –, coltivata sin dagli anni friulani e poi riproposta in modi diversi nelle opere più mature, mi pare aiuti a ritrovare nel lavoro poetico la sua facoltà di comprensione del mondo e quindi a recuperare quel legame tra ricerca espressiva e dimensione politica che ha permesso a Pasolini di interrogare l’umano, le sue forme simboliche e il suo rapporto con la storia.
La premessa che ha guidato questo studio è che tra attività artistica e vita sociale vi è sempre un nesso che l’indagine critica deve sforzarsi di spiegare per evitare che l’espressione poetica, per dirla con Fortini, si degradi ad “aroma spirituale” o a “ipocrita ‘cuore di un mondo senza cuore’”, se non a vero e proprio “vino di servi”[1]. Tale legame è cruciale in Pasolini. Nella sua opera anche la più banale effrazione metrica, anche il più semplice innesto dialettale o la più elementare inquadratura svolge una funzione politica. E questo non perché sia convinto che le scelte stilistiche abbiano il potere di modificare la realtà, ma perché, nella sua ottica, ogni decisione rimanda ai modi in cui la coscienza poetica vive la propria contraddizione col mondo e dunque reagisce al suo contesto nel tentativo di comprenderlo e di verificare le condizioni di possibilità della sua trasformazione.
La politicità di Pasolini, dunque, non risiede solo nelle prese di posizione e negli espliciti riferimenti alle questioni sociali. Né mi pare possa essere risolta ricorrendo alle etichette che si è dato, come ad esempio quella di intellettuale marxista. Tutti questi elementi hanno la loro grande importanza (non si può infatti pensare a Pasolini senza gli Scritti corsari e le Lettere luterane, né gli si può negare l’appartenenza al campo marxista), ma possono essere pienamente compresi solo nel quadro della lotta per l’espressività che ha combattuto sin dagli anni casarsesi. Le arti e in particolare la letteratura sono state per Pasolini il luogo di analisi critica delle forme di oppressione e di studio delle relazioni tra il singolo, il suo bios, la collettività e i processi materiali. La stessa “mutazione antropologica”, elaborata negli ultimi anni corsari e maggiormente prossima al tema dell’umano, ha le sue radici nell’impossibilità che Pasolini vive in quanto autore via via deprivato della materia espressiva dei dialetti, così come dei visi e dei gesti di quel corpo popolare raffigurato in molte sue opere. La manipolazione che dagli anni sessanta il mercato estende a ogni fascia sociale, incluso il sottoproletariato urbano raccontato nei romanzi romani e l’universo contadino delle poesie giovanili, toglie a Pasolini un aggancio al mondo, segna sia l’erosione della sua poetica che la perdita di realtà, cioè il progressivo smarrimento di quei dati estetici concreti che consentivano il confronto con il mondo esterno, con ciò che resiste alle convenzioni e alle forme di assoggettamento.
La contraddizione, e negli ultimi anni la difesa della contraddizione dalle mutazioni che promettono di sollevare l’umano dalla sua finitudine, dalla sua costitutiva incompletezza, è confluita nella riflessione politica e ha trovato un fortunato sviluppo nella critica alla società dei consumi che si è affermata in Italia negli anni del miracolo economico. Nella promessa di benessere per mezzo delle merci Pasolini vede infatti non l’esito di un nuovo progresso, ma il compimento di una forma di alienazione capace di degradare l’individuo, di schiavizzarlo e di farne lo strumento di uno sfruttamento inedito, che attinge non più solo dal lavoro, come negli operai di Marx, o dal radicamento egemonico, come ha poi mostrato Gramsci, ma anche dalla sua più profonda intimità, ovvero dal suo desiderio, dall’“amor che move”2 che dà slancio alla vita, sostanzia i legami sociali e dà impulso alla costruzione delle forme simboliche.
Come si osserva soprattutto nell’ultimo Pasolini, il falso progresso denunciato già dalla fine degli anni cinquanta si serve di questa forza vitale per estendere il progetto di sfruttamento capitalistico. Trasforma la contraddizione in omologazione, il desiderio di vita in desiderio di merce, l’eros in prestazione, le relazioni sociali in sfruttamento del prossimo, le comunità in campo di competizione e di autoaffermazione egoistica. Lo stesso “amor che move” dantesco[2] volge in agency priva di respiro comunitario, di apertura all’alterità e di riconoscimento della propria condizione esistenziale e politica in quella del prossimo. Il falso progresso neocapitalistico e le più recenti varianti neoliberali costituiscono in questo senso il punto più avanzato di mutazione. Esso si propone di sostituire l’umanesimo con la tecnica, l’arte con l’intrattenimento, l’amicizia con la competizione, la politica con il management, la democrazia con la governance, l’universale con il culto del frammento. La sua promessa è quella di saturare il desiderio, di eliminare il senso di contingenza, di incompletezza dell’umano, mediante l’illusione della crescita verticale dell’io, del godimento materiale illimitato e della rimozione di tutto ciò che si pone di fronte all’individuo come un ostacolo. La stessa esperienza della morte, come si rileva ancor più negli ultimi anni, è occultata da un vitalismo edonistico che nega ogni vincolo materiale, rimuove le fragilità del corpo, nasconde ogni traccia che rimandi alla precarietà ontologica del singolo e spinge alla performance continua. L’idea di limite è espulsa dal pensabile, sostituita dalla venerazione del consumo per il quale l’invecchiamento e la fine biologica dell’esistenza sono anomalie da correggere.
Considerata l’eccezionale trasformazione prodotta dal capitalismo nell’ultimo mezzo secolo e i tanti anni trascorsi dalla scomparsa di Pasolini è lecito chiedersi quanto siano attuali le sue riflessioni sulla mutazione antropologica e soprattutto se la sua critica al consumismo non sia in fondo il frutto dei timori personali di un autore essenzialmente antimoderno e nostalgico, che ha denunciato un avanzamento giunto a compiersi, su cui dunque occorre interrogarsi senza rimpiangere il vecchio umanesimo e le sue “lucciole”, legate invece a un mondo storico ancora prossimo a una natura oggi del tutto dominata. Questa estraneità al presente parrebbe del resto motivata dalle recenti acquisizioni tecnologiche, che hanno determinato nuovi rapporti di produzione dallo scrittore friulano intravisti solo nel loro primissimo bagliore, senza dunque avere reale esperienza dei loro effetti sull’umano e sulle sue forme simboliche.
La tesi di questo libro è che il valore e la “superiore attualità” di molte sue considerazioni sono in realtà dovuti all’esperienza di conflitto maturata con il proprio tempo, lungo un percorso ricchissimo di cambiamenti, dall’avvento alla caduta del fascismo, dalla lotta di Liberazione e dalla rinascita del movimento operaio alla fine delle speranze di rivoluzione, dal sorgere del miracolo economico all’affermazione della nuova civiltà dei consumi che ha modificato la percezione dell’essere umano sul mondo e su se stesso. In Pasolini queste diverse fasi storiche convivono nelle sue narrazioni, nelle sue scelte stilistiche. Si sviluppano attraverso il corpo a corpo con il suo tempo. E hanno dato forma al suo alfabeto politico, interagendo in modo fecondo con la sua poetica della contraddizione. Come infatti si riscontra in molti momenti della sua opera, arcaicità e modernità, sopravvivenza del passato e civiltà dei consumi si intrecciano, sono l’espressione di continue sovrapposizioni, di scambi conflittuali che mimano i contrasti tra essere e divenire, tra la creaturalità dell’umano e il pericolo della sua mercificazione.
Quello che consente di tenere aperto il dialogo tra Pasolini e il presente sta allora proprio nella sua idea di contraddizione, da lui coltivata attraverso un itinerario poetico e intellettuale strettamente intrecciato al percorso della grande tradizione umanistica italiana ed europea, quella di Dante, Leopardi, Gramsci e de Martino, con aperture a Dostoevskij, a Proust e, negli ultimi, anni alle esperienze politico-filosofiche di Marcuse e di Horkheimer e Adorno, da cui ha tratto linfa la sua ragione impura per pensare l’umano fuori dalle concezioni aprioristiche della storia e della società.
Questo cammino inizia a Casarsa, in Friuli, dove Pasolini compie le prime sperimentazioni letterarie, scopre la propria omosessualità e vive quella cruciale scissione tra sé e l’altro da sé, che nel passaggio a Roma diviene desiderio di desiderio, abbraccio collettivo, ricerca del proprio io nell’altro. Dopo Casarsa e Roma, negli anni sessanta, l’umanesimo di Pasolini trova i propri riferimenti oltre i confini nazionali. Soprattutto quando la sfida poetica e intellettuale si misura con la fine delle aspirazioni rivoluzionarie il suo sguardo matura e assume una consistenza intellettuale nuova, che gli consente di rinnovare la critica alla ragione neocapitalistica e di analizzare la sua capacità di fondare il proprio dominio non più solo per mezzo della forza, ma sulla spinta di una capacità egemonica inedita che crea consenso, costruisce un nuovo immaginario e allo stesso tempo si impossessa dei corpi per integrare il loro slancio di desiderio nella logica del consumo.
Pasolini non ha conosciuto lo sviluppo economico, industriale e tecnologico di cui oggi siamo testimoni e questo libro non ha certo la pretesa di farne un profeta moralisticamente ostile. Quello che consegno con queste pagine mi auguro possa però servire a comprendere il nostro tempo dall’ottica umanistica di Pasolini. Resto infatti persuaso che la sua vicenda poetica e intellettuale consenta di ripercorrere criticamente la traiettoria delle “magnifiche sorti progressive” che collegano il passato al presente e che nel tratto che ora attraversiamo aspirano apertamente alla possibilità del superamento dell’umano per mezzo di dispositivi che allargano la percezione, distaccano sempre più dalla datità vitale e promettono di liberarlo dai suoi limiti esistenziali per farne un soggetto dotato di illusorie facoltà autopoietiche, dunque apparentemente capace di autodeterminarsi, di diventare imprenditore e legislatore di se stesso al di fuori di qualsiasi “social catena”, sciolto dai vincoli con il prossimo e da ogni ideale comunitario. Tale prospettiva minaccia di alienare ulteriormente ogni slancio, ogni desiderio: non più desiderio di desiderio, sforzo collettivo per resistere alla finitudine o “amor che move”, ma brama di merce che dà compimento alla colonizzazione dell’umano, all’estremo superamento della contraddizione tra io e mondo mediante l’alienazione e lo sfruttamento. È questo l’esito transumanista, l’ultima variante della mutazione antropologica che spoglia il singolo di ogni legame sociale, di ogni progetto comunitario, e che aspira ad amministrare la vita secondo le regole del consumo, con l’obiettivo di trasformare il desiderio in un moltiplicatore di potenza del capitale.
Note
[1] F. Fortini, Metrica e biografia, «Quaderni piacentini», n.s. 2, XX, 1981, p. 106.
[2] La citazione riprende naturalmente un verso di Dante, ma si riferisce anche al bel titolo del volume di M. Gragnolati, Amor che move. Linguaggio del corpo e forma del desiderio in Dante, Pasolini e Morante, il Saggiatore, Milano 2013.
Paolo Desogus è Maître de conférences alla Sorbonne Université di Parigi. I suoi studi riguardano principalmente la produzione letteraria italiana del secondo dopoguerra e il rapporto tra cinema e letteratura. Per il suo lavoro di ricerca ha ottenuto nel 2015 il premio Pasolini della Cineteca di Bologna e nel 2023 il premio Sormani della Fondazione Istituto Gramsci piemontese. Oltre a numerosi articoli su riviste specialistiche, nel 2018 ha pubblicato Laboratorio Pasolini. Teoria del segno e del cinema e La confusion des langues. Autour du style indirect libre dans l’oeuvre de Pier Paolo Pasolini.
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