domenica 4 maggio 2025

Mara Fortuna - LA CANARIA - Les Flâneurs

 
Mara Fortuna
LA CANARIA
Les Flâneurs Edizioni
collana Montparnasse
maggio 2025
pp. 292, euro 19
ISBN 9791254512050

 
Siamo a Napoli negli anni Sessanta. L’anziana Ida, in stato confusionale, scaraventa in strada ogni oggetto che le capita a tiro. Da quel momento la sorella Gilda è costretta ad assisterla anche se le due si detestano: il loro legame si è temprato in una vicinanza insostenibile, ma necessaria a entrambe. Fin da bambine hanno aspirato a una vita da artiste: Ida, affascinante e malinconica, ha una bellissima voce e un grande talento compositivo, Gilda, ambiziosa e combattiva, desidera fare l’attrice. Ma, pur appartenendo a una importante famiglia di editori musicali, sono ostacolate dalla mentalità bigotta e repressiva che le circonda. La loro vita inizia nella scintillante Napoli del primo ‘900 con le feste di Piedigrotta e il cinema di Elvira Notari, attraversa le due guerre e il ventennio fascista, fino ad arrivare agli anni del boom economico e alla modernità senz’anima.
Con la storia di due “sorelle geniali” vissute in un contesto storico in cui nascere donna era difficile e diventare una artista quasi impossibile, Mara Fortuna conferma la sua abilità nell’indagare l’animo femminile.

Un estratto

Settembre 1965, ore 23.30
Gilda, stesa al fianco della sorella, cerca inutilmente il sonno. Ida, invece, finge di dormire. Si danno le spalle. Cercano di dimenticarsi l’una dell’altra. La vita era cambiata all’improvviso, un anno prima. Era una mattina d’estate e Gilda, come sempre, aveva lasciato la sua stanza ammobiliata ed era andata a casa di Maria, la figliarella sua, ad aiutarla con le faccende. Abitavano vicino, lungo il viale che portava al mare. Stavano sgranando cannellini e indossavano già, tutte e due, i costumi sotto i camicioni di lino colorato, pronte per il bagno. Nel fresco della cucina si sentivano solo i piccoli tonfi dei fagioli che cadevano nella ciotola e le loro chiacchiere. «Chella sta sempe appizzata a vede’ chi passa». «Hai visto ‘a naso ‘e cane? Dice che vuole cambiare casa». Una risatella a bassa voce seguiva le frasi mormorate e risuonava nel cortile, dove il sole già bruciava. Alzavano ogni tanto gli occhi dal lavoro e tutte e due vedevano la malinconia insinuarsi tra i piatti e le padelle, sulla mensola tra l’origano e l’olio forte, e nelle fessure della persiana. La vedevano strisciare, come un serpente grigio e viscido, fino a lambire i piedi e attorcigliarsi alle caviglie, ma non ne parlavano. Tutto era diverso, adesso, questo era il punto. La lunga spiaggia curva che correva dalla torre Mazziotti alla grotta grande si era ridotta a uno sputo. E a ridosso, quasi sulla sabbia, avevano costruito brutti palazzi in cemento armato che, sotto la pittura bianca e le mattonelle lucide, non avevano blocchi di tufo e pietra lavica, come le case antiche che si erano specchiate nell’acqua salata per secoli, ma solo acciaio e mattoni forati. Il frastuono dei motoscafi cancellava quella che per tutta la loro vita era stata la vera canzone dell’estate: le grida dei bambini e le risate dei giovani intrecciate al suono delle onde. E dei vecchi pescatori solo uno era rimasto, a vogare lento, in piedi, a portare il pesce la mattina. La modernità senz’anima si era impadronita dei loro luoghi. Ma il mare era il mare. Gilda, a settantacinque anni, si metteva il costume e si immergeva tutti i giorni, come Maria, che ancora splendeva di bellezza nei suoi anni maturi. Un soffio di vento era entrato improvviso dalla finestra e aveva agitato i baccelli vuoti ammucchiati sul tavolo. Subito dopo c’era stato un rumore, forse di vetri infranti. «Hai sentito?». Maria si era stretta nelle spalle. Poi se ne era sentito uno più forte, un tonfo sordo, seguito da un rumore metallico ed entrambe avevano sussultato. «Fosse Ida?». A quel punto erano cominciate le urla, voci concitate che si accavallavano, e loro erano uscite di corsa. Avevano risalito le scalette e raggiunto il viale, dove si affacciava, scavata nel tufo, la casa di Ida, la sorella di Gilda. Chi urlava, facce all’insù, era una coppia di bagnanti, lei con un grande cappello di paglia e occhiali da sole, lui con una borsa di tela in una mano e maschera e pinne nell’altra.
«Ma è pazza!». «Gesù, ma questa è uscita di testa, non ci sta nessuno co’ essa?». I due arretravano e gridavano. A terra una scena da fine dell’anno: una sedia capovolta, una macchia rilucente di uno specchio a pezzetti, una pentola ammaccata, una cornice aperta come un paio di forbici. Le napoletane verdi alle finestre erano chiuse, tutte tranne una, e lì era apparsa Ida: capelli grigi scomposti, occhi arrossati, si sporgeva dalla finestra aperta, furente. Prendeva e buttava giù: un pettine, una tazza, l’immaginetta di santa Rita. Si fermava, agitava un braccio in avanti, come volesse prendere a mazzate i bagnanti, e poi di nuovo, prendeva e buttava giù: una brocca, una lampada, un asciugamano e infine l’orinale. Anche lei, dall’alto, urlava. Frasi confuse, parole che sfumavano prima di compiersi. Sillabe di rabbia. Gilda si era morsa un labbro guardando la sorella. Aveva pensato che in fondo doveva aspettarsela, prima o poi, questa esplosione, ma l’idea si era affacciata debole alla mente, ed era stata subito messa da parte. «Ida! Idaaa! Che è stato?». «Che è stato? Che è?». Avevano gridato invano: lei nemmeno le aveva guardate. «Sapete, non sta bene, ma è la prima volta che fa questo. Non l’ha mai fatto, mai fatto». Si erano scusate, mentre un ombrello grigio con una stecca spezzata era piombato a terra. Fino a quel momento, anche se Ida era un po’ svanita, non c’erano stati problemi. Gilda andava tutti i giorni a trovarla, le faceva la spesa, le cucinava. Solo per sollevare Maria dall’incombenza, perché la sorella appena la vedeva mugugnava, le inveiva contro. Non la poteva soffrire e lei lo sapeva. «E va buo’, ma fate qualcosa. Siete parenti?».
Gilda aveva serrato i denti e Maria era stata zitta, con gli occhi già pieni di lacrime. I due bagnanti erano andati via poco convinti, mormorando. Maria ormai singhiozzava e a Gilda intanto era toccato ripulire tutto, compreso l’orinale. Era pieno quando la sorella l’aveva lanciato giù. Era corsa a casa, aveva preso un secchio pieno d’acqua e candeggina e aveva fatto colare tutto in un canaletto vicino. «Mari’, si deve lavare mo’. Io penso che se ha gettato… insomma, forse essa non s’è pulezzata». La voce di Gilda era asciutta, già pensava alle conseguenze. Erano andate da Ida senza fretta. Non avevano voglia di sapere la verità. L’avevano trovata seduta sul letto che farfugliava, la camicia da notte bagnata e inzaccherata. Dalla finestra spalancata entrava il vento. Sul marmo del comò un barattolo rotolava su un fianco spargendo cipria ovunque e il piumino rosa strisciava sul pavimento come una foglia secca. I lumi sul trumeau, quelli che Ida teneva davanti alle fotografie dei morti, erano spenti. Un asciugamano di lino stropicciato si avvolgeva al bordo di legno del letto, la frangia si era impigliata nei decori in bronzo: fili ingarbugliati intorno alla testina egiziana dalla chioma squadrata, fili nella piccola lira coi manici ricurvi. Maria si era messa pazientemente a sbrogliarli, mentre Gilda provava a liberare Ida dalla camicia da notte. «Statte ferma, Giulie’!», era sbottata quella, fermandole il braccio con la mano. La chiamava ancora Giulietta, qualche volta, col nome di nascita, non con quello che la sorella si era scelto da grande.

Mara Fortuna è nata e vive a Napoli. Ha tenuto le rubriche “Questioni di genere” e “Artemisia” per Il Mediano.it e ha scritto di danza per Campadidanza.it. Ha pubblicato, tra le altre cose, L’intervista a Petra Krause per Tullio Pironti, racconti brevi all’interno di raccolte e su quotidiani, tra cui Nella terra di mezzo in Campania. Una risata ci seppellirà (Les Flâneurs, 2023) e Acqua di mare e sangue in Nemesi d’amore e d’anarchia (Baldini e Castoldi, 2024). Nel 2021 ha pubblicato il romanzo storico Le magnifiche invenzioni (Giunti), recensito da testate come Io donna, La Repubblica e Il Mattino, e blog come Letteratitudine. Ha fondato e presiede l’associazione “La Principessa Azzurra APS”, contro la discriminazione e la violenza di genere.

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