Alle note bio-bibliografiche riportate nella bandella posso aggiungere di avere vissuto sempre in Sicilia e pressoché esclusivamente a Palermo, di essere diventato da pochi anni un insegnante in pensione, di non avere una biografia movimentata o interessante.
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Perché scrivi, e in particolare romanzi?
Forse è
un modo di fare accadere qualcosa che si desidera - un po' come le
pitture nelle caverne dei nostri antenati - o che si teme. Uno
sperimentare in vitro l'ignoto di cui si avverte confusamente la
presenza. Un modo di riscrivere un finale già avvenuto.
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Riguardo alle tue letture, quali sono gli autori o i titoli che ti
hanno appassionato, che in qualche modo possono averti influenzato
nella scrittura di questo romanzo?
A parte i grandi
Italiani "scolastici", non solo del Novecento, ho amato
molto Morante, Calvino, Malerba. fra i Siciliani, Consolo, Bufalino,
l'Horcynus Orca di D'Arrigo. e l'elenco potrebbe, certo, continuare,
estendersi anche agli stranieri ed entrare nel dettaglio. Così come,
per la poesia, ho amato Montale, Sinisgalli, Sereni, Magrelli. Per
letture più recenti rimando alle righe finali della
bandella.
Preferisco segnalare, sia pure in maniera disordinata e
non esaustiva, alcuni dei titoli che sento particolarmente
importanti, legati a precisi segmenti del mio vissuto (che forse è
un altro modo di rispondere alla prima domanda): "Maurice"
e alcuni racconti di "La vita che verrà" (Forster),
"L'isola di Arturo" (Morante), "Camere separate"
(Tondelli), "Quando Chicco si spoglia sorride sempre"
(Severini), "L'Opera al nero" (Yourcenar), "Atti
impuri" e "Amado mio" (Pasolini), "Ballo di
famiglia" (Leavitt), "Ernesto" (Saba), "Luoghi
naturali" (Fortunato), "I Neoplatonici" (Settembrini),
"Mario e il mago" (Mann), "La grande sera"
(Pontiggia), "Acqua dolce, acqua salata" (Russell), le
Poesie di Wilcock e quelle di Penna, "La voce a te dovuta"
di Salinas.
:: C'è uno stile compositivo che ti
caratterizza?
Non saprei, di sicuro non ho un
modello compositivo: lo vado sviluppando volta per volta, come è
accaduto nel primo romanzo e, in maniera più evidente, nei singoli
racconti. Nel caso di "Manomissione" sapevo che avrei
alternato alla ricostruzione "neutra", oggettiva dei fatti
nei capitoli dispari, l'intervento in quelli pari di una voce in
prima persona con varie finalità, fra le quali raccordare gli eventi
fra loro, colmare i vuoti lasciati dal nudo resoconto e aprire
spiragli sul mondo interiore di alcuni dei personaggi. Un tentativo
di mettere in relazione, senza spezzare o sconvolgere il filo degli
eventi, quello che un tempo si diceva "personale e
politico".
:: Cosa ti ha spinto a scrivere "Manomissione"? Perché questo titolo? Quali sono i temi che tratti?
Il titolo che avevo in mente era in realtà "Prove tecniche di manomissione", abbandonato infine per la forma più sintetica, d'accordo con gli editori. Si riferisce alla reazione di un gruppo clandestino ai piani governativi di controllo della comunicazione e dell'informazione. A questa si affianca un'ulteriore, del tutto differente accezione, che emerge a circa metà della trama.
La spinta alla scrittura è scaturita da una commistione di sconforto e di rabbia per un evento che ha chiuso drammaticamente e (si direbbe) definitivamente un lungo trentennio di partecipazione democratica.
:: Quanto tempo hai impiegato per scrivere questo libro? Ci racconti la sua genesi?
Ho impiegato quattro anni per scrivere la prima stesura, in forma di romanzo distopico, pubblicata a pagamento una decina di anni fa. Mi sono poi dedicato ad altre scritture (il saggio sui Neoplatonici; i versi per le fotografie di Angelo Di Garbo - sua, fra l'altro, quella della copertina) e alla riscrittura dei racconti, e l'ho ripresa più volte e con crescente assiduità nel corso degli ultimi tre-quattro anni. Ho via via abbandonato la forma distopica e creato invece una variante, appena trasfigurata dall'immaginazione, dell'Italia dell'inizio del nuovo millennio, nella quale ho innestato elementi cronologicamente sfalsati (per il lettore, non per i personaggi), per mettere in evidenza analogie o corrispondenze fra i movimenti degli anni Settanta e quelli no-global confluiti al G8 di Genova. Si è creata così una sorta di continuativa, anomala ucronia (o discronia, altrettanto anomala), visibile fin dal capitolo iniziale. Ho sfoltito la stesura precedente di molti episodi collaterali, l'ho asciugata di un eccesso di impeto polemico, ne ho di fatto riscritto la trama e i dialoghi, anche riarticolando i rapporti fra i personaggi. E nuova e, inevitabilmente, più consapevole, è stata la cura del livello espressivo e formale.
:: Che cosa ti aspetti da questa tua pubblicazione?
Non so davvero cosa aspettarmi. Mi piacerebbe, banalmente, che "Manomissione" giungesse a molti lettori.
:: Ci sono dei lettori a cui pensi che il libro possa particolarmente interessare?
Forse a quelli che apprezzano la compresenza di generi diversi nello stesso testo, nel caso in questione oscillante fra romanzo giallo, distopico-discronico e storico, pur nel consapevole sabotaggio di alcuni dei loro principi costitutivi. E a quelli che ritengono che anche un testo di invenzione possa delineare, proprio in quanto tale, coi suoi peculiari strumenti, una forma di verità molto vicina al reale.
:: Cosa può convincere un lettore incerto a leggerlo?
Penso che basti quanto scritto finora. Con l'avvertenza finale che ogni libro è diverso dal discorso che su di esso può farvi l'autore. In questo caso, direi, che è senz'altro migliore della sua presentazione.
:: Hai qualcosa da aggiungere?
Sì. Ringrazio Giuseppe Girimonti Greco per avere apprezzato e suggerito "Manomissione" agli editori, e questi anche per gli spunti critici che mi hanno offerto sul testo, necessari per giungere al fatidico Visto si stampi.