Ornella Tajani
SCRIVERE LA DISTANZA
Forme autobiografiche nell'opera di Annie Ernaux
Marsilio
collana Elementi
2025
pp. 112, euro 12
ISBN 9788829792320
«Distanza» è una parola chiave nell’universo letterario di Annie Ernaux: la sua vocazione autosociobiografica nasce dal desiderio di misurare il solco che la separa dal milieu proletario della provincia normanna in cui è cresciuta; l’attenzione alla lingua parlata, quella lingua sulla quale in famiglia si litigava più che per i soldi, si riscontra a più riprese nei suoi testi; il metadiscorso che punteggia la narrazione porta chi scrive a osservare ciò che ha vissuto o sta vivendo da una diversa prospettiva, per riuscire a coglierne l’essenza, la verità. Questo saggio si propone come un’introduzione ragionata alla lettura dell’opera di Ernaux, della quale percorre i tre versanti appena descritti: l’autosociobiografia, l’autobiografia linguistica e l’autobiografia «del compimento», ossia quella che più direttamente ha a che vedere con l’intento, più volte ribadito dall’autrice, di scrivere la vita.
dall'Introduzione
Ceci n’est pas une autobiographie è il titolo del seminario tenuto da Annie Ernaux nel 2009 al Collège de France nell’ambito del cor-so Écrire la vie: Montaigne, Stendhal, Proust pensato da Antoine Compagnon. Nella parte finale del suo intervento l’autrice motiva tale scelta, all’apparenza provocatoria, spiegando che la sua opera ha senz’altro a che vedere con il genere autobiografico, ma ne costi-tuisce un decentramento, realizzandosi mediante una pratica volta a spostare il valore dell’io all’interno del racconto personale, così da scuotere la tradizionale antinomia che oppone il singolo alla società o alla Storia. Sono i frutti dell’insegnamento di Pierre Bourdieu, figura faro nella formazione della scrittrice: l’io profondo di ogni indivi-duo è indissolubilmente legato all’io sociale. Questa verità struttura l’intera produzione ernausiana: dopo il «dé- tour» iniziale rappresentato dai primi tre libri – Les Armoires vides, Ce qu’ils disent ou rien, La Femme gelée –, Ernaux si confronta con il genere autobiografico integrandovi però il lavoro sociologico: nasce così l’autosociobiografia, a cui è dedicato il primo capitolo di questo libro. A partire da quel momento, e cioè dalla pubblicazione di La Place nel 1983, ogni nuovo testo diventa il tassello di una medesima opera più grande, unitaria, che racconta il suo percorso di donna, di intellettuale, e nel farlo dipinge sullo sfondo l’affresco di un’epoca e di uno spazio attraversati dalla lotta di classe. Le storie di Ernaux non sono mai soltanto ciò che sembrano: ogni episodio travalica i confini del vissuto e produce pensiero, discorso. Così, ad esempio, l’indagine sull’ambiente in cui è cresciuta, la misurazione e il disvelamento della distanza percepita rispetto al nucleo familiare e al mondo dei propri genitori passano anche, in modo sentito e rilevante, attraverso l’analisi della lingua parlata da ragazzina, ossia la lingua dei genitori, in età adulta rinnegata, poi recuperata e trasformata: lo si vedrà nel secondo capitolo, incentra-to sull’autobiografia linguistica. Il terzo e ultimo capitolo affronta la maniera peculiare e mirabile con cui Ernaux riesce a «écrire la vie», un’espressione ormai emblematica di ciò che costituisce forse il suo principale talento: cosa vuol dire che la scrittura porta a compimento la vita, come lei stessa ha dichiarato? Un’indagine sulla pratica del metadiscorso, molto presente nei testi dell’autrice, proverà a rispondere a questa domanda. Il desiderio di percorrere le tre piste delineate è alle origini di questo saggio, perché al loro crocevia sta a mio avviso la chiave di comprensione dell’opera di Ernaux. Guardare con attenzione ai testi, come mi propongo di fare, consentirà di sgomberare il campo sia dalle critiche sulla presunta «mancanza di stile» dell’autrice – critiche vivaci già da anni, che la vittoria del Nobel nel 2022 ha solo inasprito –, sia dall’accusa di una troppo marcata autoreferenzialità, forse motivata anche dal fatto che Ernaux si esprime spessissimo su ciò che scrive (il termine «autosociobiografia», ad esempio, è suo): lo fa con grande acutezza e non è facile confrontarsi con una scrittrice che fornisce di continuo descrizioni e interpretazioni critiche del proprio lavoro. Tre piste, dunque, inquadrate all’interno di una cornice in cui la relazione prossemica è essenziale; ognuna delle forme autobiografiche appena accennate si struttura infatti sulla base di una riflessione dell’autrice sulla distanza: dal milieu proletario in cui è cresciuta, dalla lingua familiare da cui si è emancipata, da ciò che sta vivendo mentre scrive. La distanza diventa un paradigma, variamente modulato, dell’esperienza mediata dalla scrittura. L’opera ernausiana non è una autobiografia, ma molte autobiogra- fie, al plurale: perché contiene almeno tre diverse forme autobiografiche, che saranno esplorate nelle prossime pagine; e perché riesce a includere nel racconto, attraverso un io transpersonale, le vite di molti.
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese presso l’Università per Stranieri di Siena. Traduce dal francese e si occupa di critica della traduzione letteraria. Per L’aquila a due teste di Jean Cocteau (Napoli, 2011) ha vinto il premio Monselice “Leone Traverso” 2012.
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