Il Piroscafo edizioni
aprile 2025
pp. 264, euro 18
Dominique Besson, ispettore capo della Direction Centrale de la Police Judiciaire di Parigi, viene a conoscenza della morte prematura di Rudolf Diesel, l’uomo che ha rivoluzionato la storia del motore. Le circostanze del decesso appaiono da subito misteriose e lo spingono a indagare sulla vita dello scienziato, portando alla luce ambiguità, rovesci finanziari e ripetuti esaurimenti nervosi. Besson, inoltre, aveva già conosciuto il padre di Diesel durante la sua prima indagine, legata all’attentato a Napoleone III. Sul finire della Belle Époque, tra dame eleganti, locali di lusso e nuove invenzioni, si allungano le ombre della Prima guerra mondiale, relegando la fine di Rudolf Diesel a un semplice fatto di cronaca.
Il signore distinto entrò nella bottega con una vaga smorfia di repulsione già impressa sul volto. Dopo aver fatto i primi due passi si fermò e si guardò intorno con aria perplessa alzando gli occhi verso il soffitto. Poi girò la testa sugli angoli più remoti del pavimento e sembrò soffermarsi sui cumuli di cartone e lacci che allineavano lungo le pareti laterali. T heodor si aggiustò gli occhiali e si alzò in piedi dietro il bancone pieno di vasetti di colla e pennelli. «Buongiorno signore» disse con il suo timbro di voce solitamente basso «in cosa posso esservi utile?». L’uomo non si sfilò i guanti e rimase in piedi appoggiandosi con aria elegante al bastone. Indossava una tuba corta alla moda e sotto il colletto inamidato una cravatta con il nodo sottile e un gilet dello stesso colore scuro della giacca. I pantaloni, grigi ma a righe scure, finivano stretti sopra scarpe nere e lucide. «Vedete, avrei bisogno delle vostre prestazioni, ma prima sono voluto passare di persona per verificare» disse continuando a guardarsi intorno «… per valutare la vostra bottega».
Poi si schiarì la voce «il vostro nome mi è stato fatto da un conoscente, mi ha detto che siete… discretamente bravo». T heodor si inchinò leggermente «sono soltanto un artigiano che cerca di fare bene il proprio lavoro». «E sia» rispose l’uomo «vi manderò una persona di mia f iducia, ma ci tengo che il lavoro sia ben fatto, a regola d’arte». «Non dubitate, rimarrete soddisfatto. Posso chiedevi di cosa si tratta?». L’uomo aspettò qualche secondo prima di rispondere, come se volesse valutare la reazione dell’artigiano «È un’antica Torah di famiglia, per noi molto preziosa». «Certo» rispose Theodor abbassando il capo. Si passò le mani sul camice scuro e rassicurò ancora una volta il suo cliente. L’uomo gli lanciò un’occhiata penetrante e quando si ritenne soddisfatto uscì dalla bottega senza salutare. Rimasto solo, Theodor si sedette sul suo sgabello e riprese in mano il pennello. Un ebreo, commentò sottovoce, dovevo immaginarlo. Si presentava come un lavoro complicato, ma era sicuro di riuscirci. In genere, queste edizioni del libro sacro ebraico erano prodotte con fogli di pergamena arrotolati e per leggerli era necessario srotolarli con cura. A lui sarebbe spettato il compito di avvolgere la pergamena tra due anime in modo che il testo potesse essere letto sia dall’inizio che dalla fine. Le porzioni di pergamena che non venivano lette potevano rimanere avvolte, assicurando così una maggiore protezione al libro. In fondo, non poteva definirsi un incarico difficile, ne aveva svolti di più complicati.
Q uesto lavoro gli era sempre piaciuto, amava l’odore dei collanti e dei mastici e non riusciva a immaginare la sua vita senza la bottega che aveva aperto appena arrivato a Parigi. In Germania aveva cominciato da apprendista all’età di quindici anni e lavorava al torchio, ma doveva anche preparare gli inchiostri e controllare la pressa. Dopo il periodo di apprendistato era diventato operaio, ma il suo mastro tipografo non gli aveva mai permesso di avere più autonomia e questo lo aveva reso ben presto insoddisfatto, se non quando infelice. A Parigi era tutt’altra cosa, i libri e le pubblicazioni erano molto più apprezzati. La Bibliothéque des Chemins de Fer sfornava libri a centinaia e alcuni giornali pubblicavano anche il feuilleton, una specie di romanzo a puntate che attirava curiosità e clienti. Ma a lui l’editoria non lo aveva mai entusiasmato. Servivano molti soldi per creare i caratteri e le matrici. Una cinquantina tra lettere, numeri e segni di punteggiatura, che dovevano essere moltiplicati per tre, il maiuscolo, il maiuscoletto e il minuscolo. E poi il tondo e il corsivo, e il tutto in diverse dimensioni, dai titoli in grande alle note in piccolo. No, era un lavoro che non gli piaceva, così come gli risultava difficile la composizione: mettere in fila i caratteri per comporre le parole lo trovava un mestiere noioso. A lui piaceva la legatoria, l’antica arte di assemblare i fogli e creare le copertine. Aveva imparato a lavorare quello che chiamavano il marocchino, una pelle di capra pregevole e a grana lunga, con i colori rosso, giallo e blu, ma sapeva trattare anche la pelle allumata di maiale, quella che usavano in Germania.
Non gli piacevano le legature di scarsa qualità, quelle che servivano solo per proteggere il libro, ma amava la legatura impero, con le decorazioni a fioroni e i motivi classici, quelle che si usavano per i libri importanti, come per i codici e i documenti antichi. Si chiese se il suo cliente avesse già provveduto a creare un supporto adeguato per leggere la Torah, in genere mobiletti pregiati di legno, ma si rese conto che questi non erano affari suoi e tornò al suo lavoro. Scelse una fascetta adeguata, esaminò la sovraccoperta e iniziò a spargere la colla sul dorso del volume.
Nessun commento:
Posta un commento